Alieni mutaforma, omicidi, app d’incontri e ricette a base di organi umani. Dolki Min, artista dalla Corea del Sud, nel suo esordio (un romanzo difficile da incasellare, accompagnato da 19 illustrazioni dell’artista) racconta di una creatura “in forme”, che viene da un pianeta in cui il genere non esiste e che gira per una metropoli sovraffollata alla ricerca di cibo e, forse, di un po’ di compagnia…

Che siano onirici, weird, psichedelici, negli ultimi anni non mancano sugli scaffali delle librerie romanzi difficilmente inquadrabili. Merito dell’arrivo in Italia di una serie di opere in grado di avvicinare il pubblico a tematiche e stili meno canonici.

copertina di In forme di Dolki Min

E se parliamo di lontananza dal canone, In forme (Add editore, traduzione di Lia Iovenitti) non può che rientrare in questa etichetta; anche se, a dire il vero, a parlare di etichette per questo libro (e per chi l’ha scritto) lo si fa quasi a malincuore.

“Voi, nella vita, vi calate con entusiasmo in più personaggi. Il ruolo che vi hanno assegnato senza che l’abbiate chiesto vi aderisce al corpo come un’etichetta. E quell’etichetta non ve la stacca più nessuno, fino alla morte. Anzi, neanche da morti. Un’etichetta invisibile e impalpabile, che ormai si è sciolta, penetrando sottopelle, o forse si annida a un livello ancora più profondo e subliminale. Non basterebbe strapparvi la carne, scorticare le ossa e sparpagliare le budella, per trovarla”.

Dolki Min, pseudonimo della penna che si cela dietro questo romanzo, viene dalla Corea del Sud e In forme è il suo esordio. Artista enigmatico, si presenta sempre con indosso una maschera e preferisce usare i pronomi they/them.

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Come Dolki Min, anche il protagonista del libro indossa, a suo modo, una maschera. Anzi, a a dirla tutta, un corpo intero. La nostra creatura, infatti, è un alieno precipitato sulla terra e impossibilitato a ritornare nel suo pianeta. Sola e impaurita, è rimasta a lungo a studiare gli esseri umani. Quando ha capito che la loro carne non era niente male, ha imparato a nascondersi tra di loro e a cacciarli.

Per farlo, ogni giorno deve modellare il suo corpo da alieno e forzarlo in quello canonico di un essere umano: ridurre il numero delle gambe, tingere i peli dall’azzurro al nero, regolare il colore della pelle e poi via, pronti per la caccia.

Lo schema delle sue giornate è sempre lo stesso: cercare nuove persone sui siti d’incontri e selezionare la preda che verrà poi consumata alla fine delle avventure sessuali.

La creatura accompagna il lettore nelle sue giornate, racconta di sé appellandolo direttamente e lo fa partecipe delle sue riflessioni. Dolki Min, infatti, per bocca dell’alieno, riflette e fa riflettere su quanto il genere si imponga nelle nostre vite, nelle nostre scelte. L’alieno, da spettatore esterno, studia e prova a imitare le convenzioni che si porta dietro e impara presto che essere donna e essere uomo significano due cose molto diverse.

“In realtà, distinguere lo stile di camminata femminile da quello maschile è complicato, perché si tratta di costruzioni mentali. All’inizio, mentre imparavo a muovere i primi passetti umani, non riuscivo in nessun modo a cogliere la differenza: gli umani mi sembravano tutti uguali, esseri simili che si muovevano in modo simile. Mi chiedevo se fosse davvero possibile dividerli in due gruppi, vista l’infinità di variazioni”.

Per lui, che viene da un pianeta in cui il genere non esiste, comprenderne le dinamiche non solo è molto complesso, ma risulta in pratica privo di senso. Eppure, interessato a poter operare su ampio raggio, non si fa problemi a plasmare il suo corpo in uno maschile o femminile, a seconda dei gusti sessuali della preda di turno. Durante le sue trasformazioni, conduce in discussioni sul significato di corpi canonici e su come essi si mostrano nella loro canonicità.

“Mi viene in mente una variabile che non avevo preso in considerazione: voi. Sì, proprio voi: non siete curiosi di sapere se sono un uomo o una donna? Non sentite la suspense? Forse avete già raccolto tutti gli indizi – le mie parole, il tono – e ora vi dibattete nel dubbio, tentando di indovinare? Che sia giusta o no, posso sapere a quale conclusione siete arrivati?”.

E così, accompagnati dalla sua voce ironica e pungente, si assiste a una ricerca disperata, furiosa, certamente con l’intento di trovare una nuova preda ma anche, in fondo, con la speranza di poter incontrare qualcuno con cui dividere la sua casa-astronave, con cui alleviare la solitudine.

Dolki Min ha rivelato che l’idea della storia è nata proprio utilizzando le app d’incontri, dalla solitudine e dalla paura che si prova nell’incontrare uno sconosciuto qualsiasi, alla ricerca di un po’ di compagnia.

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Il testo, accompagnato da 19 illustrazioni dell’artista, riprende quella stessa mancanza di forma della creatura, quella voglia di uscire fuori dai binari, e risulta fluido sulla pagina, anche lui non ingabbiato nella griglia canonica dell’impaginazione. Le parole vanno a capo quando non dovrebbero, entrano ed escono dal rigo così come la creatura entra ed esce dai corpi che plasma.

Questo movimento non regolare riprende anche la camminata dell’alieno, che con difficoltà tenta di imitare il passo umano. Salire le scale gli comporta una fatica immensa, così come tentare di imitare le sfumature di una camminata femminile, rispetto a una maschile.

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A proposito di questo, Dolki Min ha raccontato di quando, da giovane, veniva rimproverato per: “camminare come una ragazza. Questo mi ha portato a ragionare su cosa significhi camminare nella maniera corretta. L’alieno presta costantemente attenzione al suo modo di camminare per potersi integrare nella società. Vedevo nel camminare un esercizio per diventare umano”.

Tra un omicidio, una lezione di cucina di organi umani e qualche dritta per passare inosservati in una grande città, la creatura ci accompagna in un viaggio crudo ma al contempo buffo dove, forse, non è tanto il fare a pezzi e consumare carne la cosa che più sconvolge, ma la quantità di etichette e regole che abbiamo deciso di affibbiarci per poterci definire “esseri umani”.

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