“Manchester by the sea” di Kenneth Lonergan è un film che ha il coraggio di prendersi il suo tempo e di contenere e stemperare gli eccessi melodrammatici attraverso un passo lento, un tono a tratti lirico e un’atmosfera posata e triste che pare fuoriuscita da un quadro di Hopper o da un racconto di Carver… – La recensione

Se dovessi ritrovarti su un’isola deserta, preferiresti essere con una persona esperta e capace di sopravvivere oppure con tuo padre? Inizia con questo dilemma posto a un bambino (un po’ come: preferisci la mamma e il papà?), e in parte anche allo spettatore, Manchester by the sea, su un peschereccio al largo della cittadina omonima del Massachusetts, 5000 anime dedite alla pesca e a una buona dose di solitudine. E a farsi un po’ del male.

Lee Chandler se n’è andato di lì per rifugiarsi (imprigionarsi?) in uno scantinato periferico di Boston, ma non bastano le seccature e le frustrazione quotidiane dei lavoretti a cui è chiamato (è il tuttofare per quattro condomini che osserva da dietro le sbarre di casa) a giustificare la marcata propensione asociale e gli scatti aggressivi che governano l’umor nero del giovane uomo.

Manchester by the sea

Richiamato d’urgenza al paesino originario per la morte subitanea anche se preventivata del fratello cagionevole (graduale deterioramento dei tessuti del cuore, dice la diagnosi che pare una dichiarazione di poetica del film), il passato pian piano riaffiora, in forma di flashback improvvisi e intensi, mentre Lee scopre che il fratello gli ha lasciato, senza preavviso alcuno e contro ogni sua intenzione, il figlio adolescente in affido.

Scopriamo poi lentamente, in un film che ha il coraggio di prendersi il suo tempo e di contenere e stemperare gli eccessi melodrammatici attraverso un passo lento, un tono a tratti lirico e un’atmosfera posata e triste che pare fuoriuscita da un quadro di Hopper o da un racconto di Carver, diverse cose sul passato del protagonista: una vita sepolta che, nel tempo sospeso e congelato di questo lutto protratto (il fratello è letteralmente ibernato in attesa di sepoltura), anch’esso all’insegna di una frustrazione che pare la cifra esistenziale del protagonista (un Casey Affleck perfettamente in parte), vede l’elaborazione di traumi passati e la difficile costruzione della relazione col nipote affidatogli come uno strano eppur salvifico miscuglio di espiazione e redenzione, beffa del destino e seconda chance.

Se l’ex moglie, ora incinta di un altro ma ancora tormentata dal passato, non riesce a perdonargli una tragedia terribile della quale lui per primo, sebbene assolto dalla legge, non ha saputo perdonarsi, l’eredità di relazione e di responsabilità che si trova ora a dover gestire, sembra la strada praticabile per una ricostruzione faticosa e paziente, ma non indolore, del sé, a fronte delle ferite profonde che l’esistenza non ha mancato di infliggergli. Kenneth Lonergan, regista, drammaturgo e scrittore, reduce dal calvario postproduttivo di Margaret, portato a termine, dopo battaglie legali pluriennali e una gestazione infinita, da altri, firma con questo Manchester by the sea il suo ritorno nell’alveo dell’industria cinematografica hollywoodiana, con un film che conquista sei meritate nomination agli Oscar e, per misura e sensibilità, racconta una storia di riscatto senza nessuna facile consolazione, triste eppure non disperata, capace di commuovere con intelligenza e sensibilità. Lo stile sempre controllato ma raramente scontato, attori in forma straordinaria che danno potenza e credibilità a una sceneggiatura solida, convincono e non di rado, fra cuori malati e cuori spezzati e cuori in inverno, ci toccano da vicino.

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