“Gli scrittori emergenti più interessanti oggi hanno accettato l’esistenza di una frattura tra la realtà che ci viene presentata dall’alto e quella in cui effettivamente viviamo”, racconta l’ex direttore di Granta John Freeman a ilLibraio.it, che lo ha intervistato per l’uscita della sua rivista letteraria nel nostro paese. Il primo numero di Freeman’s ad arrivare anche da noi è dedicato agli scrittori del futuro. Inoltre, il critico parla della rete, che “sta sminuzzando la nostra attenzione” e riflette sul perché i libri e la letteratura siano ancora fondamentali per l’umanità. Infine, nomina quelli che potrebbero essere i classici del futuro…

John Freeman, classe ’74, ha raccolto 29 voci letterarie da tutto il mondo, accomunate dall’innovazione e dalla potenzialità di diventare punti di riferimento nel futuro. Senza limiti di età, né di provenienza, né di classe. E non definite dalla loro appartenenza a un genere: c’è spazio per la prosa, la poesia, la saggistica, il reportage… Tutte opere dalla lunghezza e dal contenuto eterogeneo, capaci di dare una prospettiva quanto più ampia sul mondo in cui vivremo.

Scrittori dal futuro, questo è il titolo del quarto numero della rivista letteraria Freeman’s, il primo a essere tradotto in italiano da Black Coffee, grazie al lavoro di Sara Reggiani, Leonardo Taiuti, Umberto Manuini e Damiano Abeni per quanto riguarda le poesie.

La rivista, che esce con due numeri all’anno, è stata fondata dal critico ed ex direttore della rivista britanicca Granta, John Freeman, che firma l’introduzione a questo numero, in cui racconta la genesi della sua idea di lettura come strumento di scoperta e confronto, ma anche come “atto politico” e “questione etica”.

Scrittori dal futuro, infatti, nasce dal bisogno di far seguire alla letteratura un corso più vicino a quello su cui scorrono le nostre vite: un confronto diretto con voci e tradizioni diverse dalle nostre, in un mondo che sta diventando sempre più “piccolo”.

john freeman

Freeman, questo numero della rivista raccoglie le voci di autori “dal futuro”: ci sono tendenze che accomunano i loro lavori? Quali potrebbero diventare i grandi temi dei prossimi anni?
“Mi sono confrontato con centinaia di critici, editori e scrittori da tutto il mondo per questo numero. Visti gli autori che ho riunito a seguito della ricerca, è sorprendente constatare quanti di loro non credano nel realismo. Il realismo è stato principalmente un fenomeno americano: ovviamente il nucleo di un Impero ritiene lo status quo credibile per definizione”.

Si tratta di un fenomeno tangibile già ora?
“Noto come questo approccio onnicomprensivo alla rappresentazione della realtà si rifletta ampiamente nel reportage (lo sguardo esilarante e straziante di Diego Osorno su un villaggio che cerca di riprendersi dopo un decennio di narcotraffico e violenza), nella poesia (i salti nel poema di Ocean Vuong sono sorprendenti), e in particolare nella narrativa. In un racconto di Mariana Enriquez una donna ama un uomo da morire, letteralmente; in un altro una donna indossa abiti di capelli umani. Gli scrittori emergenti più interessanti hanno accettato l’esistenza di una frattura tra la realtà che ci viene presentata dall’alto e quella in cui effettivamente viviamo”.

Nella rivista trovano spazio storie provenienti da tutto il mondo. In una realtà come la nostra, sempre più globalizzata, quanto è importante avere una visione multiculturale e inclusiva della letteratura?
“Mi piacerebbe che proteggere e proclamare la diversità non richiedesse alcuno sforzo. Dopotutto ha a che fare con la vita ed è una risorsa conoscere persone, tradizioni e anche letterature eterogenee. Non ho mai capito perché qualcuno vorrebbe diversamente. Non si può certamente vivere di solo burro di arachidi e marmellata. Lo stesso vale per la letteratura”.

Il mercato editoriale ruota intorno ai romanzi: quali sono le sfide che una rivista di racconti e saggi deve affrontare?
“Questa è una bella domanda. La soglia dell’attenzione sta diminuendo a causa del tempo che trascorriamo online. Ma cerchiamo ancora l’immersione nelle storie. E niente procura questa sensazione come la lettura. Perché? In un testo, chi scrive forma la parola, ma come lettori siamo chiamati a partecipare: la mente rappresenta l’immagine precisa o il significato della parola”.

Lo stesso non accade con altre forme d’arte….
“Un film ci fornisce entrambe le cose, semplicemente ci sediamo e assorbiamo. Quando leggiamo un libro dobbiamo essere il cameraman, il regista e perfino l’attore. Nessun’altra forma d’arte richiede e dà così tanto”.

Un’immersione totale del lettore nella storia…
“Niente stimola l’immaginazione quanto un romanzo. Racconti, poesie e saggi non si discostano poi tanto. Si può forse dire che una storia di Alice Munro o di I.B. Singer non contenga un universo? O una poesia di Wislawa Szymborska o di Kay Ryan? Quest’ultima non è stata ancora tradotta all’estero, ma dovrebbe esserlo: le sue poesie sono le supernove della poesia in lingua inglese. Così dense, perfette e rifinite”.

In che modo una rivista può farsi portatrice di questi “universi”?
“La chiave di un progetto come Freeman’s è dare alle persone quel che basta e fornire agli scrittori il giusto spazio. Nel primo numero, Lydia Davis ha scritto un saggio di 21mila parole sull’imparare il norvegese senza dizionario. Era lo spazio che le serviva. In questo numero il breve racconto di A Yi sui due poliziotti di provincia che indagano sulla scomparsa di un pneumatico sembrerà completo, ma dovrebbe anche – almeno spero – far venire voglia ai lettori di cercare altre sue opere”.

Parlavamo di internet: come sta cambiando il nostro approccio alla lettura?
“Come dicevo, la rete sta sminuzzando la nostra attenzione. Ci fa volere più spazi bianchi nei testi, paragrafi più brevi. I migliori pezzi online di solito hanno queste caratteristiche. Tuttavia penso che i libri non siano minacciati da internet: anzi, sono la soluzione all’insignificante dispotismo della rete”.

Chi sono gli autori contemporanei che hanno le carte in regola per diventare i classici del futuro?
“Ho già parlato di Kay Ryan: le sue poesie sopravviveranno a lungo. Sono creazioni curiose e meravigliose. Apprezzo anche i romanzi di Peter Carey: struttura ed energia li rendono letteratura di alto livello, ma anche opere divertenti. Non credo ci sia un naturalista in vita capace di scrivere con la cura e la sensibilità di Barry Lopez, che ha vinto il National Book Award una trentina di anni fa con Sogni Artici. Un libro che per me ha lo stesso valore di quello che ha fatto Coleridge in poesia, solo che Lopez ha scritto un’opera di ecologia. Per sfortuna è fuori catalogo in Italia. Scommetto che questi autori diventeranno classici del futuro. In particolare quando ci dispereremo per quello che abbiamo fatto al mondo e all’ambiente. Hanno tutti una settantina d’anni”.

Ecco, invece tra gli under 50?
“Per i più giovani, molte delle mie scelte sono in questo numero di Freeman’s. Nadifa Mohamed potrebbe diventare la Toni Morrison d’Inghilterra, Sakaya Murata trasmette una calma inquietante nel suo raccontare l’etica del lavoro in Giappone, e Mieko Kawakami è un Kafka femminista. Vanno tenuti d’occhio anche Edouard Louis e Ocean Vuong, le loro voci sono indimenticabili. E il romanzo d’esordio di Elaine Castillo, America is Not the Heart, verrà letto e discusso per anni. Racchiude la coerenza e l’intensità di un classico”.

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