“Abbiamo aperto e chiuso le nostre scuole di continuo… mentre i lockdown sono necessari per il mondo, per i nostri bambini significano pericolo, fame, abbandono. Viviamo una tragedia collettiva, ma non tutti hanno le stesse possibilità affrontandola”. Enrico Galiano, insegnante e scrittore molto amato, intervista per ilLibraio.it Nicolò Govoni, che torna con un libro fotografico realizzato con i ragazzi di “Mazì”, la scuola per minori rifugiati che ha fondato sull’isola greca di Samos (il ricavato finanzierà un istituto scolastico in Siria)

È appena uscito il suo ultimo libro, o meglio: il libro scritto e prodotto insieme a Nicoletta Novara e ai ragazzi di “Mazì”, la scuola che Nicolò Govoni ha fondato insieme a Still I Rise, la sua organizzazione. Si intitola Attraverso i nostri occhi e raccoglie testimonianze e fotografie da parte dei ragazzi e delle ragazze di Mazì. Ho sentito Nicolò e gli ho chiesto di raccontarci un po’ di cose.

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Arriva in libreria per Bur Rizzoli “Attraverso i nostri occhi – Vivere da bambini in un campo profughi”, libro di Niccolò Govoni con gli studenti di “Mazi” (a cura di Nicoletta Novara). Gli studenti della prima scuola per minori rifugiati raccontano con parole e immagini l’inferno del campo di Samos. Il ricavato del libro servirà a finanziare una scuola in Siria

La prima domanda è abbastanza ovvia, ma forse non così tanto: come stai, Nicolò?
“Prossima domanda! No, scherzo. Mentirei se dicessi che è stato un anno semplice. È stato un anno difficile. Anzi, è stato un anno molto, molto, molto difficile. Questo doveva essere l’anno dell’espansione di Still I Rise, e lo è stato, ma al doppio, al triplo della fatica”.

Come mai?
“Abbiamo aperto e chiuso le nostre scuole di continuo, e questo è frustrante”.

Ci credo…
“Ma quello che più di tutto ti toglie il sonno è sapere che, mentre i lockdown sono necessari per il mondo, per i nostri bambini significano pericolo, fame, abbandono. Viviamo una tragedia collettiva, ma non tutti hanno le stesse possibilità affrontandola. In due parole, però, sto bene. Sono esausto. Ci sono giorni buoni e giorni meno buoni. Ma come tutti, devo ricordare a me stesso di cercare la speranza nelle piccole cose, nelle cose quotidiane, e così tirare avanti. Non sono felice in questo momento, ma un giorno tornerò a esserlo”.

Parto con la citazione iniziale: “Un giorno sarai grande abbastanza da ricominciare a leggere le favole” di C.S. Lewis. Come mai hai scelto questa?
“Amo questa citazione! Spesso ci affrettiamo a crescere cercando le risposte della vita, solo per poi guardarci indietro e scoprire che si trovavano all’inizio del viaggio, nell’infanzia. In psicologia si dice che l’infanzia costituisca le fondamenta della nostra psiche, prima o poi tutti dobbiamo farci i conti. Quindi credo che sia una frase molto vera per tutti noi – ma per i bambini che serviamo in particolar modo. Nur, Tau e tutti i ragazzi che hanno contribuito al libro sono bambini solo anagraficamente, ma purtroppo hanno dovuto abbandonare l’infanzia tanto tempo fa. E per me, privare un bambino della sua infanzia è il disservizio più grande che si possa fare al mondo intero. Perché un bambino che non ha tempo di fare il bambino resta sempre bloccato nel limbo di chi ha perso la fiducia nel prossimo. In fondo, è proprio questo che facciamo a Mazì: prima ancora di insegnare, sfamare, vestire o proteggere – ma forse proprio facendo queste cose – cerchiamo di ripristinare il diritto all’infanzia. E quindi questa citazione è un augurio: che anche i figli della guerra, un giorno, possano tornare bambini”.

Ti va di raccontarci dell’esatto momento in cui hai o avete pensato all’idea di un libro come questo?
“Questa è un lunga storia. Che cercherò di riassumere (anche se non è il mio forte)… Questo è senza dubbio il libro più spontaneo che abbia mai scritto”.

Perché?
“Soprattutto perché non volevo scriverlo. Non perché non volessi farlo – aver scritto un libro insieme ai miei ragazzi mi riempie il cuore ogni volta che lo guardo – ma perché, per qualche ragione a me ignota, mi ero convinto che nel 2020 mi sarei concentrato solo sulle nuove scuole, prendendomi una pausa dalla scrittura. Penso di essere un uomo cocciuto, ma evidentemente la vita lo è più di me. In ogni caso, Attraverso i Nostri Occhi nasce quasi due anni fa. Nicoletta, l’ideatrice, era una semplice volontaria a Mazì, avrebbe dovuto fermarsi per poco con noi. Nicoletta è una giornalista e le foto sono la sua specialità. Ha deciso di offrire il suo talento ai nostri ragazzi con un obiettivo in mente”.

Quale?
“Dare loro l’opportunità di raccontarsi direttamente, senza filtri e superando le barriere linguistiche e culturali. Così ha creato un corso di fotografia a Mazì”.

Com’è andata?
“Per qualche mese ha insegnato ai ragazzi la tecnica, poi ha distribuito delle macchinette Kodak usa e getta, invitandoli a mostrarle la loro vita, sia nell’hotspot sia fuori. Il risultato ha superato le aspettative di tutti – o quantomeno le mie. Quello che era nato per rimanere un progetto scolastico ha fatto il giro del mondo, rimbalzando tra le testate più rilevanti nazionali e internazionali: il New York Times, la Repubblica, il Guardian. È stata proprio Nicoletta a proporre l’idea di trasformarlo in un libro, così da dare ancor più forza alle voci dei ragazzi. Ma, come dicevo, mi ero messo in testa che non avrei toccato la penna nel 2020, e così all’inizio ho dato la mia benedizione e mi sono fatto da parte. Ho cambiato subito idea quando i miei ragazzi hanno iniziato a scrivermi, entusiasti del lavoro che stavano facendo insieme a Nicoletta. E allora ho ceduto – o meglio, ho sperato di essere ancora in tempo per dare il mio contributo. Il resto è nel libro”.

Il libro è un viaggio dentro Mazì: prima attraverso storie, poi attraverso immagini. Non hai paura che in alcuni si generi l’effetto opposto a quello che forse volevate creare, cioè che qualcuno trovi il libro un po’ troppo forte e “respingente”?
“Penso che una delle lacune più gravi delle campagne di sensibilizzazione per i diritti dei migranti sia che siamo sempre noi a raccontare le loro storie, e solo di rado lasciamo che si raccontino da soli. Se ci pensi, è oltremodo bizzarro. È come se, anziché essere stati gli ebrei a raccontare la realtà dei campi di concentramento dopo la Seconda Guerra Mondiale, fossero stati solo gli americani a farlo. E quindi no, non sono preoccupato. Questa è la verità dei nostri ragazzi, e questo libro è la loro piattaforma. Non abbiamo mai detto loro cosa fotografare né abbiamo mai modificato i loro testi. E se qualcuno tra i lettori si sente a disagio davanti alla verità, così sia: non è certo responsabilità di questi ragazzi far sì che chi legge stia comodo. Penso che se loro possono vivere questa vita, noi possiamo quantomeno esserne testimoni”.

A leggere le storie del libro viene da pensare che sia pazzesco che ragazzi così piccoli abbiano già vissuto vite così piene di avventure e di tragedie. Come fai a convivere con tutta questa vita? Non ne vieni mai sopraffatto?
“Spesso. Spesso e volentieri. Non ti abitui mai completamente a un bambino che porta una cicatrice da arma da fuoco o a una bambina che ha subito violenza. Semplicemente noi puoi. Però puoi prepararti e attutire il colpo, così da essere sempre la spalla su cui le persone che supporti possano, se vogliono, piangere, e mai viceversa. A tale proposito ci assicuriamo che il nostro staff riceva formazione professionale e supporto psicologico nei momenti di crisi. Alla fine, però, dipende tutto da te, sei tu a dover trovare dentro te stesso le ragioni per andare avanti. Il mio segreto è proiettarmi nel futuro, combattere i dispiaceri odierni con la prospettiva di un domani più bello. È un domani in cui credo con tutto me stesso e per questo motivo, pur essendo intangibile ora, per me è reale, è già qui. Davanti alle cicatrici e ai sorrisi rubati mi immagino il giorno in cui quei sorrisi torneranno a splendere sapendo che, se mi impegno abbastanza, quel giorno arriverà”.

“A Samos è come vivere in due universi paralleli: da una parte la pace e dall’altra il caos”, dice Mahdi. Mi incuriosisce il primo universo: la pace. Dov’è la pace a Samos? Dove la troviamo? In che cosa?
“Mi piacerebbe che fosse Mahdi stesso a rispondere. È un giovane brillante, quando era a Mazì era un modello di riferimento per tanti ragazzi. Eppure era anche un adolescente come tutti, e la vita dell’hotspot gli costava cara. Quando entrava a scuola la mattina vedevi subito se era la pace o il caos che si portava dentro quel giorno. Glielo vedevi negli occhi. Per lui il caos erano le risse. Le vessazioni. La polizia. I furti, le proteste, gli abusi. La pace, invece, era la spiaggia. Per tanti dei profughi imprigionati a Samos il mare è l’unico elemento di tranquillità. I più non ci entrano – la traversata in barcone dà loro gli incubi – ma il semplice osservare l’orizzonte dà loro la possibilità di spaziare con la mente, perdersi magari in sogni migliori: la terra perduta, gli amori che mai dimenticheranno, l’Europa tanto sospirata. Questo è senz’altro un elemento di pace. Ma nel caso di Mahdi, credo, la pace lo aspettava a Mazì. Era uno dei tanti studenti a presentarsi davanti alla porta ancor prima che aprissimo la mattina e ad attardarsi il più possibile prima della chiusura la sera. Proprio perché Mahdi era un adolescente tanto brillante quanto sensibile, penso che Mazì abbia fatto la differenza tra la vita e qualcosa che non è morte, ma che le si avvicina pericolosamente”.

Le fotografie non sono fotografie “artistiche”, o meglio non sono confezionate come tali, ma sono proprio scatti vivi, diretti, sfocati anche, proprio per dare la sensazione di realtà, come se fosse una diretta dall’interno del campo. Come mai questa scelta? Solo dettata dalla natura del laboratorio o c’era anche un fine espressivo?
“Nicoletta sarebbe la più indicata a rispondere: mastico poco la fotografia e anche in quanto a estetica non sono un maestro. Ma conoscendola so per certo che la sua priorità numero uno è sempre stata quella di preservare la veridicità del lavoro dei ragazzi. Per esempio, c’è stata una volta in cui Rizzoli, per motivi di impaginazione e non estetici, ha chiesto il permesso di tagliare una fotografia. Nicoletta si è opposta, voleva a tutti i costi l’inquadratura originale. Penso che avesse ragione a battersi in modo così appassionato. Ricordo la prima volta che vidi le foto: avevamo organizzato una piccola mostra a scuola per gli amici isolani – il nostro commercialista, il nostro avvocato, il barista sull’angolo della strada – e gli scatti esposti mi fecero emozionare. Erano così diretti, così sinceri ma anche così delicati nella loro gravità, da cogliermi di sorpresa. Pur avendo vissuto quella realtà per anni, vederla attraverso gli occhi dei miei studenti mi ha passato da parte a parte. Insomma, un fulmine a ciel sereno”.

Quello che stai facendo in Siria e in Africa suona quasi fantascientifico: andare nei posti dove c’è la guerra ad aprire delle scuole. Ho una domanda molto semplice per te: mi spieghi come fai?
“Insieme. Lo facciamo insieme. E non è mica retorica, è proprio la verità più brutale. Da solo non riuscirei a fare nulla. Non poco: nulla. Niente di niente. È solo grazie agli incredibili esseri umani che negli anni si sono radunati intorno alla missione di Still I Rise che tutto diventa possibile. A oggi siamo più di 50 nel mondo. Covid permettendo, dovremmo raggiungere i 100 membri dello staff entro la fine dell’anno. E tutti, tutti lo fanno non per i soldi, ma per passione. Questa è una delle soddisfazioni più grandi al mondo: lavorare con persone simili a te, che ci mettono il cuore e che non si arrendono mai, anche quando tutto pare andare a rotoli. Quando hai un team di cui ti fidi al fianco, tutto diventa più semplice”.

Raccontaci come lavorate.
“Ci muoviamo così: prima facciamo uno studio sui bisogni reali della popolazione che intendiamo supportare. Con i dati alla mano, ci poniamo una domanda essenziale”.

Quale?
“Siamo in grado di soddisfare questi bisogni, date le nostre possibilità e capacità? Se sì, procediamo con l’impostazione del progetto. Inviamo dei professionisti sul campo oppure, come nel caso della Siria, li assumiamo direttamente in loco. Diamo loro il compito di creare la struttura legale e burocratica che ci permetta di operare in sicurezza e trasparenza anche in contesti volatili. Questa è la parte più noiosa, può richiedere anche parecchi mesi. Una volta completata questa fase, ampliamo il team a seconda delle figure necessarie: educazione, logistica, risorse umane. E solo allora inizia la fase operativa”.

In cosa consiste?
“Iniziamo a cercare l’edificio da trasformare in scuola. Quando finalmente abbiamo l’edificio, allora inizia la ristrutturazione. Questa è la parte cruciale: una scuola Still I Rise segue standard ben precisi, e la riuscita del progetto dipende solo da chi lo dirige. Sono mesi molto stimolanti quelli dei lavori, mesi di grande crescita ma anche di profondo stress. Sai bene che, non appena la scuola sarà pronta, i bambini potranno iniziare a trarne beneficio, e ogni giorno conta. Infine, arriva il momento di richiedere i permessi alle autorità. È la parte più delicata: devi proteggere la struttura che hai faticato tanto per costruire dalla corruzione e da eventuali secondi fini delle autorità. A questo punto sei esausto, ma sai che manca poco. Presto vedrai i primi studenti varcare la soglia di una scuola bellissima, e la loro felicità ti ripagherà di ogni sforzo. Non è facile, ma vivi per questo momento”.

Un’ultima cosa: acquistando il libro si contribuisce a sostenere il progetto di Still I Rise in Siria. Un motivo in più per correre in libreria a prenderselo!

L’AUTORE – Enrico Galiano sa come parlare ai ragazzi. In classe come sui social, dove è molto seguito. Insegnante e scrittore classe ’77, dopo il successo dei romanzi Eppure cadiamo feliciTutta la vita che vuoi e Più forte di ogni addio, ha pubblicato un libro molto particolare, Basta un attimo per tornare bambini, illustrato da Sara Di Francescantonio. È tornato al romanzo con Dormi stanotte sul mio cuore, e sempre per Garzanti ora è uscito il suo primo saggio, L’arte di sbagliare alla grande (Garzanti).

Alla pagina dell’autore tutti gli articoli scritti da Galiano per ilLibraio.it.

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