Pippo Baudo, morto all’età di 89 anni, è stato un pezzo di storia della televisione italiana (suo il record di Sanremo condotti, 13). Grande protagonista della Rai degli anni ’80 e ’90, scopritore di talenti, è entrato con discrezione ed eleganza nelle case degli italiani – Un ricordo

Fine anni Ottanta, inizi Novanta. Internet ancora non c’era. Chi scrive era un bimbetto. L’inizio del Festival di Sanremo coincideva quasi sempre con la fine del Carnevale. Il tempo di partecipare all’ultima sfilata del paese e mettere in soffitta l’abito cucito su misura dalla mamma e dalla zia Caterina, efficientissime, fantasiose e sempre molto solerti, e ci si piazzava davanti al televisore in una sorta di rito social prima dell’avvento dei social. A officiare la settimana più lunga e bizzarra dell’anno, lui: Pippo Baudo, scomparso il 16 agosto all’età di 89 anni, un pezzo di storia della televisione italiana, scopritore di talenti, l’uomo che è entrato con discrezione ed eleganza nelle case degli italiani.

Era nato a Militello in Val di Catania il 7 giugno 1936. Una carriera lunghissima da protagonista, premiata con l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, il massimo riconoscimento, che il Presidente Sergio Mattarella gli ha consegnato al Quirinale il 22 settembre 2021.

89 anni e tanti record, come quello storico di aver condotto 13 Festival di Sanremo, di cui ben cinque consecutivi (dal 1992 al 1996) come l’altra leggenda Mike Bongiorno e come Amadeus.

Ecco a voi. Una storia italiana

Sanremo è Baudo

Ecco, Sanremo è Baudo. La finale del Festival 1987, per dire, fece una media di oltre 17 milioni di telespettatori. Roba da partita dell’Italia ai Mondiali. Record, non a caso, rimasto ancora oggi imbattuto. Il debito pubblico cresceva, ma nessuno se ne curava. Spopolava Fantastico (sempre altisonanti i nomi degli Ottanta), le mattane di Quelli della notte del geniale Renzo Arbore, la pubblicità dei Ferrero Rocher con l’autista Ambrogio in livrea che offriva i cioccolatini a una elegante dama giallovestita dentro una limousine lunga cinque metri e mezzo e con gli arredi in radica laccati oro.

Era tutto esagerato, deliziosamente kitsch, sopra le righe. Ma ogni cosa era al suo posto, o quasi. Beppe Grillo, per dire, per criticare Craxi e i socialisti andava appunto a Fantastico, mica in Parlamento.

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Il Festival per noi bambini era un rito familiare al pari del pranzo di Natale e dei regali della Befana perché avevamo fatto confidenza con chi lo officiava impeccabilmente: lui, Pippo. Era uno di famiglia perché incarnava alla perfezione, con il suo virtuosismo e la sua bravura, il decennio ribattezzato dai sociologi “Sua Evanescenza” e da molti (noi per primi) quasi santificato. La Guerra fredda che diventa periferica, la televisione sempre più centrale (e Pippo è stato la televisione), l’Italia che viaggia con l’inflazione a doppia cifra e le scorie di un terrorismo non ancora sconfitto. E in Vaticano un Papa, Giovanni Paolo II, destinato a sovvertire gli schemi come uscire in incognito in macchina, nascondendosi dietro il giornale del suo segretario, per andare a sciare in montagna.

Gli Ottanta e i Novanta delle spese pazze e del debito pubblico alle stelle li amiamo perché, semplicemente, hanno coinciso con la nostra fanciullezza, quando, si sa, tutto è bello, se non meraviglioso. E del kitsch (e persino del brutto e del male) si vede sempre il lato migliore. “I fanciulli trovano il tutto anche nel nulla, gli uomini invece il nulla nel tutto”, scriveva Leopardi nello Zibaldone.

Ecco, Sanremo – apoteosi massima dei programmi ammanniti dalla televisione, anzi dalla Raitivù come si diceva una volta – era anche il kitsch, o il trash, dalle canzoni bruttarelle allo spettacolo inutilmente lungo, dalla rutilante scenografia alla polemica pretestuosa, a volte anche il nulla, certo, nel quale noi però trovavamo molto, se non tutto.

Ci piaceva quella scalinata faraonica apparecchiata ad hoc all’Ariston da super Pippo per discese che duravano venti minuti di primedonne issate su trampoli improbabili. Ci piaceva la spocchia democristiana, e perciò molto educata e mai irritante, con cui Pippo, negli anni della pensione, magnificava quell’epoca: “I miei Festival sono tutti stati grandi successi. Portai all’Ariston Bruce Springsteen, Whitney Houston, Madonna. I più grandi venivano a Sanremo”.

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Ci piaceva, anche se l’indomani c’era scuola, restare a guardare il Dopofestival a orari marzulliani per sentire le critiche alla mise da educanda di Laura Pausini nella Solitudine (“e il treno delle sette e trenta senza lui / è un cuore di metallo senza l’anima”), le lacrime di Toto Cutugno con Solo tu (cantata con quella faccia cupa, da antidivo: “Odio l’aurora / ora che non ci sei”), e l’ultimo posto di Vasco Rossi. Per scoprirlo, e andare ai suoi concerti, c’era sempre tempo.

“Il format di Sanremo l’ho inventato io”

Del resto “il format di Sanremo l’ho inventato io”, rivendicava Superpippo, che ha plasmato la formula in cinque serate e consacrato lo storico jingle “Perché Sanremo è Sanremo” firmato da Pippo Caruso e Sergio Bardotti.

L’esordio, al teatro del Casinò, nel 1968, con Louis Armstrong: “Fui costretto a cacciarlo”, ricordava Baudo. Il mito del jazz era in gara con il brano Mi va di cantare. Qualcuno gli fece intendere che avrebbe dovuto fare un piccolo show per il pubblico italiano e quindi Armstrong, fiato alla tromba, attaccò O When The Saints Go Marchin In, con tutta l’orchestra in piedi. Il debuttante Baudo, 31 anni, doveva però mandare avanti la serata. Su esortazione del patron del festival, Gianni Ravera, approfittò di una pausa per irrompere sul palco sventolando un fazzoletto bianco. Armstrong pensò che volesse asciugargli il sudore, ma Baudo gli batté la mano sulla spalla: “Please, Mister Satchmo”, e praticamente gli sfilò lo strumento dalle mani.

Tout se tient. E capitava che Baudo correggesse persino Madonna (Sanremo ’95) e noi, ovvio, ci schierassimo con Pippo: “Fu molto simpatica e amichevole”, ricordò lui una volta, “circolava voce che avesse un carattere insopportabile e prepotente, non era vero. Quando venne a cantare Take a Bow le proposi di modificare il finale. La canzone terminava sfumando, le dissi che non chiudeva bene. Lei ascoltò il mio consiglio e accettò di provare delle modifiche. Di lei non posso che parlare bene”.

Tutto cambia, tranne il Festival di Pippo Baudo

Gli Ottanta, intanto, filano via, il costume cambia: non più paninari, discoteche e politica. I Novanta puntano alla velocità, alla rapidità e partono a razzo con computer sempre più veloci (anche nel passare di moda), con cellulari grandi come mezzo ferro da stiro e sempre più diffusi. Si diffonde l’acronimo Tvb, si scrive di più tra sms e le (prime) e-mail e si parla di meno. Tutto cambia, tranne il Festival di Pippo Baudo. Che da par suo ci ricorda, con la sua rassicurante onnipresenza in Tv, che la vita non è mai tutta bianca o tutta nera, ma scorre invece tra infinite sfumature, a volte assume colori splendenti e a volte tinte cupe. E tra Totò Riina e Tangentopoli, c’è sempre un Gigi Proietti a farci sorridere e Raffaella Carrà a farci ballare.

Se anche oggi i ragazzini che armeggiano su Tik Tok guardano Sanremo e sui social commentano ogni canzone, dettaglio e polemica è anche per merito di Pippo Baudo, il primo a tenerci incollati, insieme a mamma e papà, nonni e zii, davanti al televisore a vedere il Festival, quando ci piazzavamo in salotto e ognuno dalla sua postazione sparava la sua raffica di perfidie, le metteva in condivisione da una poltrona all’altra, non avendo a disposizione il web.

La mia Tv. Quarant'anni di televisione italiana

Oggi manca l’ilare spensieratezza di allora

Ma oggi, forse, non c’è l’ilare spensieratezza di allora, l’ironia, che è l’arte di dare a ogni cosa la sua giusta misura, e l’autoironia, virtù dei santi e degli eroi. La capacità lieve di sorvolare, farsi una risata e chiuderla lì, senza livori e ossessioni, senza far diventare le piume macigni, senza processi alle intenzioni. E chissà cosa avremmo vomitato, oggi, sui social, per quella adorabile smargiassata di Sanremo ’95 (successe tutto quell’anno, compreso Elton John che non si presenta all’Ariston per cantare causa litigio in macchina col partner) escogitata da Pippo Baudo e che merita di essere ricordata: giovedì 23 febbraio, poco prima di mezzanotte, sulla balconata dell’Ariston si materializza Pino Pagano, 38 anni, bolognese di Castelmaggiore, disoccupato. Minaccia di lanciarsi di sotto in diretta tv perché disperato e pieno di debiti. A salvarlo arriva lui, super Pippo, che con un negoziato in diretta con ascolti record (oltre 17 milioni di spettatori incollati allo schermo) convince Pagano a desistere dal compiere il gesto estremo. “Cercava lavoro, l’ho aiutato io”, dirà Baudo. “Era tutta una messinscena, volevo diventare famoso, non ero neanche disoccupato”, confesserà Pagano. L’immagine di Baudo che “salva” Pagano, per dire, ogni anno io e i miei amici la mettiamo nel gruppo WhatsApp dedicato a Sanremo. Lo faremo anche l’anno prossimo. In tuo onore, caro Pippo. Fai buon viaggio, ci mancherai. Con te se ne va la parte più bella della nostra vita, quando sognare non costava nulla.

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