“Sto lavorando alla sceneggiatura del mio prossimo film, quando suona il telefono. È la mia migliore amica. Chiama per chiedermi un favore un po’ particolare. Ha appena scoperto di essere malata…”. Laetitia Colombani racconta su ilLibraio.it com’è nato il suo primo romanzo

La storia comincia un mattino di gennaio di tre anni fa. Sto lavorando alla sceneggiatura del mio prossimo film, quando suona il telefono. È la mia migliore amica. Chiama per chiedermi un favore un po’ particolare. Ha appena scoperto di essere malata: ha un cancro al seno, per cui dovrà sottoporsi a chemioterapia. Oggi va a comprare una parrucca e vorrebbe che l’accompagnassi. Ovviamente accetto.

Ci vediamo davanti al negozio, in una vietta dietro l’Opéra. A vederci così, sembriamo due amiche in giro a fare shopping, come ai vecchi tempi, prima della diagnosi. Per rallegrare la giornata, decidiamo che poi andremo a pranzo nel nostro ristorantino bio preferito.

Mi siedo accanto alla mia amica e la guardo mentre si prova i modelli che la commessa estrae dalle cappelliere: sono parrucche sintetiche, artificiali, fatte in Europa o in Giappone. La mia amica storce il naso: non ce n’è nessuna che le vada bene. Conciata così, sembra travestita. La commessa allora le propone un modello più costoso, fatto di capelli veri. “Capelli indiani”, precisa. Sono dello stesso identico colore di quelli della mia amica. Sono spessi, setosi, magnifici. Le stanno a pennello.

In quel momento, mi torna in mente, come in un lampo, un documentario sull’India che ho visto in televisione qualche anno fa, che mi ha colpito molto: mostrava alcuni intoccabili mentre donano i capelli nei templi. Infatti, se i ricchi offrono gioielli o frutta agli dei, i poveri sacrificano l’unica cosa che possiedono: i capelli. Sono migliaia le persone che ogni giorno si fanno rasare la testa nei templi, pregando per una vita migliore, per una pronta guarigione, o per un raccolto abbondante. Le ciocche vengono poi raccolte, vendute nei mercati e spedite all’estero, nei laboratori in cui vengono lavate, districate, decolorate e tinte da operaie specializzate. Dopodiché quelle stesse operaie realizzano parrucche e toupet che vengono venduti in tutto il mondo.

Lì, in quel negozio insieme con la mia amica, sono come travolta dall’urgenza di dover raccontare questa storia. La storia di questi capelli, della donna indiana che li ha offerti in sacrificio al suo dio; della donna che li ha districati, lavati e assemblati nel suo laboratorio; e infine della donna che li indosserà.

La mia immaginazione si è messa in moto. Sarà un romanzo, mi dico. Certo, lavoro nel cinema, sono sceneggiatrice e regista, eppure mi è chiaro, fin da quel primo giorno, che non può essere altrimenti. Io voglio scrivere di sentimenti, senza scenografia, senza limiti; voglio parlare di cosa significhi essere donna nel mondo di oggi. Nella mia testa, la storia si riassume così: tre donne, tre Paesi, tre continenti. Tre donne che parlano lingue diverse, che hanno culture diverse, religioni diverse. Che non hanno niente in comune, eppure… eppure ciascuna di loro si trova a un punto di svolta e dovrà lottare per emanciparsi, per sfuggire alla morsa in cui la società l’ha imprigionata. I capelli saranno il simbolo e il mezzo grazie al quale riusciranno a liberarsi.

Attraverso i loro ritratti, che io ho letteralmente intrecciato, voglio rendere omaggio a tutte le donne dimenticate dalla Storia, a quelle eroine senza nome che passano la vita a combattere battaglie titaniche. Voglio celebrare il loro coraggio e la loro dignità. Questa mia «treccia» è dedicata tanto a loro quanto alla mia amica.

L’AUTRICE –  Nata a Bordeaux nel 1976, Laetitia Colombani ha studiato cinema all’École Louis-Lumière e ha diretto il suo primo film a soli venticinque anni. In breve tempo, si è imposta come regista e sceneggiatrice, lavorando con attrici del calibro di Audrey Tautou, Emmanuelle Béart e Catherine Deneuve. Nel suo romanzo d’esordio, La treccia (Nord), un caso editoriale internazionale, racconta tre destini intrecciati: a un primo sguardo, niente unisce Smita, Giulia e Sarah. Smita vive in un villaggio indiano, incatenata alla sua condizione d’intoccabile. Giulia abita a Palermo e lavora per il padre, proprietario di uno storico laboratorio in cui si realizzano parrucche con capelli veri. Sarah è un avvocato di Montréal che ha sacrificato affetti e sogni sull’altare della carriera. Eppure queste tre donne condividono lo stesso coraggio. Per Smita, coraggio significa lasciare tutto e fuggire con la figlia, alla ricerca di un futuro migliore. Per Giulia, coraggio significa rendersi conto che l’azienda di famiglia è sull’orlo del fallimento e tentare l’impossibile per salvarla. Per Sarah, coraggio significa guardare negli occhi il medico e non crollare quando sente la parola «cancro». Tutte e tre dovranno spezzare le catene delle tradizioni e dei pregiudizi; percorrere nuove strade là dove sembra non ce ne sia nessuna; capire per cosa valga davvero la pena lottare. Smita, Giulia e Sarah non s’incontreranno mai, però i loro destini, come ciocche di capelli, s’intrecceranno e ognuna trarrà forza dall’altra. Un legame tanto sottile quanto tenace, un filo di orgoglio, fiducia e speranza che cambierà per sempre la loro esistenza…

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