“La letteratura italiana, specie del primo dopoguerra, si è soffermata tanto e non a torto sulla provincia, luogo oscuro, informe…”. Su ilLibraio.it la riflessione sulla provincia – nella letteratura e non solo – di Massimo Cacciapuoti, in libreria con “La notte dei ragazzi cattivi”, che cita libri come “Cristo si è fermato a Eboli” di Carlo Levi e “Fontamara” di Ignazio Silone

La provincia, ossia la periferia, il non-centro, o ancora meglio la mancanza di un centro. Il decentramento e con esso tutte le implicazioni di carattere geoantropologico, geofilosofico e geostrutturale. Concetti che mi hanno sempre affascinato molto, da quando ho iniziato la mia avventura-viaggio nel mondo della letteratura, prima da lettore, poi da studente di lettere e infine da autore. Forse perché la provincia, il non-centro, è parte di me, essendo nato e vissuto, tranne alcune pause più o meno lunghe e significative, a Giugliano in Campania, paesone sconfinato alle porte di Napoli, che si atteggia a città extra-metropolitana, dove i problemi, gli eccessi, i guai e i guasti della provincia sono per questioni varie su cui non ci addentreremo, milluplicati.

La periferia come non centro (e qui ci riferiamo a una periferia normale) ha diverse, decine di connotazioni, tutte diseguali, che però lette e interpretate dalla prospettiva sud, assumono forme e sfaccettature assai più complesse e multiformi, per le ragioni storico-sociali a quanto pare ancora da approfondire, considerando il revisionismo storico degli ultimi anni. Ed era inevitabile, quasi, che il mio esordio letterario nel lontano 1997, partisse da qui, dalla periferia, dalla mia Giugliano, descritta in un’epoca di grande trasformazione, quella degli anni post-terremoto che tanti guasti ha provocato, in primis la devastazione territoriale forse assai peggiore di quella prodotta dal terremoto stesso. Pater familias era la storia di quei guasti, di quella devastazione paesaggistica, ambientale che si è riflessa nell’anima della gente, soprattutto delle nuove generazioni, giovani e adolescenti che all’improvviso si ritrovarono senza alcun riferimento, senza più storia, senza più radici immersi in un non-luogo, in uno spazio effimero, spaesante.

La letteratura italiana, specie del primo dopoguerra, si è soffermata tanto e non a torto sulla provincia, luogo oscuro, informe, ma mia profonda convinzione anche origine di quei fermenti vitalistici, di quell’energia primordiale che da sola rappresenta una speranza e una conquista e da cui partire per comprendere nel profondo il senso della realtà nel suo complesso. Quei letterati avevano capito che solo leggendo i fermenti che ribollivano in periferia, nel non-centro, sarebbe stata possibile un’analisi compiuta e antropologica della nuova realtà che da lì a pochi anni si sarebbe affermata. La città con il suo progresso e la sue diverse ma non dissimili forme di perversione. La mia attrazione per la provincia, oltre alle ragioni biografiche di cui sopra, è scaturita proprio da quella letteratura, e da un incontro, in particolare,che risale ai tempi della scuola. La scoperta e la lettura di Domenico Rea, un autore mai dimenticato e forse neppure mai valutato in tutta la sua grandezza. Con Rea iniziò la nuova epopea plebea, successiva e forse ancora più disperante di quella verghiana di quasi un secolo precedente. Significativo è che nel suo Spaccanapoli, la città non compare mai, ma è ellissi della sua Nofi, Nocera Inferiore, dove visse l’ infanzia e l’adolescenza, ed è significativo il senso riposto in esso: la città che ingloba la periferia, che fa tutt’uno con essa, è essa stessa periferia.

E Rea affonda la sua ricerca nelle origini, partendo da quell’immenso compendio favolistico e immaginifico che fu Lo cunto de li cunti di Basile, dove ogni periferia è descritta e analizzata, è fatto luogo di fascinazione ma anche di arretratezza, tra maghi fattucchiere e ciarlatani, orchi e streghe. Un testo quanto mai contemporaneo, quello del Basile, oltre la lingua ostica, quel napoletano barocco e iridescente, a tratti incomprensibile anche a chi è napoletano come me. Ma uscendo dai margini della Campania, cosa che ho cercato di fare nel mio ultimo romanzo, creando una sorta di provincia ideale, Guggiano, situata in un’area geografica di confine, tra quel centro Italia che non esiste più, spazzato via ancora dal terremoto, e il basso Lazio, una specie di personale ciociaria, altro autore per me fondamentale è indubbiamente Ignazio Silone, che partendo dalla sua provincia abruzzese, assurge temi universali. Indimenticabile la Piana di Fucino di Fontamara (anch’esso luogo inventato), dove vivono i suoi cafoni.

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E ancora, altra cultura, altra forma di vita ed esperienza esistenziale è nel Paese d’ombre di Giuseppe Dessì, che ci descrive la mitologia della sua meravigliosa terra, partendo dal Risorgimento tradito. O come dimenticare Carlo Levi, nel suo Cristo si è fermato a Eboli deve una borghesia parassitaria vive sulle spalle proprio di quella plebe arretrata, legata a superstizioni e culti della terra, che non ha strumenti per ribellarsi. Altri titoli potrebbero aggiungersi, fino ad arrivare ai giorni nostri, da Ammaniti a Giuseppe Lupo del Ballo ad Agropinto, o della Carovana Zanardelli, in cui ci racconta la sua straordinaria terra, la Basilicata ancora ferma a un passato mitico, ma ricca di suggestioni, di forza di vitalismi quegli stessi di cui dicevamo all’inizio, da cui siamo sempre più convinti, posso ripartire un nuovo umanesimo.

Massimo Cacciapuoti la notte dei ragazzi cattivi copertina

L’AUTORE E IL LIBRO – Massimo Cacciapuoti, napoletano classe ’70, ha esordito con Pater Familias (Castelvecchi) da cui è tratto il film omonimo, con la regia di Francesco Patierno. Il suo secondo romanzo, L’ubbidienza, è edito da Rizzoli, mentre per Garzanti ha pubblicato  L’abito da sposaEsco presto la mattinaNon molto lontano da qui e Noi due oltre le nuvole.

Cacciapuoti è tornato in libreria con un nuovo romanzo, La notte dei ragazzi cattivi (minimum fax) in cui la vita di Giulia, maestra di sostegno di una scuola elementare di Guggiano, affezionata a Fabio, un ragazzino con gravi problemi d’integrazione e preso di mira dal bullo della scuola – Ascanio Lombardi detto il Maiale -, si interseca con quella della famiglia di Fabio: sua sorella Valentina, la madre giovane e malata, ma soprattutto col padre Giuseppe, un uomo violento che ama i propri figli e soffre di questa dicotomia inconciliabile. Quindici anni prima, infatti, Giulia e Giuseppe hanno attraversato una terribile notte, iniziata con uno scherzo spietato, e dopo anni di lontananza Giulia ritorna al suo paese per riprendersi la sua vita, senza più sfuggire ai fantasmi del passato. Ma in tutto questo il piccolo Fabio vorrebbe solo scappare via. Una storia dura ed emozionante, che esplora senza timore i luoghi più oscuri dell’infanzia e dell’adolescenza.

 

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