“Questa è la storia della mia famiglia come di tutte le famiglie rom e sinte, vorrei diventasse un coro di comunità che finalmente apra la porta a un incontro, a una rivendicazione”. Su ilLibraio.it la riflessione di Morena Pedriali Errani, artista circense e attivista per le minoranze romanì, all’esordio con il romanzo “Prima che chiudiate gli occhi”. L’autrice ricorda la nonna (“mondina, circense, partigiana, madre single negli anni ’50”) e i “partigiani rom e sinti, all’epoca vittima delle leggi razziali e chiusi dapprima nei campi fascisti italiani aperti appositamente per noi” e poi, “una volta scappati, combattenti nelle file della Resistenza…”

Le prime parole di questo romanzo sono nate esattamente undici anni fa. Era dicembre, tornavo da scuola e la prima neve era lieve, piccoli denti d’acqua sciolta che mi bagnavano le ciglia. Sembravano scusarsi quasi, di portare l’aria che portavano.

La nonna è tornata al vento”.

Solo questo mi ha detto mio padre. Nonna Fiamma, vena di mirto e radice di ortica, Nonna Fiamma che mi aveva cresciuto regalandomi rose bianche e caffè da versare nella terra per i morti, due gocce per salutarli e sette per benedirli, Nonna Fiamma non c’era più. O meglio c’era, era nel vento dove noi sinti torniamo, ma io avrei scordato un giorno la sua voce e le rughe intorno alle sue labbra quando si rifiutava di parlare della guerra. Avrei scordato le sue mani di pesca e il profumo di mandorlo che spruzzava sui vestiti. Sarebbe stata una vita, comune al mondo e straordinaria per me, passata come tante, senza che la neve ne conservasse delle orme alcun ricordo.

Qualche mese dopo, seduta in riva a un fiume, buttando due rose bianche all’acqua per ricordarla, ho sentito nelle ossa questa paura, l’angoscia che la sua storia venisse dimenticata, che un giorno nessuno avrebbe più saputo le sue piccole, immense e quotidiane rivoluzioni di mondina, circense, partigiana, madre single negli anni ’50, donna resistente fino all’ultimo attimo di lucidità.

La prima idea l’ho sognata, ed erano fili rossi attaccati ai rami degli alberi. Noi li mettevamo quando vivevamo in carovana per segnare il passaggio agli altri Sinti, a seconda dei nodi per comunicare con loro vie e sentieri sicuri o come ricordo di cari defunti. Fili rossi attaccati agli alberi, come tante Arianna tese per ritrovare Teseo. Poi ho sentito, per caso, alla radio, una canzone di Roberto Vecchioni, Dentro gli occhi e lì ho costruito i primi due personaggi, Fiamma e Libero.

Un ritrovarsi e correre via, un eterno cerchio che non so ancora che fine abbia mai avuto. Quello su cui ho lavorato di più è stato, però Nehat, ispirato a mio padre. Volevo ritagliarlo come una scultura fedele, rendere le vite considerate comuni attraverso la quotidiana, invisibile loro resistenza. Ed è stata proprio la Resistenza a essere quel filo rosso che Fiamma-Arianna lascia come monito ad un Teseo che l’abbandona, il filo rosso del popolo sinto che ancora oggi si strappa dai rami degli alberi, non si vuole vedere. La resistenza delle donne dentro ai campi “nomadi” che piantano basilico e camomilla, che lasciano fiori alle finestre di vite che potrebbero essere spazzate via con uno schiocco di dita, uno sgombero alla volta.

La storia prende ispirazione anche dai partigiani rom e sinti, all’epoca vittima delle leggi razziali e chiusi dapprima nei campi fascisti italiani aperti appositamente per noi come Prignano sulla Secchia, Agnone, Bolzano, Berra, Risiera di San Sabba, e poi, una volta scappati, combattenti nelle file della resistenza. Sinti che addirittura, prima dell’apertura di questi campi nel ’40, erano stati chiamati alle armi.

Non riconosciuto (nemmeno ad oggi) come minoranza etnica presente sul suolo italiano da seicento anni, ma utili come carne da macello. Rom e sinti che, poi deportati ad Auschwitz, condussero nel ’44 una rivolta durata dal 16 maggio al 2 agosto con pietre e bastoni, scalzi e vittima di esperimenti di Mengele che proprio nello Zigeunerlager aveva la propria baracca di “lavoro”.

Questa è la storia della mia famiglia come di tutte le famiglie rom e sinte, vorrei diventasse un coro di comunità che finalmente apra la porta a un incontro, a una rivendicazione.

Seicento anni troppo tardi, sulle spalle dei nostri antenati, per ricordare che non siamo vittime ma figli della Resistenza.

Prima che chiudiate gli occhi di Morena Pedriali Errani

L’AUTRICE E IL SUO PRIMO ROMANZO – Morena Pedriali Errani, 27 anni, nata e cresciuta a Ferrara, viene da una famiglia sinta e circense. È a sua volta artista circense, attivista per le minoranze romanì e parte del team Comunicazione di Movimento Kethane. Nel 2017 è arrivata in semifinale al Premio Campiello Giovani e l’anno successivo al Premio Chiara Giovani. Nel 2022, ha presentato alcuni scritti al Parlamento Europeo di Bruxelles con l’associazione rom Phiren Amenca.

E veniamo così a Prima che chiudiate gli occhi, il suo primo romanzo, in libreria per Giulio Perrone editore. Nelle notti di vedetta, accompagnata dalla brace di una cicca, Jezebel sa che le risposte possono arrivare solo dal vento. La forza, l’intensità del soffio, sono messaggi degli antenati, indicazioni per comprendere come muoversi tra ingiustizie, violenza, soprusi ma anche gioie quotidiane, sogni, ambizioni.

Nel pieno del ventennio fascista la ragazza scopre fin da giovane quanto sia difficile sopravvivere: anche se in quei luoghi è nata, anche se lì sono cresciuti i suoi antenati, non mancano continui soprusi e vessazioni; su tutti, quello di chiamare alle armi, allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, gli uomini sinti per farne carne da battaglia. In questo contesto Jezebel decide di unirsi alla lotta partigiana, per difendere la sua gente, e nella speranza di far parte di un gruppo che possa mettere fine all’orrore della guerra. La storia di Jezebel è il canto di un popolo inascoltato, tenuto ai margini, su cui mai si rivolge lo sguardo. Una sola richiesta ci viene fatta dalla ragazza nelle prime pagine, da subito, e per l’ennesima volta, di non voltarci dall’altra parte, di non chiudere nuovamente gli occhi.

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