Un libro esplosivo e bruciante, un urlo di rivolta metafisica contro una concezione totalizzante del tempo e del mondo, alla ricerca di una Poetica che preceda e distrugga i sogni di dominio dell’Occidente. “L’impero della neomemoria” di Heriberto Yepez è un testo che scuote, che lascia qualcosa: un urlo di rivolta metafisica contro ordine e dominio, un saggio in tutti i sensi (e radicalmente) anti-storico, che mette nel mirino moderno e postmoderno…
Può la biografia di un poeta americano, studioso di Melville e precursore del postmoderno, cominciare con la definizione del neologismo CIBERMNEMICA e concludersi proclamando la negazione dell’esistenza dell’Universo? Suona molto strano.
Se L’impero della neomemoria di Heriberto Yepez, edito da Timeo e tradotto in italiano da Daniel Di Schüler lo fa, è perché questo testo non è, come potrebbe sembrare, la biografia di Charles Olson. Non è neppure un trattato di poetica o di filosofia, anche se per comodità si potrebbe definirlo così. E nemmeno un lungo, sfolgorante poema in prosa, per quanto la sua scrittura caleidoscopica, il flusso vitale continuo, caotico e rigoroso ha tanto dell’allucinazione poetica.
Che cos’è, allora?
Nella sua volontà di confrontarsi con qualcosa di gigantesco e totale e cercare di attaccarlo proprio nella sua pretesa di totalità, Yepez costruisce un testo cangiante, ossimorico nella sua essenza. Charles Olson e la sua vita ne sono, come dichiara l’autore stesso, l’innesco: eppure quasi più che i testi vengono analizzati gli eventi della sua personale biografia, e sempre come simboli, analogie, geroglifici cifrati di una volontà nascosta. È un poeta messo in ridicolo, Olson, ma con enorme amore: con l’amore e il ridicolo che secondo Yepez va riservato ai poeti proprio in quanto messaggeri di quella volontà tipicamente ossidentale (per utilizzare uno dei numerosi neologismi che esplodono a più riprese nelle pagine del libro) di impero, di dominio del tempo e della Storia.
Un libro che mette nel mirino moderno e postmoderno
Il bersaglio ultimo de L’impero della neomemoria si può ricavare forse proprio dal titolo: la Storia.
La Storia e quindi, con essa, il concetto di tempo che secondo Yepez domina la cultura occidentale: memoria come controllo del tempo, memoria che cerca disperatamente la riproduzione di un tempo regolare e la costruzione di uno spazio onnicomprensivo — pantopico — di controllo che realizzi l’avvento dell’Impero.
Olson è sia simbolo del poeta che accostandosi alle civiltà pre-ispaniche si fa emissario dell’Impero (americano in questo caso) e nel suo viaggio in Messico mostra un atteggiamento coloniale sia colui il quale arriva a sfiorare la verità che potrebbe mandarlo in pezzi, negando la sua natura totalizzante. Ma Yepez — che del resto individua la volontà di coerenza al fondo dei sogni/incubi di controllo che denuncia — non si preoccupa troppo di abbandonare Olson per lanciarsi in squarci vertiginosi che coinvolgono i Maya e la filosofia, poeti e scrittori, etimologie che si concatenano in un sapore di scrittura automatica, reinterpretazione dei miti in chiave psicanalitica e della psicanalisi in chiave mitica.
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Non bisogna probabilmente chiedere unità a questo testo, non dialettica, forse neppure ordine e, di certo, non si può contestargli contraddizioni. Perché sarebbe un gioco facile e, soprattutto, non coglierebbe l’urgenza profonda di quest’opera vorticosa. È un libro che mette nel mirino moderno e postmoderno, che ritiene di individuare l’accumulo di rovine e frammenti come logica stessa dell’onnivora volontà storica occidentale, e al tempo stesso gioca proprio a quello stesso sabba convocando senza riserve tutti al proprio ballo: Pound e Artaud, Nietzsche e Philip K. Dick, Freud, Sofocle, Heidegger, Marx, Platone, o David Lynch, Schwarzenegger, Benjamin e infiniti altri (per un testo come questo sarebbe inconcepibile una bibliografia, altra piccola spia che lo allontana decisamente dall’essere un trattato).
Yepez contrae debiti con tutti e non ha intenzione di pagarne nessuno. Non ha nemmeno paura: “Nelle ultime pagine ho riassunto millenni. So che è un po’ ridicolo, perché chi tenta di catturare l’infinito è sempre ridicolo”.
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Un urlo di rivolta metafisica contro ordine e dominio, un libro in tutti i sensi e radicalmente anti-storico
L’impero della neomemoria si fa urlo di rivolta metafisica contro ordine e dominio. Sposta di continuo il proprio obiettivo. Cerca di incarnare ciò che tenta di descrivere (un altro tema che attraversa le pagine del libro — per poi essere inghiottito dal suo stesso gorgo, riaffiorando dopo o forse no — è la dualità tra corpo e pensiero, il pensiero che vuole farsi corpo nella scrittura di Olson) e così prova a essere caos, tempo plurale e differenziale contro temporalità coerente all’interno del libro stesso: “Il caos è la prova ultima dell’esistenza della libertà”.
La prospettiva di Yepez è politica, anticapitalista, anticolonialista, assumendosi però la responsabilità di individuare le radici dell’impero, delle colonie e del capitale in un principio ancestrale che sotto diverse spoglie dà forma a una Storia cui opporsi. Da questo punto di vista L’impero della neomemoria è un libro in tutti i sensi e radicalmente anti-storico. E infatti le pagine finali sono un lungo inno all’oblio, alla dismissione della volontà di ricordare e ricordare per ordinare, nella speranza che da questo completa e acefala dimenticanza possa nascere una poetica diversa e un diverso rapporto al mondo.
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La lettura di un libro del genere scuote, lascia qualcosa
È difficile dire se veramente arriverà il momento in cui “la morte ci libererà di tutto. Anche dell’Universo” o se davvero, dato che “il poetico precede il capitalismo” possiamo pensare a una Poetica come “branca della (Eso)filosofia che si occupa della relazione mondana del poetare esistente con il mistero dell’Essere”. Di certo, la lettura di un libro del genere scuote, lascia qualcosa.
Soprattutto nella sua devastante volontà di attraversare tutto senza legarlo, di prenderlo e usarlo per recuperare una dimensione perduta, alternativa a quella presente che in questi anni sembra tanto dominante quanto in agonia. L’enorme maelstrom centrifugo di Yepez cerca di consumare la Storia e il tempo, e forse una delle immagini più belle del libro è anche una delle meno appariscenti: “Tentare un processo contro la memoria in questa civiltà sembra una follia, considerando che la memoria è, fin dai Greci, sinonimo di verità. Eppure il Lete, quel fiume che concede l’oblio, continua a chiamarci, perché ora più che mai dimenticare è l’unica possibilità di continuare. Quando immagino come uscire dal film-loop generale, l’unica cosa che mi viene in mente è un fuoco che si spegne”.
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