A cento anni dalla nascita, arriva in librerie “Donne”, raccolta di racconti (giovanili e in parte inediti) di Patricia Highsmith (19 gennaio 1921 – 4 febbraio 1995). Un’occasione per approfondire, con Mario Baudino, la vita e l’opera di una scrittrice che ha usato il male, il perturbante, il delitto (e non solo) per praticare una sorta di incantesimo. Ma anche una donna in fuga, con una valigia di fantasmi, una vita febbrile e tormentata, tra successi (basti pensare ai film tratti dai suoi libri) e cadute

Patricia Highsmith, scrittrice ipnotista, usa il male, il perturbante, il delitto (ma non solo) per praticare una sorta di incantesimo, o almeno così mi è sempre parso di poterla leggere. Al di là del thriller cui attinge a piene mani, la sua forza è nella complicità in qualche modo “malata” con personaggi fortemente ambigui, nell’ambito di quella sospensione dell’incredulità che richiedono le storie.

Non c’è soltanto nei suoi libri, sempre in atto, una certa qual fascinazione del malvagio – e del male -, ma un continuo, impalpabile e opprimente senso di minaccia incombente, senza il quale i romanzi che le hanno dato la fama, da Sconosciuti in treno (l’esordio del 1950, che divenne un film di Hitchcock) alla serie dedicata a Mr. Ripley, non avrebbero senso.

Parlando del proprio lavoro in Come si scrive un giallo, Highsmith individuò come motore universale la “suspence”; da intendersi direi però come “sospensione” appunto: del tempo sull’asse orizzontale, di un evento incombente su quello verticale dell’esistere, e non solo nell’ambito della narrazione di genere.

Patricia Highsmith donne

Ho sempre pensato che i romanzi della Highsmith (pseudonimo peraltro di Mary Patricia Plangman, nata nel 1921 e scomparsa nel 1995) siano un’epica degli istinti di base. L’etica dello scrittore aderisce totalmente non al fatto bruto, ma a un’idea dell’esistenza come qualcosa di perennemente gravato da un pericolo, che per lo più si manifesta attraverso coincidenze non necessariamente verosimili, o resta sospeso come un nuvola maligna: come accade in modo evidentissimo nei racconti ora pubblicati dalla Nave di Teseo (nella traduzione di Hilia Brinis, Lorenzo Matteoli e Sergio Claudio Perroni) in coincidenza col centenario della nascista della scrittricesalvo eccezioni, giovanili e in parte inediti, pubblicati su rivista soprattutto negli anni Quaranta.

Donne è il titolo, che riprende il Ladies dell’edizione tedesca di Diogenes Verlag, editore di riferimento per un’autrice che dopo i primi successi già negli anni Sessanta si è trasferita in Europa, ed è stata a lungo ignorata nel suo Paese, gli Stati Uniti, fin quasi alle soglie del 2000.

È stata una celebre “expat” di successo (molti dei suoi libri sono diventati film di registi europei) ma anche, o soprattutto, una donna in fuga, con una valigia di fantasmi, una vita febbrile e tormentata, problemi di denaro e la fama non usurpata di un carattere pessimo e imprevedibile, in particolare negli ultimi anni.

In qualche modo, era una scrittrice “maledetta”, bellissima nelle immagini di gioventù con uno sguardo provocatorio e inquietante, devastata col trascorrere degli anni da alcol, nevrosi, litigi, mal di vivere. Joan Schenkar, che le ha dedicato un’importante biografia (The Talented Miss Highsmith: The Secret Life and Serious Art of Patricia Highsmith – ma ne è stata pubblicata anche una italiana e altrettanto buona di Margherita Giacobino, Il prezzo del sogno, per Mondadori) la paragona fra gli autori del Novecento al solo André Gide nell’implacabile insofferenza verso i legami di sangue, nel “famiglie vi odio” dello scrittore francese.

Le brevi storie di questo nuovo libro, che ci propongono in gran parte una Highsmith prima della Highsmith, mentre giovanissima stava mettendo a punto il proprio laboratorio mentale – una è addirittura del ’37 -, ci permettono ora di cogliere in qualche modo i presupposti se non il cuore di un’intera opera. Non sono tutte efficaci allo stesso modo, anzi qualcuna sembrerà tirata un po’ via, ma per lo più sono perfettamente compiute, nel segno proprio dell’insofferenza.

La campionessa del mondo di rimbalzi sul marciapiede è ad esempio un piccolo capolavoro dell’ansia: il primo giorno a New York di una famiglia trasferitasi dal Sud, dove l’angoscia di padre e madre davanti alle difficoltà di una nuova vita si sublima in quella della bambina che dovrebbe farsi un’amichetta e non ci riesce. Mattinate magiche è la storia di un piccolo errore commesso da un taxista che vuole inserirsi in una cittadina di provincia per trovare pace e serenità, e senza capire perché viene rifiutato dal feroce conformismo degli abitanti. Le finestre magiche ci porta in un albergo lussuoso e un po’ barocco dove un “gentiluomo da bar” consuma la propria solitudine, incontra una donna, se ne innamora senza motivo, e la perde senza capire il perché. Non ci sono delitti, ma alleggia appunto a un alto grado di intensità la “suspense”. Il finale è come una lama di rasoio, che si abbatte a sorpresa, eppure beffardamente non “taglia” nulla.

Si tratti di racconti, nel caso dei migliori, molto attenti alla propria musica interiore, con riferimenti poetici a Eliot, Burns o Keats (L’ode all’usignolo, cripticamente citata, è anche il tema di Le finestre magiche). E ci fanno presagire la Highsmith prossima ventura, di cui ora la Nave di Teseo sta rieditando tutte le opere: non solo “gialle”.

Non va dimenticato infatti che subito dopo Sconosciuti in treno Highsmith pubblicò, con lo pseudonimo di Claire Morgan, Il prezzo del sale (riproposto poi come Carol, ne è stato tratto sempre con questo titolo, nel 2015, l’acclamatissimo film di Todd Haynes). È la storia di un amore lesbico con tenui tracce autobiografiche e forse è il suo capolavoro, firmato solo quarant’anni dopo col proprio nome: un romanzo che ci racconta esattamente la greve pesantezza dell’impalpabile, le cui atmosfere sono già riconoscibili e anzi spesso esplicitate in modo magistrale nei racconti.

Leggere queste storie come un semplice incunabolo sarebbe però un errore, anche perché alcune di esse appartengono sì alla fase “matura” della scrittrice, ma sono coerentissime con quelle più giovanili, in un orizzonte di riconoscibile continuità. All’insegna di uno humour a volte nero, che sconfina nel sarcasmo ma anche in una tenerezza fredda, si direbbe spietata, per le sconfitte quotidiane, mettono in scena un gioco raffinato e autonomo tra realtà e apparenza, dove normalità e patologia si contendono e scambiano i ruoli. Vale per i primi racconti e per quelli più tardi, come Mrs Afton, tra i tuoi verdi declivi (che è degli anni Sessanta), dove un analista scopre a poco a poco che verrà beffato dalla sua paziente. Il lettore tenderà a pensare che ci sia molta Highsmith in questa Mrs. Afton. Non sembra il caso di provare a convincerlo del contrario.

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