Due storie si intrecciano nel presente: entrambe raccontano quanto sia difficile ricominciare a vivere, dopo essere stati sradicati dal proprio Paese e dalla famiglia durante l’infanzia. Da sempre attenta alle questioni sociali e alle discriminazioni, nel suo nuovo romanzo, “Il vento conosce il mio nome”, una scrittrice molto amata come Isabel Allende traccia una doppia vicenda tra passato e presente…

Che cosa comporta essere sradicati dalla propria famiglia e dal proprio Paese durante l’infanzia per ragioni razziali? A questa domanda rispondono due storie molto articolate che arriveranno a intrecciarsi nel presente, costituendo un romanzo che va oltre la semplice denuncia delle ingiustizie. Da sempre molto attenta alle tematiche sociali, nel nuovo e attesissimo romanzo, Il vento conosce il mio nome (in libreria per Feltrinelli dal 12 settembre 2023 con la traduzione di Elena Liverani), Isabel Allende mostra come l’antidoto alle ingiustizie stia soprattutto nella generosità e nella solidarietà.

Nelle prime pagine, ambientate a Vienna durante la Notte dei Cristalli del 1938, le tensioni sfociano in “isteria antisemita” (p. 17) e la famiglia degli Adler viene distrutta. Poco conta che Rudolf fosse un medico molto stimato o che la loro fosse una comune famiglia borghese: in quanto ebrei, gli Adler perdono tutto; il capofamiglia, persino la vita. Ecco perché Rachel Adler capisce, tra le lacrime, che l’unica speranza per suo figlio Samuel è partire, alla volta di nuova vita in Inghilterra, portando con sé ben poco e stringendosi al petto il violino, quanto ha di più caro. E Samuel sopravvive.

Sì, ma la vita di chi emigra non è semplice, e l’autrice isola episodi significativi che facciano capire quanto l’infanzia di Samuel sia piena di fantasmi del passato, di incubi d’abbandono, di insicurezza nel farsi spazio in una realtà straniera e spesso inospitale, che non sembra mai accettarlo fino in fondo. Almeno finché Samuel non torna alla musica, un linguaggio universale col potere di travalicare confini e azzerare distanze.

Tuttavia, Samuel non è in grado di vivere con leggerezza e fatica a mettere in pratica la raccomandazione ricevuta da una conoscente: “Divertiti, Samuel, cerca di goderti la vita; devi vivere le vite che i tuoi genitori non hanno potuto vivere” (p. 68). Ecco perché quando incontra l’affascinante, testarda e viziata Nadine LeBlanc, Samuel se ne innamora: che lei, con la sua gioia di vivere e di divertirsi, possa rappresentare la svolta tanto desiderata?

La seconda storia, invece, parte nel 2019 e ha al centro un’altra ingiustizia: la piccola Anita Díaz, di sette anni, ipovedente a causa di un grave incidente stradale, viene separata dalla madre Marisol. Infatti le due, quando sono scappate dalle tensioni presenti nel Salvador e hanno chiesto rifugio negli Stati Uniti, non sapevano ancora delle nuove leggi sui rifugiati politici e sui richiedenti asilo. Così, la piccola viene separata dalla madre e di Marisol non si sa più nulla. Costretta a riambientarsi di continuo, la piccola Anita fatica a trovare un po’ di serenità. È proprio per riavvicinare le due facendo luce in una burocrazia tutt’altro che limpida che si attivano i volontari del “Progetto Magnolia”:

“Non sono previsti né soldi né gloria; ecco perché a collaborare al progetto sono soprattutto donne. Anche l’accudimento dei bambini nei centri di detenzione e l’assistenza sociale e psicologica sono nelle mani delle donne”. (p. 99)

L’assistente sociale Selena Durán, con tutta la sua determinazione, riesce a coinvolgere nel progetto un avvocato di fama, Frank Angileri. L’avvocato, che è il tipico uomo di successo del tutto dedito al lavoro, si vergogna inizialmente a dedicare il tempo libero (che non ha) a una causa pro bono così difficile, ma il caso della piccola Anita lo convince a prendere aerei, guidare a ore improbabili e spendersi per scoprire dove sia finita Marisol. Anche il fascino di Selena motiva Frank, che passa dal provare ammirazione al sentire una fortissima attrazione per l’assistente sociale, la quale, tuttavia, ha già una relazione.

La bambina, nel frattempo, avverte gli effetti negativi dei continui cambiamenti di vita e delle pesanti assenze: non solo nell’incidente, infatti, ha perso la sua sorellina Claudia; ora deve anche fare i conti con la sparizione della madre. Ecco perché spesso si comporta in modo strano, sembra parlare a un’amica immaginaria, ritirandosi in un mondo diverso…

È bene tacere su come le due storie arrivino a incontrarsi; basti dire che questo accadrà tardi, a circa settanta pagine dal finale.

Prima passiamo da una storia all’altra, ora indagando il piano del presente, ora affidandoci a flashback che colmano lacune nella storia della vita di Samuel e di Anita.

Selena e Frank, per quanto determinanti per lo scioglimento della vicenda, non sono indagati quali veri e propri protagonisti; figurano invece come aiutanti della protagonista, Anita. Lo stesso si può dire per altri personaggi minori, tratteggiati quanto basta perché siano funzionali allo sviluppo delle due storie principali.

Come appare evidente, uno dei capisaldi di questo romanzo è proprio l’aiuto che viene offerto con grande umanità da persone che all’inizio sono degli sconosciuti. Donare le proprie energie e le proprie competenze, condividere il proprio vissuto e mettere a disposizione il tempo libero per una buona causa sono ciò che anima i personaggi di Il vento conosce il mio nome:

Che fossero parenti o meno, era lo stesso. Il destino aveva offerto loro l’opportunità di fare qualcosa per lei e sarebbe stato un peccato imperdonabile non farlo perché era un fastidio. (p. 257)

E accanto a questa solidarietà disinteressata Isabel Allende ritaglia il giusto spazio per l’amore, narrato in tante sue forme: da quello genitoriale e filiale a quello sentimentale; dalla passione per un’altra persona alla dedizione totale per la musica,…

Non c’è spazio per la fiaba, in questo romanzo che porta avanti anche con crudezza, laddove necessario, la critica sociale. Ma c’è spazio per la speranza in un cambiamento, che parte direttamente dall’operato di ognuno di noi:

“Non posso essere ottimista in questo mondo così sudicio, ma ora sento un desiderio di cambiarlo che prima non avevo”. (p. 277)

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