Molti anni fa Luigi Malerba accarezzò l’idea, mai realizzata, di un atlante storico della cultura contadina, scritto a molte mani dal maggior numero possibile di autori. Per Mario Baudino due libri come “Bestia da latte” di Gian Mario Villalta e “Gli zoccoli nell’erba pesante” di Giovanni Tesio sarebbero stati perfetti all’impresa…

Non so se Gian Mario Villalta abbia potuto immaginare, scrivendo Bestia da latte (Sem), che stava traducendosi in parole, in parallelo al suo libro, dal Nord Est al Nord Ovest, uno sguardo per molti versi simile sull’infanzia contadina. Non gliel’ho mai chiesto, lo faccio ora implicitamente; ma l’idea di due scrittori che procedono insieme senza saperlo, quasi uno sulle orme dell’altro, non è priva di qualche fascino. Il libro del Nord Ovest è Gli zoccoli nell’erba pesante, di Giovanni Tesio (Lindau): e non si tratta solo di una concordanza di temi, ma anche di tono, soprattutto di fermezza nell’addentrarsi in memorie che non sono né idilliache né felici, né dolorose né rinnegate, semplicemente “sono”, e fanno parte appunto della propria vita, della propria costruzione di personalità, un’archeologia del carattere dello scrittore ma anche, diremmo, degli italiani.

Gian Mario Villalta

Villalta racconta come nella cascine della sua infanzia gli animali, le vacche in particolare, fossero chiamate con un termine traboccante di rispetto “le bestie”, che segnava vicinanza e distanza, niente di paragonabile al significato corrente che ora gli si attribuisce. La gente misurava se stessa e il benessere della famiglia nel possedere “bestie”, senz’altra specificazione, nell’allevarle con un rispetto sacrale, all’occorrenza nel sacrificarle alla stessa maniera. Ma anche nel Piemonte di Tesio le stalle si misuravano a “bestie” e chissà, probabilmente ciò accadeva in tutto il Nord, forse in tutto quel mondo che è scomparso ed è oggetto ricorrente di una strana, equivoca malinconia. In questi due libri, che hanno del romanzesco ma trattenuto come da un’istanza morale, la malinconia è bandita.

Il “ritorno” è diretto a una forma di riconoscimento d’un destino, come dice esplicitamente il protagonista di Tesio – molto prossimo al Tesio stesso. Alla fine del pellegrinaggio per contrade ormai smisuratamente mutate, capisce “che il suo destino resta scritto in lui. E che lo chiama a onorare definitivamente – ciò che gli spetta più di quello che gli possa (ancora) mancare”. Ben sapendo, e questo invece lo scrive Villalta, “che i fantasmi dell’infanzia non si possono più catturare”.

Il libro dell’autore friulano tiene più del romanzo, quello del piemontese più del bozzetto (si tratta in realtà di brevi “pezzi”, racconto minimi strettamente collegati l’uno all’altro non solo per quanto riguarda i temi) ma entrambi, nel loro non concedere nulla alle mode e alle retoriche, portano con sé l’eco di una tradizione novecentesca ormai classica, da Silone a Meneghello.

Gli zoccoli nell'erba pesante

Non rimpiangono ciò che non è più. Scavano nel ricordo di una giornata al profumo di menta, quando “dall’alambicco fuma una nebbia di vapore” celebrando il momento in cui a Pancalieri, sulle colline torinese, si distilla il prezioso succo; o di una feroce macellazione di maiali dove lo scrittore ora sa che “sopravviveva una lontana, remota, ancestrale, primitiva coscienza di un rito, che voleva anche essere di propiziazione”. Questo è Tesio, che guarda in volto senza giudicarla “la cupa violenza di quella vita”. E questo è Villalta, cui “regalavano l’agnellino un mese prima di Pasqua. E poi lo sgozzavano, lo scuoiavano e lo facevano a pezzi – scrive – sotto i miei occhi. Era normale. Come era normale vedere nascere i vitelli estratti a forza di braccia, con le corde strette alle zampe, dall’utero delle vacche”. Molti anni fa Luigi Malerba accarezzò l’idea, mai realizzata, di un atlante storico della cultura contadina, scritto a molte mani dal maggior numero possibile di autori. Questi due libri sarebbero stati perfetti all’impresa, a differenza di altri che della cultura contadina sembrano aver fatto una sorta di Arcadia, se pure volta al nero. Sì perché in libreria non mancano i ritorni nostalgici al Sud o alle mitologie locali, spesso con una titolazione che vede un impiego esoticheggiante del dialetto. Romanzi anche convincenti che, però, sembrano pagare un prezzo non del tutto dovuto al marketing editoriale.

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