“Rispetto all’Occidente mi pare che qui, in Giappone, vi sia un poco meno d’ansia di felicità, qualcosa che paradossalmente, nella tensione del desiderio, rischia di diventare la sua prima causa di scomparsa…”- Su ilLibraio.it la riflessione di Laura Imai Messina, in libreria con “Non oso dire la gioia”, sulla differenza del concetto di felicità tra il nostro Paese e quello del Sol Levante

Da tre anni investigo la gioia, da tre anni mi domando da dove nasca, impalpabile eppure intensa, capace, lei soltanto, di cambiare l’assetto di un’esistenza. Perché mette addosso un coraggio che la tristezza invece umilia. Stevenson scriveva che “Non esiste alcun dovere tanto sottovalutato quanto l’esser felici”. Ce lo dobbiamo, lo dobbiamo agli altri.

Abitare da più di un terzo della vita in Giappone mi pone poi un’altra questione: cosa distingue la gioia in italiano da quella declinata in giapponese? La vedo scorrere come nubi rapidissime sul volto dei miei figli, equilibristi tra due mondi, e mi domando cosa significherà per loro essere felici, esserlo a Tōkyō, diventarlo a Roma, dichiararlo in una lingua e sentirlo in un’altra.

Rispetto all’Occidente mi pare che qui vi sia un poco meno d’ansia di felicità, qualcosa che paradossalmente, nella tensione del desiderio, rischia di diventare la sua prima causa di scomparsa. È merito della velocità invertita dei rapporti, che tra i giapponesi s’approfondiscono per minuti sviluppi, seguono un ritmo che a un occidentale pare snervante, artificioso. Eppure alla lunga paga, perché se si spendono anni per diventare intimi di qualcuno, è altrettanto difficile che quel rapporto di fiducia si estirpi d’un tratto, magari per un banale litigio. La fiducia è cauta in Giappone, dalla delusione ci si difende un po’ meglio.

Alla gioia nel Sol Levante contribuisce oltretutto quella sapienza nel mantenere uno spazio di infanzia anche nell’età adulta, qualcosa che invece l’Occidente allontana subito da sé relegandolo in modo sprezzante all’“infantile”: è il kawaii (letteralmente “carino”), i disegni, la grafica dolce, le didascalie tenere, la forma antropomorfa del cibo. Qualcosa cui si accompagna un’altra tendenza, questa volta nel parlato, a evitare a priori il pettegolezzo, il discorso negativo nella conversazione. Non è elegante, procura imbarazzo. Si preferisce piuttosto mettere in luce il meglio, raccontare quanto di bello ci accade, condividere la felicità anziché il dispiacere. Forzandosi, ci si migliora l’umore.

Il quotidiano poi è fitto di appuntamenti. Secondo l’antico calendario giapponese le stagioni sono 72, mutano ogni cinque giorni e s’arricchiscono di rituali da seguire, pietanze da gustare, colori da indossare, fiori da notare nel paesaggio urbano e rurale. Sono anch’essi causa di gioie minute, minuscole deflagrazioni di un giorno, appuntamenti da mantenere. Il frutto di yuzu a mollo nell’o-furo, mochi come merenda, una campanella lasciata a tintinnare nel vento. Lo racconta da sempre la filosofia, che la felicità è soprattutto un progetto, un’attesa.

E nel dirlo noto come la conversazione giapponese sia costantemente punteggiata da un’espressione che, a tradurla in italiano, suona esagerata: 「楽しみ!」/tanoshimi/ ovvero “Non vedo l’ora!”.

“Domenica ci vedremo, tanoshimi!”; “Più tardi berrò questo tè, tanoshimi!”.

Tra un’ora o tra un anno non cambia: Tanoshimi!

La gioia è lì, in ogni cultura, nell’immaginarla.

LAURA IMAI MESSINA non oso dire gioia

L’AUTORE E IL LIBRO – Laura Imai Messina, romana classe ’81, è laureata in Lettere all’Università La Sapienza e si è trasferita a Tōkyō a 23 anni, dove ha conseguito un dottorato presso la Tōkyō University of Foreign Studies. È ricercatrice di letterature comparate e insegna italiano all’Università, e scrive romanzi nei caffé della capitale giapponese e durante i frequenti spostamenti in treno. Ha creato il blog Giappone Mon Amour e pubblicato Tokyo orizzontale (Piemme). Non oso dire la gioia (Piemme) è il suo secondo romanzo.

Clara ha un unico desiderio: diventare madre a ogni costo. Sposata a un uomo che non ama, insegue invano quella maternità che potrebbe dare senso al suo matrimonio e, insieme, alla sua vita. Ma quando ogni speranza sembra persa, Clara decide di compiere un gesto atroce e nello stesso drammatico istante a realizza il proprio sogno. Marcel e Jean sono migliori amici: Jean vive quell’amicizia come una compensazione alla felicità mancata, Marcel vive un’esistenza piatta, schiacciato dalla possessività dell’amico e dall’amore soffocante di sua madre, quando tutto ciò che gli interessa è il vuoto lasciato da un padre che non ha mai conosciuto. Fino all’arrivo di Momoko, una donna giapponese che porta gioia al cuore di Marcel, insieme alla sua storia dolorosa. Ma la felicità ha vita breve: quando appartiene solo a due persone, sa scatenare odio e vendetta in chi sta loro accanto…

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