Laia Jufresa, in libreria con “Umami”, racconta il Messico di oggi, “contraddittorio, complesso, molto bello, ingiusto, insensato e generoso allo stesso tempo…”. La scrittrice descrive storie intime e, come spiega in un’intervista a ilLibraio.it, si confronta con il tema del lutto “per ricordare che la morte porta con sé una serie di conseguenze che ognuno di noi ha bisogno di superare a suo modo e secondo i propri tempi”. Anche con l’aiuto del cibo, che dà “conforto”

La scrittrice Laia Jufresa, classe ’83, racconta l’amore, ma soprattutto quella sensazione di vuoto che si prova quando si perde qualcuno a cui si è tenuto molto.

Laia Jufresa

In Umami (Sur) si incontrano le storie degli abitanti di un complesso di villette a Città del Messico. Ana, un’adolescente che ama leggere, vive con i genitori e i fratelli musicisti e prova a reagire alla morte della sorella minore. Pina, anche lei giovanissima, abita sola con il padre da quando i genitori si sono separati e cerca, come può, di colmare il vuoto lasciato dalla madre. Marina, studentessa con disturbi dell’alimentazione, occupa un’altra delle case, la più piccola. E c’è infine Alfonso, antropologo, proprietario del complesso, vedovo e scrittore delle proprie memorie.

Ogni casa ha il nome di un gusto, compreso l’umami, il termine giapponese che indica qualcosa di “saporito” e che Alfonso si impegna, come antropologo, ad adattare anche al cibo messicano.

Laia Jufresa

Laia Jufresa – foto di Claudia Leal

Ana è un’adolescente che si circonda di libri: quanto è importante crescere supportati dalla lettura?
“Ci sono elementi più importanti: crescere in un ambiente privo di violenza e in cui vige il rispetto e anche avere accesso a beni di prima necessità. Una volta garantito ciò, i libri sono fantastici. Io stessa sono cresciuta in una casa piena di volumi; mia madre ogni sera mi raccontava delle storie che si inventava: così ho imparato a conoscere sia la magia della letteratura sia il potere dell’immaginazione. Crescere in una casa in cui si porta rispetto per la creatività è forse ancora più importante che essere soltanto circondati da libri”.

Ana cresce anche in una famiglia multietnica: il padre è messicano e la madre americana, inoltre ogni anno i ragazzi della famiglia viaggiano negli Stati Uniti per visitare i parenti. Quali sono i vantaggi di una vita più ricca di diversità?
“Conoscere più lingue apre la mente e trovarsi in ambienti sconosciuti ci rende più empatici. Penso sia possibile raggiungere questi obiettivi mostrando ai bambini le diversità e insegnando loro che tutti meritano rispetto: non basta prendere aerei per luoghi lontani”.

Il lutto e il dolore causato dalla perdita è un tema centrale nel romanzo. Perché ha deciso di scrivere di un argomento così delicato e intimo?
“Ho lasciato il Messico dopo che per caso sono passata nei pressi di una sparatoria in cui sono morte quattordici persone, tra cui un neonato. Non voglio dare spazio alla violenza nei miei libri, ma il lutto ha bisogno di essere espresso, soprattutto in un momento come questo, in cui in Messico è in atto una vera e propria guerra in cui moltissime persone scompaiono o vengono uccise. Ormai è un lusso esprimere il dolore in una situazione del genere. Ho deciso di scrivere di un lutto più domestico e comune per ricordare a me stessa e ai lettori che la morte porta con sé una serie di conseguenze che ognuno di noi ha bisogno di superare a suo modo e secondo i propri tempi”.

Come descriverebbe Città del Messico, una delle metropoli più abitate al mondo, a chi non ci è mai stato?
“Impossibile! Come si descrive una burrata a qualcuno che non l’ha mai assaggiata? Il Messico è insieme un posto contraddittorio, complesso, molto bello, ingiusto, insensato e generoso. Nell’area metropolitana di Città del Messico abitano oltre 20 milioni di persone: si tratta di un luogo costruito sulle acque ma che continua a espandersi e che racchiude più città in una. Inoltre, rappresenta gli aspetti peggiori del Messico: ingiustizie profonde, antiche e tremende”.

Il cibo è un altro punto focale nel romanzo: come ci relazioniamo con quello che mangiamo?
“Il cibo è amore, famiglia, condivisione, gioia, orgoglio nazionale e anche conforto. Non so spiegare molto bene questa relazione, ma sono sicura che i miei lettori italiani possano capire i messicani e il modo in cui il cibo diventa parte delle storie che ho deciso di raccontare”.

Perché Alfonso, uno dei personaggi principali, si impegna a far conoscere il significato della parola “umami”?
“Alfonso vuole applicare il termine, scoperto centinaia di anni fa dai giapponesi, al cibo messicano. Il dolore che deriva dall’essere vedovo ha un sapore simile all’umami: è molto difficile da spiegare e varia dal dolce al salato. Il suo lutto è difficile da esprimere, passa dalla nostalgia alla disperazione: per questo motivo scrive della moglie scomparsa”.

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