Lo scrittore e giornalista Giovanni Arpino (1927-1987) nei suoi libri racconta Torino e il Piemonte. Diventato famoso grazie a testi come “La suora giovane” e “Sei stato felice, Giovanni”, negli ultimi anni è oggetto di una meritata riscoperta – L’approfondimento sulla sua opera

Dimenticata e bistrattata, l’opera di Giovanni Arpino ha attraversato le soglie del nuovo millennio silenziosamente, sugli scaffali delle librerie dell’usato, o ripescata dalle mensole della casa di famiglia da lettori voraci. Arpino è rimasto lì, con i suoi libri e con quello sguardo sornione da Stregatto, ad aspettare che la critica italiana tornasse a ricordarsi di lui. Autore di romanzi (ben sedici), racconti (quasi duecento) e vincitore di vari premi (tra cui Strega e Campiello), negli ultimi anni la sua penna, realista e sognante al contempo, sta godendo di rinnovata fama: forse proprio perché oggi abbiamo un disperato bisogno di realismo e di sogno.

Giovanni il favoloso

La vita di Giovanni Arpino è novecentesca e borghese, così poco carica di eventi che i pochi di interesse sembrano spiccare nella loro sonnacchiosa semplicità. Nato nel 1927 a Pola, dove la famiglia si trovava al seguito del padre ufficiale, si trasferisce presto in Piemonte.

Primo avvenimento: quando, nel dopoguerra, la Jugoslavia gli proporrà la cittadinanza, lui la rifiuterà senza pensarci due volte.
Studia giurisprudenza e poi lettere, si laurea con una tesi su Esenin e sposa la fidanzata di sempre, Caterina Brero, con cui resta tutta la vita e che tollererà le scorribande amorose del marito con la tenace pazienza dei personaggi dei suoi romanzi. A Torino, Arpino comincia presto a frequentare quel milieu intellettuale fatto di lunghe chiacchiere nei caffè sotto i portici. È l’inizio di quel percorso che, forse senza saperlo, seguirà prolificamente per il resto della vita.

Secondo e terzo avvenimento: quando Vittorini gli propone di diventare lettore di manoscritti per Einaudi, Arpino rifiuta perché preferisce scrivere, e non si sbaglia: il suo primo romanzo Sei stato felice, Giovanni (Minimum Fax, 2018), che esce nel 1952 per I gettoni Einaudi, supera indenne la severità di Vittorini, abituato a martoriare i testi con pesanti editing.

La suora giovane di Giovanni Arpino

Arpino vince nel 1964 il Premio Strega con L’ombra delle colline, romanzo in cui, partendo dal secondo conflitto mondiale, viene raccontata tutta la vita del protagonista Stefano e della sua famiglia. Arpino – quarto avvenimento – diventa in seconda battuta giornalista, prima sportivo, sulle pagine del Guerin sportivo e della Stampa, dunque passa alla cronaca per il Giornale. Muore nel 1987, a sessant’anni, per un carcinoma. I suoi romanzi sono pubblicati dalle maggiori case editrici italiane: Einaudi che l’ha scoperto, Rizzoli, Mondadori, ma bastano pochi decenni perché vadano fuori catalogo.

Da La suora giovane a Domingo il favoloso

Arpino conquista la critica con la pubblicazione di quello che può essere di buon grado definito “il suo capolavoro”: La suora giovane (Ponte alle grazie, 2017), un libretto smilzo che racconta la storia tanto lieve quanto potente dell’amore proibito tra un ragioniere quarantenne, Antonio Mathis, e una giovane suora, Serena. È una storia di tram e di androni, una storia antica che, come sempre accade nelle opere di Arpino, si sviluppa in una Torino sferragliante e moderna. La suora giovane è del 1959, ne sono passati quasi dieci da Sei stato felice, Giovanni e di mezzo c’è stato un secondo romanzo, Gli anni del giudizio.

Minimum Fax, Domingo il favoloso

Le atmosfere torinesi sono la cifra di gran parte della produzione di Arpino, declinate con più o meno realismo, prediligendo ora la bruma della mattina, ora atmosfere picaresche e notturne. Sono quelle di Domingo il favoloso (Minimum Fax, 2019): il romanzo, uscito nel 1975, è imperniato su una vicenda atipica, in cui, se fossimo in un altro continente, si respirerebbe profumo di realismo magico. Domingo, furbissimo marrano, si muove in una Torino carica di pericoli e misteri, si lascia ammaliare dagli zingari e si aggrappa alla novecentesca solidità di Angela, la donna che lo aspetta e che possiamo immaginare avere dei caratteri molto simili alla moglie Caterina.

Da Torino a Napoli, e ritorno

Di poetico realismo, di una Torino operaia e affaticata, si occupa in un altro gioiello meno conosciuto: Una nuvola d’ira (Bur, 2009), il racconto di un drammatico ménage a trois operaio, uno Jules et Jim piemontese (ma privo del vitalismo di Roché), tra città e collina, che non incontrerà le grazie di Togliatti. Di tutt’altra natura, sia a livello di trama che di ambientazione (tra Genova e Napoli) è invece Il buio e il miele (Baldini & Castoldi, 2013). Se questo titolo del 1969 probabilmente dice poco è perché viene conosciuto dal grande pubblico in un altra forma e con un altro nome: nel 1974 esce al cinema, per la regia di Dino Risi e con protagonista Vittorio Gassman, un capolavoro del cinema italiano, Profumo di donna. Il romanzo di Arpino tornerà al cinema a qualche anno dalla morte dello scrittore, nel 1992, con il remake Scent of a Woman, altrettanto celebre lungometraggio con Al Pacino, dove Napoli si trasforma in una moderna New York.

Bur, Una nuvola d'ira, Arpino

Che si tratti di romanzi o di racconti, la produzione di Arpino si contraddistingue per una continua ricerca semantica e lessicale, che si riscontra facilmente nella minuziosa aggettivazione, nella costruzione di frasi che mirano a colpire il lettore, chiarirgli sensazioni e sentimenti con metafore, similitudini e una simbologia condivisa ma non banale. Così come i suoi testi – che sono anche stati definiti “intraducibili” per via di questa minuzia linguistica – non annoiano nella riproposizione di tematiche similari, così la città di Torino nelle sue pagine è sempre uguale e sempre diversa. Una città ora vitale ora ammorbata da malesseri che dai luoghi infettano i personaggi e viceversa. Una città fatta di anfratti, rigorosa e sabauda qui, picaresca e misteriosa lì.

Non è un caso, viene da pensare, che i personaggi di Arpino siano amanti, come il loro autore, della vita nei caffè. È qualcosa che scorre nel sangue di città come Torino, Milano, Venezia o Trieste, e che scorreva anche nel sangue di Arpino: suo nonno aveva un caffè in via Cavour, i suoi suoceri il caffè Garibaldi a Bra. Se esiste una parentela, tra uno scrittore e i suoi protagonisti, sicuramente il posto dove cercare quella di Arpino è tra i banconi di legno scuro dei bar sotto ai portici.

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