La sua notorietà si deve a libri come “L’Avversario” e “Limonov”. Ma Emmanuel Carrère, considerato uno dei maggiori esponenti di quella che, seppur con certi limiti, si potrebbe definire “non fiction letteraria”, in passato ha pubblicato libri molto diversi. Come “I baffi”, una novella del 1986 tra il surreale e l’horror, che ora torna in una nuova traduzione – L’approfondimento

Emmanuel Carrère è tra gli scrittori francesi oggi più apprezzati in Italia. La sua notorietà si deve principalmente a due testi – L’Avversario e Limonov – che raccontano rispettivamente in forma di inchiesta e biografia le vite del pluri-assassino Jean-Claude Romand e dello scrittore russo Eduard Limonov.

Sebbene lo si consideri principalmente uno dei maggiori esponenti di quella che, seppur con certi limiti, si potrebbe definire “non fiction letteraria” o “saggio narrativo”, e benché i suoi ultimi libri siano prevalentemente reportage, in realtà questa svolta è avvenuta solo nel 2000 con la pubblicazione de L’Avversario. È a partire da questo testo infatti che Carrère ha iniziato a sperimentare con le forme narrative cercando di far saltare i confini tra romanzo, reportage, saggio e (auto)biografia.

Eppure, nonostante L’Avversario rappresenti un punto di svolta nella sua produzione, in realtà lo è solo da un punto di vista formale, perché da quello tematico esiste invece una profonda continuità tra le opere dell’esordio e quelle della maturità. Ciò è più che mai evidente leggendo I baffi, una novella tra il surreale e l’horror del 1986 che Adelphi ripropone alle stampe in questi giorni nella nuova traduzione di Maurizia Balmelli.

Baffi Carrere

Che cosa racconta questo curioso libro che Carrère stesso traspose cinematograficamente nell’omonimo film del 2005? Racconta di un uomo che una mattina guardandosi i baffi allo specchio decide di rasarli per curiosità. Di una moglie e un certo numero di persone che, vedendolo glabro, cercano di convincerlo che non ha mai avuto i baffi prima. Racconta quello che dapprima sembra un brutto scherzo ma che presto assume i contorni di un incubo; narra infine il crollo di ogni certezza riguardo a se stessi e agli altri e il progressivo precipitare nella follia.

Se l’incipit sembra pagare esplicito tributo al Pirandello di Uno, nessuno e centomila, pian piano il racconto si distacca dalla questione dell’identità come costruzione multipla, per muoversi nel territorio più complicato dell’affidabilità e convalida delle proprie percezioni. Se infatti non si può dimostrare a una persona di avere condiviso una certa esperienza comune, o di non aver avuto i baffi fino al giorno precedente, come si può essere certi dell’attendibilità della propria percezione del presente e del passato? Come si può essere sicuri di non essere vittime di una congiura o della comune volontà di un gruppo di conoscenti di prendersi gioco di noi o addirittura di nasconderci qualcosa? E se, al contrario, fossero proprio queste persone a dimenticare progressivamente il passato? Chi starebbe impazzendo? Quali sono le prove e le testimonianze a cui si può far appiglio per mostrare l’evidenza?

Di certo non le fotografie, che sono alterabili, non gli amici, che potrebbero essere coinvolti nello scherzo, non i passanti casuali, che potrebbero non capire le domande, non lo psichiatra, che potrebbe essere un impostore parte della messa in scena. Allora non resta che fuggire, fuggire sempre più lontano e cercare di nascondersi nel flusso alienante di una metropoli qualunque, rendersi invisibili, recidere ogni possibile contatto col passato e accettare lo scorrere del presente senza farsi domande, rinunciare a trovare un senso agli avvenimenti, perché a ogni domanda potrebbe far irruzione la follia.

Oltre che rifarsi a Pirandello, la novella di Carrère risente anche dell’influenza della tradizione del racconto satirico e surreale che da Il naso di Gogol, passa attraverso La metamorfosi di Kafka e arriva a Il seno di Philip Roth. In tutti questi racconti, la metamorfosi del corpo, che sia surreale e subìta o realistica e volontaria (come la rasatura), diventa il punto di partenza per riflettere su come il suo effetto sugli altri sia fondamentale per la percezione della nostra identità e soprattutto su come proprio la percezione della nostra identità possa essere facilmente messa in crisi quando, in conflitto con quella altrui di noi, non sia possibile appigliarsi a nessuna evidenza per affermarla.

Che da un’alterazione minima, come quella della rasatura dei baffi, si possa progressivamente mettere in discussione il proprio rapporto col mondo, o la sanità del mondo (essendo il protagonista di Baffi più convinto che siano gli altri nel torto), dà la misura di come concetti quali il vero e il falso passino inevitabilmente anche attraverso il corpo e di come, quando la percezione di questo salta, questi vadano facilmente in frantumi portandosi appresso tutto il resto: il presente, il passato, la relazione con il visibile, le istituzioni, le reti degli affetti e di fiducia.

In questo senso, seppur diversa nel genere e a prima vista irrelata ai libri successivi, la novella Baffi in realtà anticipa tematicamente il lavoro attuale di Carrère e in particolare il racconto della vita di Jean-Claude Romand ne l’Avversario. Come il protagonista di Baffi, Romand si trova infatti a vivere un conflitto tra diverse versioni di realtà – la propria e quella degli altri (sebbene nel caso di Romand questa versione sia una messa in scena consapevole) – che si fa tanto più grande e insostenibile da esigere un atto estremo perché possa essere “risolto”.

La differenza sta nel fatto che Romand è oggi ancora in prigione, mentre il protagonista de I baffi vive solo nelle pagine del romanzo. O forse nemmeno in questo, perché l’uno potrebbe essere rilasciato a breve e l’altro potrebbe invece essere morto.

 

 

Fotografia header: Emmanuel CarrèreGettyImages 04-02-2020

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