Umorista raffinato, accostabile forse al solo Achille Campanile, ma con una debordante vocazione allo spettacolo, si definiva un “battutista” (neologismo inventato da lui). Marcello Marchesi (1912 – 1978) ha scritto programmi che hanno fatto la storia della radio e della televisione (su tutti, “Canzonissima”), ha collaborato con i più importanti interpreti del teatro e della tv, ha firmato film, scritto canzoni e ideato slogan pubblicitari (fu “il signore dei Caroselli”). In occasione del ritorno in libreria di “Il Malloppo” e di “Il Dottor Divago”, con Mario Baudino ricordiamo l’unicità di questo autore infaticabile e geniale…
Si definiva un “battutista” – era un neologismo inventato da lui e rimasto nell’uso, come molti altri modi di dire, battute, motti di spirito, calembours del mitico “signore di mezza età”, ovvero uno dei nostri più duraturi umoristi.
Parliamo ovviamente di Marcello Marchesi, uno dei personaggi più popolari e divertenti di tutte le stagioni televisive, e della sua iconica immagine televisiva con il cappello in testa, gli occhialoni e due baffetti finti. Se li era fatti appiccicare, colto da subitanea ispirazione, in sala trucco, alla Rai, per non sembrare troppo giovane.
Raccontava l’episodio Oreste del Buono nella prefazione del 1992 a Il Malloppo, (uscito per la prima volta nel 1971), ora riproposta con uno scritto di Guido Clericetti nella nuova edizione della Nave di Teseo insieme a Il Dottor Divago (con saggi di Gino & Michele e Gianni Turchetta), ovvero le poesie che a cadenze regolari, molto riservatamente, Marchesi pubblicava per l’editore Scheiwiller.
Umorista raffinato e irresistibile, accostabile forse al solo Achille Campanile, ma con una debordante vocazione allo spettacolo, è stato un autore infaticabile e geniale (e non misconosciuto); lo dimostra la sua presenza sino agli anni Settanta, a volte clandestina perché non sempre si firmava, non solo nel cinema e nella televisione e nella pubblicità, ma anche soprattutto, ancora oggi, nella lingua.
Aveva cominciato con l’Eiar, scrisse dialoghi e sceneggiature anche per l’assai poco disciplinato Totò, per l’avanspettacolo, per la rivista; inventò trasmissioni fortunatissime, dal fortunatissimo Il signore di mezza età, che consacrò la sua fama, a Canzonissima; fu il signore dei Caroselli.
I suoi giochi di parole continuano a vivere come se si fossero staccati dal loro inventore, per diventare autonomi. I comici ancora li saccheggiano. E il caso del libro di Gino&Michele che all’Einaudi scatenò un putiferio per via del titolo e si rivelò un best seller, la dice lunga sulla sua longevità: Anche le formiche nel loro piccolo si incazzano, infatti, è una delle infinite battute di spirito disseminate in Il Malloppo, una sorta di flusso di coscienza fatto di trovate umoristiche, giochi di parole, ironie al quadrato, esercitate soprattutto nei confronti del più metafisico dei nostri assilli, la morte.
Marchesi inventò nei Caroselli un’infinità di slogan deliziosi (“Non è vero che tutto fa brodo”, “Il signore sì che se ne intende”, “Con quella bocca può dire ciò che vuole”, “Basta la parola”, “Come se niente fudesse”).
Quando scriveva per sé, e questi due libri ne sono la testimonianza, si abbandonava invece a un suo dark side (la definizione è di Turchetta): e dunque impattiamo in apoftegmi perentori e definitivi, sorrisi gotici: “Dal mio fioraio le corone da morto le fa la nonna, così si abitua all’idea”; o anche: “A suicidarsi si muore”.
O ancora, nella poesia intitolata Paradiso per industriali: “I cavalieri del lavoro/ giunti in questo luogo/ diventano/ cavalieri del riposo/ e giocano a bocce,/ contenti,/ con le teste dei loro concorrenti”. Non è solo uno sberleffo ai versicoli ungarettiani. Si legga per esempio quella dedicata alla sua guerra in Africa nel 1942, dove la “battuta” si rovescia e diviene moralità, niente affatto sorridente anzi capace di intrappolare il lettore in un labirinto di senso: “Possibile / che quando ero là in buca / ad El Alamein / con i proiettili / che mi arrivavano sopra / come indici puntati / io fossi là / per obbligare Anna Frank / a restare/ chiusa in soffitta/ in attesa della morte?/ Questa è la vera sconfitta”.
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Come tutti i comici, Marchesi conosceva tristezza e melanconia, anzi ne era irresistibilmente attratto. E in quanto autore di enorme successo sembrava, quando scriveva per sé, guardare con un certo disgusto al mondo luccicante e superficiale che non cessava di dare una gran mano a costruire, e anzi a far crescere vorticosamente: al suo “vivere per procura” dietro le quinte, nelle redazioni e nei camerini.
Lui, che quando aveva cominciato al Bertoldo, il settimanale umoristico milanese, “piazzava battute a poche lire l’una” – come scrive Del Buono -, nell’euforia del dopoguerra era diventato il più grande creatore di messaggi nel mondo italiano dei consumi: che gli piaceva e non gli piaceva.
Ma sul suo taccuino tutto diventava festosamente spettacolo, ovviamente anche la politica. Il Dottor Divago che dà il titolo alla raccolta di poesie è Aldo Moro. Ce ne fu anche per Andreotti: “chi non muore, si risiede”; per Giorgio La Pira: “Happy ChristMarx”, per Pietro Nenni: “le confusioni di un ottuagenario” (spietato e forse ingeneroso); e fuori dal Parlamento, per la simpatica Gina Lollobrigida: “il petto atlantico”.
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Nel Malloppo, racconta se stesso partendo dalla nascita con un tono scanzonato un po’ alla Fielding (“Quando nacqui in casa non c’era nessuno. Mio padre era al bar e mia madre in fabbrica”; “Il mio primo soprannome fu Bustapaga”; “Mia madre quando mi vide disse: “Questo non è mio figlio. Non lo voglio”. A modo suo mi voleva bene”).
Ed eccolo anziano e in clinica a riflettere sulla propria vita, per gettar via il peso di quelle sue mille irrefrenabili battute: “Ho sempre lavorato sulle parole come un ciabattino, tirandole di qua e di là, rovesciandole, adattandole a tutti gli usi. A volte penso che siano loro a pesarmi qui sul petto. Tutte quelle parole aggrovigliate. Hanno fatto malloppo, cercherò di liberarmene. Con ogni mezzo”.
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Va detto che Marchesi non arrivò mai veramente alla fase da lui descritta con una certa spensierata cupezza, quella vecchiaia in cui “non è vero che tutti i vecchi sono rompicoglioni. Io, per esempio, sì”.
Morì a 66 anni, nell’estate del ’78, per un banale incidente, su una spiaggia sarda dove trascorreva giorni felici con la sua giovane compagna.
Signore di mezza età per sempre.
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