Una protagonista determinata, Emilia del Valle, racconta una storia di autoaffermazione contro i pregiudizi: lei non vuole confermare i cliché, vuole essere una giornalista di cronaca e corrispondente durante la guerra civile cilena nel 1891. Difficile ma non impossibile per Emilia conseguire i propri sogni nel nuovo romanzo di Isabel Allende, che fa del coraggio una delle sue cifre distintive: alla scoperta di “Il mio nome è Emilia del Valle”
Un titolo che afferma la propria identità marchia la copertina del nuovo romanzo di Isabel Allende, Il mio nome è Emilia del Valle, appena uscito per Feltrinelli con la traduzione di Elena Liverani.
Ma chi è davvero Emilia del Valle?
Per scoprirlo dobbiamo attraversare oltre trecento pagine di incontri e scontri, colpi di scena, guerra civile e morte, amore passionale e affetto familiare, scrittura giornalistica e urgenza di testimoniare, discriminazione di genere e rivendicazione di indipendenza economica e psicologica.
A raccontare tutto questo è, per l’appunto, Emilia, cresciuta dalla madre Molly Walsh, di origine irlandese ma vissuta in California, detta “Santa Molly” perché fin da piccola “sembrava godere della sofferenza” (p. 17). Molly avrebbe probabilmente dedicato la propria vita alla religione, se solo, quando era una novizia, non fosse stata sedotta dall’avvenente Gonzalo Andrés del Valle. La loro non è stata una vera e propria relazione, più che altro un gioco di corteggiamento e seduzione, in seguito al quale Molly è stata abbandonata, incinta di Emilia.
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Dopo queste premesse degne di un feuilleton (ma raccontate con un’asciuttezza stilistica che non lascia spazio a dettagli pruriginosi), incontriamo uno dei personaggi positivi del romanzo: Francisco Claro. Maestro del paese, Francisco propone a Molly di sposarsi e di dare origine a una famiglia loro. E così Emilia cresce con un padre che l’ha deliberatamente scelta, e che non le farà mai patire il fatto di essere una figlia illegittima davanti ai fratelli. Anzi… Le insegna la libertà di pensiero che nasce dalla cultura, alla base di qualsiasi altra libertà e forma di autoaffermazione.
Anche grazie alla sua infanzia di figlia amata, ascoltata e istruita, la giovane Emilia si apre alla vita con una determinazione difficile da immaginare altrimenti nella seconda metà dell’Ottocento (la storia si apre nel 1873, quando Emilia ha sette anni).
Coperta dallo pseudonimo maschile di Brandon J. Price, Emilia inizia a scrivere romanzi da dieci cents e storie d’avventura per riviste e periodici. Tuttavia, il successo, una rubrica sul Daily Examiner quando ha soli ventitré anni e buone entrate economiche dai suoi romanzetti non le bastano: Emilia vuole scrivere di cronaca, per di più con il suo vero nome.
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Per questo si presenta alla redazione dell’Examiner, dove in un godibile dialogo con il direttore chiarisce di non volersi occupare di moda, spettacolo o fiori, ma di cronaca. Dopo qualche prova, viene ammessa, ma col patto di pubblicare sotto il suo pseudonimo: “Questo genere di giornalismo mi aprì il mondo. Tutto quello che succedeva in città mi interessava, non mancavano mai storie su cui indagare” (p. 51). Perché questo è uno dei punti forti di Emilia, che la rendono una protagonista convincente e addirittura ammirevole: la curiosità nei confronti del mondo che la circonda.
Sull’Examiner scrive di casi di cronaca relativi a San Francisco insieme a Eric Whelan, suo collega in redazione: lui si occupa dei fatti concreti in articoli obiettivi; lei invece tiene una rubrica dove offre un’interpretazione dei fatti.
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Se Eric non mostra alcun pregiudizio nei confronti di Emilia, non si può dire altrettanto del resto della società: dalle forze dell’ordine ai marinai, da altri giornalisti a politici, la maggior parte di loro vede con sospetto una giovane donna che viaggia da sola, oltre tutto come giornalista.
Si può solo immaginare cosa accadrà quando, scoppiata la guerra civile cilena nel 1891, Emilia si propone come corrispondente di guerra insieme a Eric: “Ero andata lì totalmente ignara della situazione, pensando di osservare le cosa da una distanza di sicurezza, ma la guerra mi aveva inghiottita nelle sue fauci di drago” (p. 181).
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Sono pagine crude e cariche di intrighi quelle dedicate all’esperienza della guerra civile, in cui più volte temiamo per i protagonisti, perché attorno a loro il mondo va in pezzi, e così i diritti umani. Ma non la solidarietà umana. Oltre alla realtà straziata del campo di battaglia e a plotoni di esecuzione, emerge l’anima “guerriera” del Cile, come scriverà Emilia in un articolo, con la sua lealtà verso una causa e la ricerca di giustizia. Ed Emilia andrà così alla scoperta delle proprie radici cilene, di quel padre di sangue di cui non sa quasi niente, a eccezione delle leggende familiari.
Con Il mio nome è Emilia del Valle, Isabel Allende regala ai lettori una narrazione che attraversa decenni della grande Storia con una protagonista che si guarda attorno e scrivendo si fa testimone di un tempo a cui partecipa con coraggio e determinazione.
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Fotografia header: Isabel Allende (foto di Aldara Zarraoa/Getty Images 26-05-2025)