Con uno stile cupo e ammaliante “Le streghe di Manningtree”, esordio di A.K. Blakemore, è un romanzo che affronta temi quali la povertà e l’abbandono sociale. Elementi racchiusi nella storia di una piccola comunità lacerata dal sospetto, in cui il potere degli uomini si fa sempre più prevaricatore e la condizione delle donne sempre più sottomessa…

“Possono l’odio, il desiderio o la fame innalzare isole in mezzo al mare, o accendere un cielo vuoto di stelle?”

Manningtree, Inghilterra, anno del Signore 1643. Mentre il Parlamento combatte contro il re e la guerra civile infuria per le strade, in una cittadina della contea dell’Essex le donne sono abbandonate a se stesse…

Una di queste è Anne, nota a tutti come la Beldam West, soprannome che deriva da “belle“, bella, e “dam“, dannata. Una bellezza sempre più lontana e una dannazione sempre più attuale secondo Rebecca, giovane protagonista de Le streghe di Manningtree, romanzo d’esordio di A.K. Blakemore edito da Fazi Editore con la traduzione di Velia Februari.

Le streghe di Manningtree di A.K. Blakemore

La collina è rorida di rugiada al mattino e l’arbusto solitario del biancospino è carico di fiori avvizziti quando la ragazza si sveglia e si ricorda della donnaccia, compagna di bevute e “poco di buono” a cui si riferisce con il solo appellativo di “madre“. “Conosco tutti i rumori del corpo di mia madre, tutti i suoi odori, articolati e virili” racconta come in un confessionale la giovane ragazza che da tempo cerca di sfuggire dalla sua infamante nomea.

E sempre attraverso un intimo confessionale Beck racconta anche il suo recente interesse per lo scrivano, John Edes. L’ometto dai baffetti biondi – che gli si arricciano agli angoli della bocca dandogli l’aspetto di un gatto felice – ha infatti generato in lei pensieri appassionati. “Dio è luce e in lui non vi è tenebra alcuna” le racconta Edes, durante appassionate esposizioni religiose in cui la giovane pende dalle sue labbra, rapita dalle sue parole.

“Tenebra alcuna, nessuna“, rimugina solo successivamente Rebecca. Difficile da immaginare in un luogo che si intreccia da sempre con le maglie del Diavolo, che nelle notti di venerdì tiene i suoi sabba. E ancor più difficile da immaginare in una cittadina piena di “timorati di Dio“, che tra sortilegi, fiamme e divinazioni predica un culto ancora più subdolo di quello satanico: il culto delle apparenze.

L’aria è inasprita dal sentore di sterco equino e addolcita dagli aromi del lardo quando un giorno un malessere fuori dal comune colpisce il giovane Thomas Briggs. La motivazione può essere una sola: la stregoneria, un maleficio. E  quando entro metà mattina quasi tutta la città è raggiunta dalla notizia, le prime indiziate sono proprio le “streghe di Manningtree”…

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La giovane Beck viene travolta così da un mare di dicerie infamanti che mettono a repentaglio la sua relazione con lo scrivano Edes. Una relazione nella quale ripone il proprio desiderio di riscatto sociale, di ascesa a una condizione umana. “Siamo come due alberi che crescendo si sono uniti nell’intrico del bosco, le radici attorcigliate, i rami che si artigliano a vicenda quando soffia il vento. E non vedo altra via d’uscita. Altra via d’uscita che non sia lui”.

Una via d’uscita che la giovane ricerca ardentemente nell’esordio di A.K. Blakemore, debutto narrativo premiato con il Desmond Elliot Prize del 2021, che è stato opzionato per una serie tv. Un romanzo che affronta, grazie a uno stile cupo e ammaliante, povertà e abbandono sociale, elementi racchiusi nella storia di una piccola comunità lacerata dal sospetto, in cui il potere degli uomini si fa sempre più prevaricatore e la sicurezza delle donne sempre più evanescente.

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