“Mi sono ritrovato a essere un punto di riferimento per chi era solo, lontano da casa migliaia e migliaia di chilometri, costretto a raccapezzarsi in un sistema di accoglienza che non sempre sembrava ricordarsi del significato della parola ‘integrazione’…”: Luca Giommoni, in occasione dell’uscita de “Il rosso e il blu”, romanzo ambientato in un centro di accoglienza, racconta la sua esperienza come insegnante di italiano per stranieri

Mi sono ritrovato a lavorare nel settore dell’accoglienza dopo aver preso la decisione di non voler restare incastrato dietro una scrivania. Dopo varie attività di doposcuola per bambini stranieri, centinaia di ore di volontariato, corsi formativi, ho potuto rendere il mio CV un po’ più simile a chi lo stava scrivendo, aggiungendo, sopra la laurea in economia, la dicitura “insegnante di italiano come seconda lingua”.

Per un po’ mi sono diviso tra scuole private per turisti e associazioni no profit, finché un contratto non ha deciso che avrei speso i successivi quattro anni in un piccolo centro d’accoglienza straordinaria.

Una volta uno dei responsabili mi ha detto: “Ci pensi che se non avessimo fatto questo lavoro non avremmo mai conosciuto tutti questi personaggi?”, guardando Ali Akbar darci dentro con la motozappa come faceva ogni volta che aveva bisogno di distrarsi da un’angoscia. Poi ha aggiunto: “Se ci pensi, siamo proprio fortunati, no?”.

Lì per lì mi sono venute in mente solo situazioni dove la parola “fortunati” poteva essere sostituita da “impreparati”. Impreparati a gestire un carico emotivo e uno stress lavorativo enormi, da soli, con uno Stato che si affacciava solo quando doveva complicare le cose. Ho pensato a come una lavagna con il presente del verbo avere possa riempirsi di una tristezza incontenibile. A come un codice fiscale con il cognome corretto possa valere più di un compleanno, a come un solo Dado Maggi significhi casa in un paese straniero. Poi mi sono ricordato della telefonata di Faganda, che si preoccupava della mia alimentazione. Di quando Hossein, dopo aver imparato le sillabe, si divertiva a leggerle anche su una multa presa sull’autobus sbagliato. Di Mohamed, che da ospite diventava mediatore culturale. E avevo la risposta da dare.

Essere l’insegnante di italiano fornisce una sorta di protezione da tutta una serie di responsabilità che facendo l’operatore sono inevitabili. In aula può accadere che si veda l’imbarazzo nel non riuscire a tenere una penna in mano o la difficoltà nel ricordarsi le sillabe. Fuori, invece, nei vari accompagnamenti, in ospedale, in prefettura, negli uffici pubblici, nelle commissioni territoriali, il panorama di tristezza e delusione si fa più vasto.

Mi sono ritrovato a essere un punto di riferimento per chi era solo, lontano da casa migliaia e migliaia di chilometri, costretto a raccapezzarsi in un sistema di accoglienza che non sempre sembrava ricordarsi del significato della parola “integrazione”. Allo stesso modo, fuori dal lavoro, ero un punto di riferimento per chiunque voleva saperne di più di questo settore. Le domande più frequenti erano: “Ma sono bravi?”, “Ma quei 35 euro dove vanno a finire e chi li paga?”, “Ma come cucinano?”, “Ma c’è qualcuno che spaccia?”, “Ma hanno malattie strane?”, “Ma che vogliono fare qui?”, “Ma si lavano?”. Non sapevo mai cosa rispondere, quello che sapevo era soltanto che io con quei ragazzi mangiavo insieme, ridevo, mi incazzavo, mi confidavo, come con un amico o con un parente.

Poi il governo si è fatto sentire, decretando, per la sicurezza di tutti, che per una buona integrazione i corsi di lingua non sono necessari, tagliando drasticamente il costo a persona e rendendo impossibile tutta una serie di servizi indispensabili. Ho imparato che una legge non punisce solo i colpevoli guardando il responsabile del centro licenziare Mohamed, dopo che aveva licenziato già tutti gli altri, compreso me, compreso lui.

Ho scritto Il rosso e il blu durante il lockdown. Ho deciso di scriverlo per non dimenticare tutto quello che avevo visto in quei quattro anni, per rendere tutti quei ragazzi visibili, almeno con l’immaginazione. Proprio in un periodo in cui, dopo essere stati sulla bocca di tutti, rischiavano di diventare ancora più invisibili a causa della pandemia. Il mio ex responsabile mi telefonava per sfogarsi dicendomi che non era facile far capire ai vari posti di blocco che lui, anche se disoccupato, aveva la responsabilità di una struttura con sedici persone e che i bisogni di quelle sedici persone non si soddisfacevano da soli, che si trattava di ragioni di assoluta necessità e urgenza. Ma erano tutti troppo impegnati con un altro nemico invisibile.

La realtà non è mai come la si vede: la verità è soprattutto immaginazione” diceva Magritte e io, con l’immaginazione, ho raccontato un mondo che ha bisogno di essere ascoltato e, sì, sono stato proprio fortunato a conoscerlo.

il rosso e il blu luca giommoni

L’AUTORE E IL LIBRO – Luca Giommoni (Cortona, 1985) è insegnante di italiano per stranieri. Ha lavorato sia in scuole private che in associazioni no profit. Negli ultimi anni ha svolto anche il ruolo di operatore in un centro di accoglienza straordinaria. Suoi racconti sono stati pubblicati su numerose riviste, tra cui Effe – Periodico di Altre Narratività, Pastrengo, L’Indiscreto e sul Corriere della Sera.

Il rosso e il blu racconta la storia di Makamba, giovane migrante maliano, che ha attraversato molti paesi solo per perseguire la missione della sua famiglia: equilibrare i pomelli rosso e blu di ogni paese per avere l’acqua tiepida a un preciso giro di manopole, così da rendere il mondo un po’ più simile. Makamba arriva in Italia dopo aver sfidato il Mediterraneo, dopo la Libia. Ad attenderlo c’è l’associazione Arcobaleno. Lì riprenderà la sua missone accompagnato da Fagadan, convinto che con una gomma da cancellare può correggere tutti gli errori del sistema integrazione, Billy Idol, bengalese sbarcato in Italia solo per cambiarsi nome e deciso a diventare un supereroe per aggiudicarsi la cittadinanza italiana, Benedict, nigeriano che ha condiviso con Makamba il campo di detenzione libico, e che dopo l’esperienza vissuta trova molto più umano e sensato convincersi di essere stato rapito dagli alieni…

Libri consigliati