L’anno scorso il Cammino di Santiago è stato percorso da quasi 500mila persone, arrivate da ogni parte del mondo. Nessun’altra via di pellegrinaggio ha la stessa potenza evocativa e la capacità di creare miti. Perché anche per l’uomo di oggi, smarrito tra nomadismo commerciale, percorsi virtuali telematici e turismo usa e getta, la strada esprime una valenza vitale e simbolica e un’occasione di salvezza… – Il reportage
Perdersi è impossibile. Ritrovarsi quasi una scommessa. Le varianti sono tante, e imprevedibili: la fatica del percorso, il vigore fisico, la motivazione interiore, la fede, la ricerca spirituale. Ma c’è una molla potentissima che spinge i pellegrini a camminare, avanzando tra borghi disabitati, strade sterrate, chiese antichissime, foreste fitte e chiedendo ospitalità negli ostelli. La certezza, o la speranza, che ci sia qualcuno ad aspettarli alla meta.
La strada è la vita. E il tempo dell’uomo è la storia, non l’istante. Per questo occorrono pazienza, tenacia, forza d’animo. E il segnale giusto da seguire. Come la freccia di colore giallo, simbolo del Cammino di Santiago, che anche nell’era di Google Maps indica la rotta da percorrere e simboleggia che, per quanto si cammini da soli, il pellegrinaggio, come l’esistenza, è avventura comune e destino collettivo.
La freccia è ovunque: sui muri di strade e case, su recinzioni e alberi, agli incroci delle vie. A dispetto dell’antichità del Cammino, è un simbolo recente. Debuttò nel 1984 quando il curato del borgo di O Cebreiro, Elías Valiña, vedendo i pellegrini che si smarrivano lungo il percorso, pensò di segnalarlo dipingendo la freccia gialla lungo la rotta francese, da Roncisvalle alla Galizia.
L’altro simbolo, antichissimo come il Cammino, è la conchiglia di San Giacomo, l’Apostolo pellegrino, figlio del pescatore Zebedeo, citata nel Codex Calixtinus del XII secolo, la prima guida del pellegrino.
Anticamente era un premio per aver concluso con successo il pellegrinaggio e anche l’unica prova d’averlo percorso, dato che la vendita era proibita in altri luoghi che non fossero la città dell’Apostolo.
Nessun’altra via di pellegrinaggio ha la potenza evocativa del Cammino di Santiago, la sua capacità di creare miti, la sua forza spirituale, letteraria, religiosa. Il suo fascino resiste al tempo, al turismo mordi e fuggi, alla civiltà dell’iperconnessione e della velocità, persino alla formidabile capacità dell’Occidente di banalizzare e mercificare ogni esperienza spirituale.
Perché anche per l’uomo di oggi – smarrito tra nomadismo commerciale, percorsi virtuali telematici e turismo usa e getta – la strada esprime una valenza vitale e simbolica. Il romanzo cult della beat generation, On the road (1957) di Jack Kerouac, si apre con la dichiarazione “La strada è la vita”: «Un tipo alto e dinoccolato con un cappello a larghe tese fermò la sua macchina in contromano e attraversò verso di noi; aveva l’aria di uno sceriffo», scrive Kerouac, «noi preparammo segretamente le nostre storie. Lui si avvicinò senza affrettarsi. “Andate da qualche parte di preciso, voi ragazzi, o viaggiate senza meta?”. Non capimmo la domanda, eppure era una domanda maledettamente chiara».
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Lo stare sulla strada può identificarsi, come per Kerouac, con l’essere trascinati dalla frenesia di un andare senza fine, nell’illusione di cancellare la noia, in tutte le sue varianti. Illudendosi, in fondo, di esorcizzare il terrore della morte. In questo caso, la meta è non avere meta come racconta Bertolt Brecht in una sua poesia: “Mi siedo al margine della strada. / Il guidatore cambia la ruota. / Non sono contento di dove vengo. / Non sono contento di dove vado. / Perché allora guardo il cambio della ruota con impazienza?”.
Invece si cammina verso Santiago (anche) per esorcizzare la propria vita (apparentemente) senza meta, alleviare il tormento della frenesia e del vuoto, passare dalla condizione di vagabondi, anche vagabondi comodi e sazi, a pellegrini. Nel 2023 ne sono arrivati 446mila. Giovani – tantissimi – professionisti di mezza età, pensionati. Generazioni differenti.
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Alcuni, dopo aver ritirato la Compostela, che certifica il compiersi del pellegrinaggio, e partecipato alla Messa del pellegrino nella maestosa Cattedrale, continua a camminare fino al porto di Finisterre dove, secondo la tradizione, nel IX secolo, sarebbero approdate dalla Palestina, su una barca di pietra priva di vele e timone, le spoglie mortali dell’apostolo Giacomo, Santiago in spagnolo, che alcuni discepoli seppellirono in un luogo segreto e furono riconosciute da un eremita, Pelayo, che vide luci misteriose uscire da una foresta, nello stesso luogo dove ora sorge l’imponente Cattedrale con il Portico del Paradiso, capolavoro dell’arte romanica, e la Porta Santa che si apre in occasione di ogni Giubileo, che si celebra tutti gli anni in cui il 25 luglio, festa di Santiago, cade di domenica.
Ogni elemento, qui, è ritmato e modellato sulle abitudini dei pellegrini. In tarda mattinata Plaza dell’Obradoiro, che si trova di fronte all’ingresso principale della Cattedrale, si riempie di pellegrini che hanno appena raggiunto la meta e posano per un selfie o una foto ricordo oppure s’accasciano, sfiniti, per riposare prima della Messa durante la quale – nelle grandi festività – viene fatto oscillare il botafumeiro, il più grande incensiere del mondo con i suoi cinquantatré chili di peso e vengono letti i nomi dei pellegrini che hanno ritirato la Compostela.
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A Santiago, arrivando da Sud, finisce l’Europa – ecco perché questo estremo lembo di Galizia è chiamato Finisterre – ma qui l’Europa comincia per chi scende da Nord. E ricomincia, o si schiarisce, la vita di molti pellegrini.
Francesca, 37 anni, da Reggio Emilia, ha percorso il tratto francese e camminato per un mese: “Dopo lo smarrimento iniziale s’è rivelata un’esperienza esplosiva”, racconta, “il Cammino mette a nudo qualità e lati oscuri che nella vita di tutti i giorni vengono sepolti sotto la frenesia del quotidiano”.
Pei Lin, 46 anni, interior designer di Taiwan è in compagnia di un gruppo di connazionali. Non è cristiano. A spingerlo a fare il Cammino è stato uno youtuber asiatico.
Sacha Martinez, 43 anni, da San Juan, capitale di Porto Rico, ha scelto il Cammino portoghese e ha voluto farlo da sola con il marito Eliud arrivato direttamente a Santiago per aspettarla: “Avevo bisogno di camminare in solitudine. È stata un’esperienza molto intensa che mi ha rinvigorito“. Al collo ha un Rosario che ha preso dalle monache di clausura di Santa Chiara di Tui e lungo il viaggio ha recitato il Rosario.
Chi ha fatto il pellegrinaggio con una motivazione religiosa non lo rivela quasi mai, per una sorta di pudore. Come Margot, 30 anni, da New York. La sua amica Janina, brasiliana che vive in Germania, ha camminato per un mese intero: “I miei amici mi hanno detto che è un’esperienza suggestiva e ho voluto provarla”, racconta, “la fatica è tanta ma è compensata dalla gioia di fare nuove amicizie“.
Kurumi, una bambina giapponese di 10 anni, ha fatto il Cammino insieme con il padre lungo il tragitto francese. Mostra le credenziali del pellegrino con i timbri apposti nelle varie tappe e sorride mentre fa amicizia con Akiko, una ragazza che arriva da Osaka e ha voluto camminare in perfetta solitudine. Daria, tedesca di Brehme, ha apprezzato la “semplicità della gente che ho incontrato lungo il Cammino. Niente comfort e lusso, ma un’essenzialità che fa bene e aiuta a riflettere. Il pellegrinaggio è bello anche per questo”.
Nell’ufficio dove vengono rilasciate le credenziali del pellegrino c’è un diario dove ognuno può lasciare un pensiero, un autografo, una preghiera. Sfogliandolo, si trovano frasi di ringraziamenti, confessioni intime, pensieri a chi non c’è più come una donna che scrive “dedicato a te, marito mio, che dall’11/12/2022 mi guardi da lassù. Ti amo” mentre Marcel rivela quello che ha imparato dal Cammino: “Porta solo quello che ti serve, lascia indietro tutto quello che ti appesantisce”.
A Santiago, città universitaria e capitale religiosa, ci sono quarantadue chiese e venticinque conventi. Quello benedettino accanto alla Cattedrale è inferiore, per grandezza, solo all’Escorial di Madrid. Assieme a Roma e Gerusalemme, questa città è stata (e lo è tuttora) una delle capitali del pellegrinaggio cristiano. Paradossalmente, però, la sua identità è così forte da non escludere nessuno, così intensa da abbracciare tutti.
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L’ultimo atto, simbolico, del pellegrino è quello di mettersi in fila accanto all’altare maggiore per pregare sulla tomba dell’Apostolo e poi abbracciare Santiago dalle spalle in un gesto forse di devozione, per alcuni, di affetto, per altri. Come si fa con un amico o una persona amata che si è desiderato a lungo incontrare.
Il Cammino salva dall’essere vagabondi senza meta e ci preserva dagli idoli. A una condizione: se non stiamo soli. Come nella vita, la felicità del pellegrino è sapere che c’è qualcuno che lo attende a casa la sera. Sapersi attesi, e amati, è la meta e la ricompensa di ogni fatica, di ogni cammino.
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