“Che sia un espediente buttato lì per acchiappare una specifica fetta di pubblico o che possieda una solida funzione narrativa all’interno della vicenda poco importa: negli ultimi decenni il citazionismo e la retromania hanno preso sempre maggiore spazio, e tra omaggi e plagi, prequel e sequel, reboot e remake, spin-off e crossover, al momento questa febbre non sembra destinata a esaurirsi”. In occasione dell’uscita di “Morsi”, su ilLibraio.it la riflessione dello scrittore ed editor Marco Peano

Ammettiamolo: ogni volta in cui all’interno di un’opera di finzione – sia essa un libro, un film o una serie tv – appare un elemento che ci fa compiere un balzo all’indietro di molti anni, riportandoci al periodo della nostra infanzia o della nostra adolescenza, il tuffo al cuore che proviamo ha un sapore unico. Unico, ma non per tutti necessario o piacevole.

Riconoscere una madeleine tra le pieghe delle storie di cui ci nutriamo ogni giorno può infatti sortire due effetti diametralmente opposti, perché – semplificando un po’ – sono due le principali categorie a cui come pubblico possiamo appartenere. Ci sono i nostalgici che di quella merendina citata di sfuggita o di quel videogioco che compare fulmineo ne vorrebbero ancora e ancora, grati del ricordo che all’improvviso si è riaffacciato; e c’è chi invece quel tuffo al cuore lo avverte come un piccolo scricchiolio da sondare con diffidenza e sospetto, perché magari non aveva nessuna intenzione di ripensare alla canzone mielosa che si ballava durante le feste delle medie (del resto chi ti piaceva, come da copione, quel lento lo ballava con tutti tranne che con te).

Che sia un espediente buttato lì per acchiappare una specifica fetta di pubblico o che possieda una solida funzione narrativa all’interno della vicenda poco importa: negli ultimi decenni il citazionismo e la retromania hanno preso sempre maggiore spazio, e tra omaggi e plagi, prequel e sequel, reboot e remake, spin-off e crossover, al momento questa febbre non sembra destinata a esaurirsi.

Prendiamo Stranger Things, ad esempio, la serie dei fratelli Duffer che ha esordito nel 2016 e che è diventata rapidamente uno dei maggiori successi di Netflix. E partiamo dai titoli di testa: qualunque estimatore di Stephen King non può essere rimasto indifferente davanti al logo, che riprendendo nel font alcune delle più celebri copertine del Re (fra cui It, Misery e Pet Sematary – per sparare tre pezzi da novanta) omaggiava al contempo la collana di storie a bivi per ragazzi “Scegli la tua avventura“. E soprattutto si rifaceva al lavoro di Richard Greenberg, l’artista che per il cinema curò personalmente la grafica dei titoli di film che segnarono un’epoca, come Alien, Superman o I Goonies. Tanto che proprio quest’ultima pellicola, diretta da Richard Donner nel 1985, è ulteriormente rafforzata nel tessuto narrativo di Stranger Things dalla presenza nel cast di Sean Astin, attore che da giovanissimo ne I Goonies prestò il suo volto all’indimenticabile personaggio di Mikey Walsh, archetipo dei ragazzini che abitano la cittadina di Hawkins.

Ma il vertiginoso meccanismo di scatole cinesi e di ammiccamenti al pubblico adolescenziale che negli anni Ottanta si abbeverava a queste storie è infinito: dentro Stranger Things sono rintracciabili i giochi di ruolo e le tute dei Ghostbusters, la bicicletta di E.T. e la colonna sonora di La storia infinita… Impossibile – e anche un po’ inutile – elencare tutte le citazioni. Quello che conta, e che evidentemente ha funzionato nella serie dei fratelli Duffer, è il desiderio di voler ricreare un universo dove tenendo insieme tutto ciò che ci è stato a cuore proviamo a esorcizzare i nostri incubi.

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Un luogo dove far convivere la paura per l’ignoto con il divertimento, le prime e goffe esperienze sessuali con la speranza di non crescere troppo in fretta, il desiderio di sentirsi diversi dagli altri con i piccoli e grandi dolori che iniziano a insinuarsi nelle nostre giornate. Dunque non importa se si è nostalgici o se invece si rifugge la nostalgia: le storie che amiamo di più trovano sempre – in un modo o nell’altro – una strada che ci conduce dove mai ci aspettavamo di capitare. Ed è così che il cambio di rotta, spiazzandoci, ci regala un’altra possibilità. Talvolta persino quella di riuscire a ballare il lento che ti eri perso quando avevi dodici anni.

morsi marco peano

L’AUTORE – Marco Peano è nato a Torino nel 1979, ed è editor di narrativa italiana per la casa editrice Einaudi. Ha pubblicato nel 2015 il suo primo romanzo, L’invenzione della madre (minimum fax), Premio Volponi opera prima e Premio Libro dell’anno di Fahrenheit.

Per Bompiani ha da poco pubblicato Morsi, il suo nuovo romanzo . Un’opera narrativa che si colloca in una costellazione, quella del racconto gotico, e ne abbraccia i temi a piene braccia: l’autore, infatti, conosce perfettamente il racconto gotico che lambisce l’horror, il romanzo di formazione, il quadro degli anni Novanta che viene ricostruito minuziosamente (qui il nostro approfondimento).

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