“Trump è ignorante, arrogante e presuntuoso. Ma in generale mi spaventano il nazionalismo e i movimenti legati alla supremazia bianca”. La scrittrice Isabel Allende torna in libreria con “Oltre l’inverno” e racconta a ilLibraio.it le sue preoccupazioni per la situazione mondiale. Nell’intervista parla anche della nuova letteratura sudamericana, con “numerose scrittrici che si discostano dai temi del boom letterario”, raccontando “la vita urbana, influenzata da tecnologia, globalizzazione, droghe, arti visive, crimine e dai cambiamenti della nostra relazione con l’identità”

Isabel Allende, scrittrice cilena molto amata anche in Italia, torna in libreria con Oltre l’inverno (Feltrinelli, traduzione di Elena Liverani). Un romanzo che unisce le storie di personaggi diversi per provenienza e stile di vita, ma legati da un evento inaspettato e in cui l’autrice de La casa degli spiriti affronta i temi dell’identità e dell’immigrazione, quanto mai attuali. E cari anche all’autrice: infatti Isabel Allende è nata in Perù per via della carriera diplomatica del padre, poi si è trasferita in Bolivia, in Europa e in Libano a seguito del divorzio dei genitori e, dopo il colpo di stato di Pinochet, è stata costretta a lasciare il Cile per il Venezuela e infine si è stabilita negli Stati Uniti, dove vive dal 1988 e di cui è cittadina dal 2003.

Allende scrive quasi un romanzo all’anno e ne inizia la stesura sempre l’8 gennaio. Una tradizione che risale all’8 gennaio 1981, giorno in cui riceve una telefonata che le annuncia la grave malattia del nonno, e in cui compone una lettera che diventerà un romanzo, La casa degli spiriti.

Da allora Allende ha sperimentato numerosi generi e sondato molteplici tematiche, dal filone storiografico, come testimoniano Ines dell’anima mia e L’isola sotto il mare, fino a opere tratte dalla propria biografia come Paula, dedicato alla figlia scomparsa. L’ironia però è il tratto distintivo che caratterizza l’autrice: Isabel Allende dice di aver imparato a padroneggiarla durante la sua carriera di giornalista.

Isabel Allende

Da dove è nata l’esigenza di scrivere un libro che ha a che fare con l’identità americana?
“La storia è ambientata a New York e uno dei protagonisti è americano, ma il romanzo si occupa del passato dei personaggi: Lucia in Cile, Evelyn in Guatemala, Richard in Brasile. Quindi non è tanto un’opera sull’identità americana, quanto sull’identità in generale”.

Lei è cittadina americana dal 2003: l’attuale situazione politica in America la preoccupa?
“Certamente sono preoccupata. Trump è ignorante, arrogante e presuntuoso. E in generale mi spaventano il nazionalismo e i movimenti legati alla supremazia bianca che si vedono in America, così come in Europa e nel resto del mondo”.

In Italia le sue opere sono molto amate. Qual è il suo rapporto con la cultura del nostro paese?
“Ho letto i classici italiani e molti autori contemporanei, ma non posso definirmi un’esperta”.

Ci sono autori sudamericani contemporanei che apprezza?
“Ci sono numerosi nuovi autori in America Latina e molte sono donne. Si sono allontanate dai modelli dei maestri del boom letterario degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta. Scrivono fiction legata alla vita urbana e influenzata da tecnologia, globalizzazione, droghe, arti visive, crimine e dai cambiamenti della nostra relazione con l’identità”.

Il suo ultimo libro ha una svolta thriller. Nutre interesse per il genere?
“Non era mia intenzione, ma alla fine del libro c’è un crimine che ha lo scopo di riunire i personaggi. Risolvere il caso è un’aggiunta. Quello che mi importava raccontare era la relazione tra i vari personaggi”.

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