“La vita bugiarda degli adulti”: su Netflix la serie tratta dal libro di Elena Ferrante, diretta da Edoardo De Angelis, che ha il merito di arricchire l’esperienza di chi conosce il romanzo e di spalancare un mondo a chi, invece, forse vorrà scoprirlo dopo. Dal ruolo della musica alle citazioni cinematografiche, passando per il racconto delle due Napoli, quella borghese del Vomero e quella plebea della zia Vittoria: l’approfondimento

Benvenuti nel mondo menzognero degli adulti, dove “l’amore è opaco come i vetri delle finestre dei cessi”, come dice la zia Vittoria a sua nipote Giovanna in cerca di verità nel pieno dell’ebbrezza ormonale dei quindici anni. L’adolescenza è confusa, agitata come un mare che pare turchino e invece, se ti tuffi, s’intorbida con la sabbia del fondo mossa dalla risacca. Cercare il torbido nella vita dei genitori, che smettono di essere le creature idealizzate dell’infanzia, fa parte del compito ingrato della crescita.

Ecco allora il corpo giovane e androgino di Giovanna, ginnasiale mal cresciuta e di scarso profitto in un liceo napoletano del Vomero, nuotare nel torbido già nelle prime immagini della Vita bugiarda degli adulti di Edoardo De Angelis.

La serie televisiva prodotta da Fandango, disponibile su Netflix dal 4 gennaio e tratta dall’omonimo romanzo di Elena Ferrante, che qui firma anche la sceneggiatura con Laura Paolucci, Francesco Piccolo e il regista.

netflix la vita bugiarda degli adulti

Ho visto due puntate in anteprima e mi sono sembrate bellissime. Davvero arricchiscono l’esperienza di chi conosce il romanzo e spalancano un mondo a chi invece forse vorrà scoprirlo dopo.

De Angelis ha detto di aver immaginato la serie facendo “un gesto naturale”. Quello di un qualsiasi lettore che entra nella narrazione da una porta tutta sua, vede immagini proprie, se le racconta con la sua voce, dà un volto ai personaggi, un aspetto ai luoghi, un significato personale alle situazioni … Questa in fondo è la meraviglia di leggere. E per questo qui, nella serie televisiva, c’è qualcosa in meno e qualcosa in più.

Comincio dal meno, da quello che la serie sottrae felicemente al romanzo. Perché qui la storia arriva diretta e folgorante, spoglia degli echi letterari che appartengono al libro: pum!

La zia Vittoria, per esempio. Il personaggio cancellato dalle foto di famiglia, la donna cui Giovanna sta pericolosamente somigliando, di cui “sta facendo la faccia”, la guida che si sceglie proprio perché è diversa e non piace ai genitori, nella serie non è così eccessiva e un po’grottesca come se uscisse dal Cunto di Giambattista Basile. E la fascinazione che esercita sulla nipote – che sullo schermo è una bravissima Giordana Marenco –  non ha la malía stregonesca che nel romanzo evoca un omaggio ai trucchi di Menzogna e sortilegio, il capolavoro di Elsa Morante. Qui Vittoria, interpretata da una strepitosa Valeria Golino, vive di marginalità urbana, di passionalità e disobbedienza tutte sue, e non ha alcun bisogno di indossare l’abito regale e fiabesco della plebe napoletana.

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Così il racconto visivo si muove libero da impacci letterari e pure da citazioni cinematografiche, che abbiamo visto presenti – da Rosselini a Rosi, alla Nouvelle vague –  nella serie tratta dalla saga dell’Amica geniale di Elena Ferrante. Se ha un debito, ed è dichiarato, questa Vita bugiarda degli adulti ce l’ha con la musica, così importante e utilizzata per contestualizzare i tempi e restituirne lo spessore emotivo: gli anni della Vita Bugiarda sono i Novanta. Non c’era ancora l’euro ma c’erano 99 Posse, Almamegretta,  Massive Attack, la musica nei centri sociali … La colonna sonora originale è di Enzo Avitabile.

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Nella lista delle addizioni metto invece la scelta, che nella serie è esplicita, di raccontare le due Napoli, quella borghese del Vomero e quella plebea della zia Vittoria, come se fossero due maschere. Quella della città agiata sulla collina che, come i genitori di Giovanna, vuole dimenticare da dove viene e parla “il dialetto di citazione”, per dirla con le parole di Francesco Piccolo. E quella della città bassa, che invece si esprime con “una lingua emotiva”, oscura e aspra. Ecco, qui le due Napoli recitano, si rappresentano, giocano ruoli ai quali fingono di credere.

Mentre nel romanzo la faccenda è molto più ambigua. I genitori di Giovanna – nella serie sono Pina Turco e Alessandro Preziosi – temono veramente la malvagità della zia Vittoria? Davvero si vergognano di lei perché parla con i morti, suona la fisarmonica da forsennata e ha fatto famiglia con moglie e figli del suo amante defunto? Oppure è lo sguardo di Giovanna, quindicenne in cerca del torbido, a dilatare mostruosamente i margini delle cose? Di volta in volta sembra di afferrare una verità che poi sfugge sempre.

E, se è certo che Napoli recita se stessa da secoli, qui Edoardo De Angelis riesce a guardarla con gli occhi di una quindicenne. Cioè nella sua “bellezza insopportabile”, qualcosa che la rende attraente anche dove appare brutta e malvagia.

L’AUTRICE – Annamaria Guadagni vive tra Roma e il mare di Sperlonga. È una giornalista culturale, ha lavorato a lungo nell’editoria, collabora con il quotidiano Il Foglio. Ha curato raccolte di saggi e pubblicato un romanzo, L’ultima notte (1998). Per Garzanti ha pubblicato La leggenda di Elena Ferrante.

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