“La letteratura deve farci sentire il sentimento dell’altro e la sua sete assoluta di giustizia”. Filosofa, teologa e apprezzata autrice, Mariapia Veladiano è tornata in libreria con “Dio della polvere”, un romanzo che affronta il tema degli abusi compiuti sui minori da parte di uomini di Chiesa. La scrittrice mette in scena un dialogo serrato tra una donna e un vescovo: al centro, la fede, le vittime e la responsabilità dell’istituzione ecclesiastica: “Non è un libro contro la Chiesa, ma un richiamo alla sua missione di affrontare con le armi del Vangelo lo scandalo degli abusi”. E aggiunge: “Nel nostro Paese, quando emergono casi di abuso, c’è la tendenza a considerarli singoli e isolati, e non sistemici”. Spazio anche a un’opinione sul nuovo Papa Leone XIV: “Speriamo che arrivi una svolta forte…”

A un certo punto Chiara fissa il vescovo negli occhi e gli dice: “Voi potete rubarmi il sonno, ma non la fede”.

È un momento di tensione ma anche di luce. Rivela il significato profondo dell’ultimo romanzo (ma sarebbe più corretto definirlo pamphlet) di Mariapia Veladiano. S’intitola Dio della polvere (Guanda) ed è il dialogo, serrato e incalzante, tra questa donna e un monsignore su un tema drammatico come quello degli abusi sui minori da parte di uomini di Chiesa con tutti gli annessi e connessi: le sottovalutazioni e le mancate denunce da parte di alcuni vescovi; gli insabbiamenti sistematici; in alcuni casi, anche, l’indifferenza per le vittime.

Filosofa e teologa, “profondamente credente”, come si definisce, già vincitrice del Premio Calvino e finalista allo Strega con La vita accanto, Veladiano in questo libro che, sottolinea, “non è contro la Chiesa, ma un richiamo alla sua missione di affrontare con le armi del Vangelo lo scandalo degli abusi”, compone una rappresentazione dove, nel dialogo tra il vescovo e la donna, si staglia la (bella) figura di Mary Ann, una suora africana, vivace e intelligente, e affiora l’esperienza di una vittima, Luna, a cui Chiara dà caparbiamente voce.

Dio della polvere Mariapia Veladiano libri ultime uscite settembre 2025

Veladiano, com’è nato questo romanzo?
“Vedendo emergere, nel tempo, tante storie di minori abusati di cui sono venuta a conoscenza, raccogliendo informazioni e dialoghi. Parlo di qualcosa che conosco in quanto appartengo alla Chiesa cattolica, sono laureata in Teologia, lavoro da tanti anni per la rivista Il Regno e ho visto crescere questo scandalo della pedofilia nella Chiesa in molti paesi occidentali, Italia compresa”.

Perché ha scelto la forma del dialogo?
“Volevo raccontare senza scivolare nella morbosità. Il dialogo mi è sembrata la soluzione migliore perché Chiara non è coinvolta in senso stretto nella vicenda, non è lei ad aver subito violenza, ma una ragazza che ha in cura. Eppure, Chiara non molla di un centimetro, il vescovo balbetta, a volte non sa come rispondere. La storia si sviluppa quasi come un thriller e questo mi ha permesso di rielaborare nel romanzo tante altre storie che conosco. La letteratura deve innescare questo passaggio, farci sentire il sentimento dell’altro e la sua sete assoluta di giustizia”.

La fede di Chiara non sembra mai essere contrapposta alla ricerca della verità ma sembra quasi l’elemento che sostiene questa ricerca.
“Chiara dice subito di essere una donna di fede e quando parla con il vescovo gli dice che è proprio in nome della fede che la Chiesa deve stare dalla parte delle vittime perché questo insegna il Vangelo. A tratti lei è feroce, certo, ma perché vuole che la Chiesa sia migliore, non che soccomba. C’è un passaggio in cui il monsignore, dopo un lungo silenzio, le dice: ‘Ma lei mi odia?’. E lei risponde: ‘Ma anche sì. Senza impegno, sa?’. Lui, in un altro passaggio, chiede a Chiara perché crede ancora. E lei: ‘Non siete così importanti da togliermi la fede. Il sonno sì, ma la fede no. Gesù è un meraviglioso compagno di viaggio nella mia vita. Mi alzo la mattina e non sono sola’. Questo per dire che la fede è qualcosa di profondo, bellissimo, personale, che dà una forza sovrumana a Chiara di parlare in nome della vittima, dare battaglia, chiedere giustizia, non mollare di un centimetro perché di fronte a una persona abusata la Chiesa non può fare finta di niente, deve accoglierla e renderle giustizia. È il grado minimo dell’amore ed è quel che comanda di fare il Vangelo”.

Chiara è una professionista che a ha che fare con il dolore del corpo. Una scelta casuale?
“No, perché tutte le storie di abusi sono accomunate da un elemento. Dopo la violenza, la memoria mette in atto un meccanismo di autodifesa e taglia via, diciamo così, quel pezzo di storia troppo doloroso da ricordare. Il corpo no, registra tutto, non dimentica, è colpito da dolori di ogni tipo, compresa la sfera sessuale. Una figura riparatrice che tocca il corpo e si prende cura dei suoi dolori è una buona interprete”.

Come ha costruito la figura del vescovo?
“Sulla base di tanti ecclesiastici che ho conosciuto, vescovi e no. Posso dire con assoluta certezza che i tre quarti delle cose che metto in bocca al monsignore nel romanzo le ho sentite con le mie orecchie, le ho trovate nei processi, lette sui giornali o fanno parte integrante delle prediche di molti preti. Purtroppo quando si parla di questi temi i vescovi spesso obbediscono a dei cliché piuttosto rigidi o cadono in riflessi pavloviani”.

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Per lei, credente, è stato difficile affrontare questo tema?
“Lo sdegno e l’incredulità in me sono cresciuti con il crescere delle testimonianze delle vittime. All’estero, la Chiesa ha affrontato questo tema e ci sta lavorando, in Italia ancora no. In Irlanda se ne parla da 30 anni, negli Stati Uniti l’inchiesta Spotlight del Boston Globe risale al 2001 ma le prime indagini datano 1992. La Germania ha fatto un lavoro d’inchiesta notevole, in Francia nel 2021 è stato pubblicato un rapporto dettagliato sugli abusi nella chiesa dal 1950 al 2020 frutto del lavoro certosino della CIASE, una Commissione indipendente e terza a cui la Conferenza episcopale francese ha affidato l’indagine”.

Lei che idea si è fatta di questa “anomalia” italiana?
“Ci sono tante ipotesi avanzate dagli studiosi. Nel nostro Paese, quando emergono casi di abuso, c’è la tendenza a considerarli singoli e isolati e non sistemici. I giornalisti americani che lavorano in Italia e si occupano di questi temi sostengono che c’è un’anomalia anche nel giornalismo italiano”.

Di cosa si tratta?
“Mentre nel mondo americano e anglosassone il giornalismo d’inchiesta è molto forte ed è il cane da guardia del potere, il giornalismo italiano è sostanzialmente schierato da una parte o dall’altra del potere, o pro o contro ma non fa inchieste. Qualcun altro, sempre guardandoci dall’esterno, dice che noi abbiamo una visione troppo alta e sacra della Chiesa, che ci arriva anche dalla storia, ma io non sono molto d’accordo con questa ipotesi”.

L’impegno di Papa Francesco nell’individuare i casi di abuso e rendere giustizia alle vittime non è stato sufficiente?
“Le rispondo citando due tra i più grandi esperti di questo fenomeno. Il gesuita tedesco, padre Hans Zollner, nel 2023 si è dimesso polemicamente da membro della Pontificia Commissione per la tutela dei minori, l’organismo istituito da Papa Francesco nel 2014 per contrastare la piaga degli abusi del clero, perché a suo dire si procedeva con una lentezza che non rende giustizia alla gravità del fenomeno e al dolore delle vittime. Anche don Gottfried Ugolini, responsabile del servizio diocesano per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili della diocesi di Bolzano – Bressanone, sostiene la stessa cosa, che c’è troppa lentezza nelle procedure, anche se quella di Bolzano è stata l’unica diocesi a commissionare un’inchiesta a un organismo indipendente che ha portato alla luce 67 casi di abusi di preti su minori dal 1964 al 2023, con 29 sacerdoti responsabili e vittime tra gli 8 e i 14 anni. Nei giorni scorsi il vescovo di Bolzano, Ivo Muser, ha detto che la commissione diocesana sarà integrata con esperti esterni del tutto indipendenti che aiuteranno ad affrontare in modo scientifico i casi di abuso che si presentano. Questa terzietà è fondamentale”.

Papa Leone nei giorni scorsi ha detto ai vescovi che i casi di abuso “non possono essere messi in un cassetto, ma vanno affrontati, con senso di misericordia e vera giustizia, verso le vittime e verso gli accusati”.
“È ancora presto per esprimere un giudizio su Prevost. Avrà una serie di casi spinosi da affrontare, a cominciare da quello di padre Marco Rupnik, accusato da circa due dozzine di donne, per lo più ex suore, di abusi spirituali, psicologici e sessuali verificatisi negli ultimi 30 anni. Tutti speriamo che ci sia una svolta forte. Più sarà determinata in questa svolta, più la Chiesa si libererà di un’ombra che può ucciderla, nel senso che diventa qualcosa che la avvelena”.

La sua fede è salda o questi scandali l’hanno scalfita e messa in discussione?
“Mi fanno molto arrabbiare rispetto alla mia appartenenza alla Chiesa cattolica ma non certo alla mia fede in Gesù Cristo. Come per Chiara, la protagonista del romanzo, anche per me è chiaro da che parte stare, cioè da quella delle vittime e basta. Per ogni bambino abusato, questo è provato anche dai processi, ci sono almeno dieci persone che sapevano e hanno taciuto. C’è un tema che riguarda la responsabilità collettiva dei credenti, che non sono abbastanza indignati di fronte a questo scandalo. Io lo sono, e anche tanto”.

Cosa auspica con questo libro?
“Mi piacerebbe moltissimo che chi legge sentisse il dolore dell’altro e comprendesse che il nostro compito è fare giustizia, perché è l’unico modo di riparare il male”.

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