“Da quel momento, la mia missione quotidiana fu liberare gli uccellini catturati da mio nonno. Fringuelli, passeri, cinciallegre, cardellini, merli… (…) Non mi importava cosa facessero gli altri, io dovevo fare i conti con la mia coscienza…”. Lo scrittore Giuseppe Festa ricorda un episodio della sua infanzia per riflettere su come piccoli gesti possono avere grandi effetti (l’intervento è tratto dal nuovo numero di “Leggere il mondo”, la guida del progetto Il Libraio Scuola, dedicato alla promozione della lettura tra gli adolescenti, che si può scaricare gratuitamente dal nostro sito)
Il volo dell’upupa
Da bambino andavo sempre in vacanza dai miei nonni. Loro erano i custodi di una grande villa sul lago d’Iseo, con un immenso giardino pieno di alberi. Per me era il paradiso, dopo i mesi trascorsi in città. Mio nonno si chiamava Tiberio, era un uomo alto dal volto severo. Gli volevo molto bene. Ai miei occhi di bambino aveva un solo difetto: era ghiotto di polenta e osei. Ovvero, uccellini con polenta, un piatto tipico della tradizione. E mio nonno non si faceva scrupoli nel catturarli. Aveva una rete molto simile a quelle dei pescatori, di colore nero, che tendeva tra gli alberi del giardino. Una trappola micidiale. Gli uccelli, non vedendola, ci finivano dentro e nel giro di poco finivano in padella. Non era il solo a praticare quel tipo di caccia, oggi vietata. Anche i nonni dei miei amici lo facevano. In quegli anni sembrava una cosa normale, e invece era una pratica crudele.

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Un giorno, però, successe una cosa: mentre giocavo in giardino, un uccello che non avevo mai visto si posò su un albero. Era spettacolare: arancione, bianco e nero, con un lungo becco ricurvo e una cresta di penne che alzava e abbassava a piacimento. Il suo volo ricordava un’onda nel cielo, un’esplosione di lampi colorati. Quando tornai a casa cercai su un libro di animali: era un’upupa, un uccello migratore che trascorre l’estate alle nostre latitudini per nidificare. Il giorno dopo ispezionai tutto il giardino sperando di vederlo ancora, e magari scoprire se aveva fatto il nido. Mi ero portato anche il binocolo. A un tratto, notai qualcosa che si agitava a mezzaria tra gli arbusti, proprio dove mio nonno aveva piazzato la rete per gli uccelli. Corsi a vedere. Non potevo crederci, l’upupa era finita in trappola.
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Ricordo ancora le maglie strette attorno al becco e i suoi occhi che mi fissavano terrorizzati. Non ci pensai nemmeno un secondo. Maneggiandola con attenzione, tentai di liberarla. Lei mi rifilò delle sonore beccate, ma non potevo certo biasimarla. Non conosceva le mie intenzioni. Dopo vari tentativi riuscii a sbrogliare la rete. Tenni l’upupa in mano, sentivo il suo cuore che batteva forte sul mio palmo. La lasciai andare. Quel volo libero non me lo scorderò mai. Fu come se una parte di me volasse via con lei. Mi sentii bene, benissimo, profondamente orgoglioso di ciò che avevo fatto.
Da quel momento, la mia missione quotidiana fu liberare gli uccellini catturati da mio nonno. Fringuelli, passeri, cinciallegre, cardellini, merli… Ogni mattina uscivo prima di lui e facevo una visita alla rete. Così anche il pomeriggio e la sera. Se la trappola aveva catturato qualcosa, in pochi minuti era di nuovo vuota. Un giorno sentii mio nonno che si lamentava con mia nonna, chiedendosi come mai non prendeva più niente. Mi lanciò uno sguardo sospettoso ma io feci finta di nulla. Tutto filò liscio, fino a quando trovai un cardellino che era avvolto nelle maglie così strettamente da non respirare. Tentai di liberarlo ma non ci riuscii. Sentivo che stava cedendo, gli occhi continuavano a chiudersi. Allora corsi a casa, presi una forbice e tornai alla rete. La tagliai. Non mi importava più che mio nonno mi scoprisse, dovevo salvarlo. Troppo tardi, il cardellino non volò più. Provai un dolore fortissimo.
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Tornai a casa in lacrime e raccontai tutto a mia nonna. Mio nonno arrivò poco dopo con gli occhi furenti. Era chiaro, aveva visto il buco nella rete. Se prima aveva dei sospetti, ora sapeva chi era il sabotatore. Quando lo vidi cercai di arginare le lacrime, ma non ci riuscii. Lui andò da mia nonna e le chiese perché stessi piangendo. Poi andò alla finestra e guardò fuori, in silenzio. Stette così a lungo, infine mi lanciò un’occhiata e uscì in giardino. Lo sentii che armeggiava dietro casa.
Dopo un po’, si affacciò alla porta. “Vieni” disse soltanto, con quella sua voce profonda. Lo seguii. Aveva acceso un fuoco dove di solito bruciava le sterpaglie. Lì accanto c’era una massa nera, appallottolata per terra. Mi avvicinai. Era la sua rete. La prese e la buttò nel fuoco. Le maglie di cotone crepitarono tra le fiamme. Non disse niente. Con le mani in tasca, guardò semplicemente la sua amata trappola bruciare. Io allora lo abbracciai forte e lui ricambiò l’abbraccio.
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Da quell’avventura imparai diverse cose. Primo: la liberazione dell’upupa aveva fatto stare bene lei, ma anche me. Secondo: il fatto che anche i nonni dei miei amici catturassero gli uccellini non aveva scoraggiato la mia missione. Non mi importava cosa facessero gli altri, io dovevo fare i conti con la mia coscienza e basta. Terzo: i gesti dei singoli e la loro passione hanno il potere di far cambiare gli altri. Tra me e mio nonno non ci fu bisogno di parole. Lui sentì cosa era giusto fare guardando i miei occhi pieni di lacrime. E, ne sono convinto, da quel giorno anche lui, alzando lo sguardo al cielo, si è sentito bene nel vedere il volo libero dell’upupa.
L’AUTORE – Giuseppe Festa (Milano, 1972), autore della riflessione sopra, tratta dal nuovo numero della guida Leggere il mondo, è laureato in Scienze Naturali e si occupa di educazione ambientale. È fondatore e cantante dei Lingalad, con cui tiene concerti in Italia e all’estero. Protagonista e sceneggiatore del premiato film documentario Oltre la frontiera (un viaggio fra i cowboy e i nativi americani di oggi), è autore di diversi reportage sulla natura trasmessi dalla Rai. Per Salani ha pubblicato Il passaggio dell’orso (2013), La luna è dei lupi (2016), Cento passi per volare (2018), Incontri ravvicinati del terzo topo (2019), I lucci della via Lago (2021), con il quale ha vinto il Premio Rodari e il Bancarellino e La notte dei cervi volanti (2023). Per Garzanti ha pubblicato I figli del bosco (2020) e L’estate dell’orsa maggiore (2024). Ha collaborato con National Geographic, Corriere della Sera e la Repubblica.
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