Torna su ilLibraio.it la rubrica #LettureIndimenticabili. Questa volta si parla de “Le affinità elettive”, quarto romanzo di Johann Wolfgang von Goethe, pubblicato nel 1809…

Non ricordo in quale occasione acquistai Le affinità elettive di Johann W. Goethe. Mi torna in mente una mattina piovosa, e io intento a leggerlo nel bus, stracolmo di gente, diretto all’università. Di certo seguivo i corsi del mio primo semestre di studi. Sono passati dieci anni, a pensarci! In tutto questo tempo ho finito l’Università, ho conosciuto una ragazza, l’ho sposata, ho lavorato in una libreria e sto per aprirne una, tutta mia, proprio di qui a pochi giorni.

Le affinità elettive

Quanto possa segnarci un libro, come possa incidere sulle proprie scelte, sono domande alle quali nessuna archeologia intima e personale potrà mai dare una risposta esatta. Esiste, però, uno spazio indefinito in cui la somma di tutti libri che abbiamo letto restituisce più di un singolo numero. E tutte le parole che abbiamo incontrato fra le pagine, le frasi memorabili, i capitoli che avremmo voluto non finissero mai, non smettono di tornarci in mente, in qualsiasi momento: in quelli più improbabili, facendoci estraniare, qualche volta, dalla realtà, e in quelli più opportuni, rendendoci brillanti nel momento giusto.

Io sono anche ciò che ho letto, mi verrebbe da pensare. E se mi premuro di non assolutizzare questo pensiero (di non cancellare quella congiunzione in corsivo) è perché qualsiasi lettura, qualsiasi mondo letterario, non può prescindere dalla realtà, dalla vita vissuta, dagli errori, dalla quotidianità. Quale tristezza sarebbe quella di conoscere il mondo solo dai libri – e quale grande fortuna, invece, ha colui che vive intensamente la sua vita e legge con avidità la letteratura.

goetheLa prima edizione del libro

Nessuno mi aveva mai consigliato di leggere Le affinità elettive, né tantomeno avevo già letto qualcosa di Goethe, prima di allora. Come sia arrivato a quel libro è difficile da ricostruire, ma certamente già lavoravano, silenziosamente, dentro di me, letture precedenti. Che sia entrato in libreria, chiedendo di lui direttamente, o che l’abbia trovato fra gli scaffali, nascosto fra altri titoli, poco importa. Conta che quello era il momento giusto per leggerlo.

Da allora qualcosa è cambiato dentro di me. No, non starò a dire che leggerlo sia stato come abbattere un muro di Berlino, che di colpo sia diventato un’altra persona e cose del genere. I buoni libri sono sempre rivoluzionari, ma lenti.

Nel corso del tempo mi sono ritrovato a tornare spesso sulle sue pagine, a citarlo durante una conversazione o a depredarlo, quando ne elaboravo un concetto omettendone l’origine. La lettura del libro ha assunto nella mia memoria le caratteristiche dei fatti mitologici: indistinti, confusi. Ciò che avevo letto si mescolava a ciò che avevo aggiunto di mio e le due cose non erano più distinguibili fra loro. Fino a quando non ho deciso di riprenderne la lettura integrale, qualche giorno fa.

Edoardo, Carlotta, il Capitano ed Ottilia sono tornati a popolare il castello nel quale li avevo confusamente lasciati. Le loro relazioni hanno disvelato, ancora, una grammatica umana che nessun manuale scientifico riuscirebbe a raccontare con tanta disinvoltura. E che dire dei personaggi secondari, quelli che entrano ed escono dal castello, da queste pagine? Mittler, su tutti, si impone nella sua figura romantica e letteraria, un ex religioso che riusciva a sedare e ad appianare tutte le controversie, sia quelle in famiglia sia quelle tra vicini. […] Finché era rimasto in servizio nessuna coppia aveva divorziato.

Un mio professore lo diceva sempre, che non c’è modo migliore per parlare di qualcosa che mostrandolo. Così mi propongo di tirar fuori un po’ del romanzo, di fare da mediatore (in tedesco, tra l’altro, Mittler significa appunto “colui che media”). Forse solo in questo modo riuscirei a parlare della meravigliosa complessità di questo libro, senza correre il rischio di svilire ciò che già i migliori critici e intellettuali hanno scritto in merito ( Benjamin, Lukàcs e Thomas Mann, solo per citarne tre).

Un dialogo per tutti

« […] Le affinità incominciano a diventare interessanti nel momento in cui producono delle separazioni. »

« Ma allora » esclamò Carlotta « anche nelle scienze naturali troviamo questa triste parola che oggigiorno purtroppo si sente tanto spesso in società? »

« Senza dubbio » rispose Edoardo. « Era addirittura un titolo onorifico per i chimici chiamarli “separatori” .»

« Adesso non si usa più » replicò Carlotta « ed è un gran bene: unire è un’arte più grande, un merito più grande. In ogni parte del mondo un unificatore sarebbe il benvenuto. Ma parlatemi di qualche caso del genere, visto che siete già sull’argomento! »

« Certamente! » acconsentì il Capitano. « […] Ad esempio, ciò che chiamiamo calcare è una terra calcarea più o meno pura, intimamente legata a un acido debole, che noi conosciamo a uno stato gassoso. Se immergiamo un pezzo di questa pietra in acido solforico diluito, quest’ultimo attacca la calce che si trasforma in gesso, mentre l’acido debole, aeriforme, si volatilizza. Abbiamo avuto qui una separazione e una nuova combinazione: ormai ci sentiamo autorizzati a usare addirittura il termine “affinità elettiva”, perché sembra proprio che una relazione venga anteposta a un’altra, che se ne scelga una a preferenza di un’altra. »

« Mi perdoni » fece Carlotta « come io perdono al naturalista; ma qui io non vedrei tanto una scelta, quanto piuttosto una necessità naturale e forse neppure: giacché, in definitiva, probabilmente è solo questione di occasioni. È l’occasione che fa le relazioni, come fa l’uomo ladro […]. Nel caso in questione, mi dispiace solo per quel povero acido aeriforme che deve ricominciare a girare nell’infinito. »

Johann Wolfgang von Goethe

Tre citazioni

L’odio è partigiano, ma l’amore lo è ancora di più.

L’eccezionale non lo si incontra sulle vie facili e piane.

Le nostre passioni sono vere e proprie fenici. Appena la vecchia brucia, subito dalle ceneri nasce quella nuova.

E una quarta, un po’ dissacrante nei confronti dell’homo oeconomicus che oggi si impone.

Stabiliamo e rispettiamo questa regola: tenere separati gli affari veri e propri dalla vita. Gli affari richiedono serietà e rigore, la vita una certa improvvisazione; gli affari hanno bisogno della più limpida coerenza, nella vita invece qualche incongruenza è spesso necessaria, anzi è gradevole e dà serenità.

Una certa idea di matrimonio, che certamente risulterà poco ortodossa oggi. Figurarsi due secoli fa.

« […] Un mio amico, che manifestava di solito il suo buon umore con proposte di nuove leggi, sosteneva che ogni matrimonio dovrebbe essere stipulato solo per cinque anni. Si tratta – diceva lui – di un bel numero, dispari e sacro, di un periodo di tempo proprio sufficiente per conoscersi, per mettere al mondo qualche bambino, per separarsi e poi – e questa sarebbe la cosa migliore – per riconciliarsi di nuovo. Era solito esclamare: “Come sarebbero felici i primi tempi! Due o tre anni almeno passerebbero piacevolmente. Poi potrebbe benissimo capitare che uno dei due volesse prolungare il rapporto e, con l’avvicinarsi della scadenza, la sua cortesia si accrescerebbe. Il coniuge indifferente, o magari insoddisfatto, verrebbe rabbonito e conquistato da un comportamento del genere. Non ci si accorgerebbe del passar del tempo, come ci si dimentica dell’ora quando si è in buona compagnia, e si avrebbe la piacevolissima sorpresa di scoprire solo a termine scaduto che esso era già stato tacitamente rinnovato”.»

Ora che ho finito di rileggere Le affinità elettive, tornato a galla da tutto un substrato intimo e personale di esperienze e riflessioni, ritorno in quel pullman affollato di dieci anni fa, quando ancora potevo dedicarmi interamente allo studio. Era una mattina piovosa e fuori dai finestrini c’era un mondo, lo stesso che mi avrebbe visto crescere e diventare un altro. Mi chiedo quali percorsi avrei seguito se non avessi incontrato questo ed altri libri. Riconosco in me i tratti del sognatore ostinato, che è Edoardo, e del pragmatismo ragionato del Capitano. Mi sembra di sentirla la voce di Mittler, che periodicamente viene a mediare le mie passioni, a indicarmi una strada da seguire. Che poi quella sia una questione di coscienza poco importa. Per noi lettori è molto altro.

giuseppe avigliano

LA RUBRICALetture impossibili da dimenticare, rivelatrici, appassionanti. Libri che giocano un ruolo importante nelle nostre vite, letti durante l’adolescenza, o da adulti. Romanzi, saggi, raccolte di poesie, classici, anche testi poco conosciuti, in cui ci si è imbattuti a un certo punto dell’esistenza, magari per caso. Letture che, perché no, ci hanno fatto scoprire un’autrice o un autore, di ieri o di oggi.
Ispirandoci a una rubrica estiva del Guardian, A book that changed me, rifacendosi anche al volume curato da Romano Montroni per Longanesi, I libri che ti cambiano la vita. Cento scrittori raccontano cento capolavori, abbiamo pensato di proporre a scrittori, saggisti, editori, editor, traduttori, librai, bibliotecari, critici letterari, ma anche a personaggi della cultura, della scienza, dello spettacolo, dell’arte, dell’economia, della scuola, di raccontare un libro a cui sono particolarmente legati. Un’occasione per condividere con altri lettori un momento speciale.

L’AUTORE – Giuseppe Avigliano è l’ideatore del progetto Caffèorchidea, una libreria indipendente e un piccolo editore che cominceranno – entrambi – la loro attività nelle prossime settimane…

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