“Ho sempre letto tanto, e questo mi ha dato la possibilità di entrare nelle vite altrui. La storia che racconto, che può essere giudicata più o meno particolare, è comunque stata la grande esperienza della mia vita, e avevo la necessità di farla diventare un libro per poterla consegnare agli altri”

Samantha Cristoforetti è la prima donna astronauta italiana. Dopo essere tornata dalla sua missione sulla Stazione Spaziale Internazionale ha scritto un lungo memoir in cui racconta la sua esperienza nello spazio. ilLibraio.it l’ha intervistata

Abbiamo visto Samantha Cristoforetti (nella foto ESA/NASA, ndr) lavarsi i capelli fluttuando nel vuoto, preparare tacos spaziali, mostrarci quanto da lassù – per citare il più illustre dei precursori – la Terra sia bellissima, senza frontiere né confini.

Faceva parte del suo lavoro di astronauta, comunicare attraverso i canali dell’ESA, l’Agenzia Spaziale Europea, la quotidiana straordinarietà della sua missione. Forse per certi versi addomesticati agli occhi di chi non può neppure immaginare cosa sia vivere in una stazione spaziale, gli astronauti con Internet e i social network fanno anche questo: si inseriscono nel racconto, quasi leggendario, che circonda le loro missioni. In realtà la loro è un’attività fatta prima di tutto di tanta abnegazione, percorsi di studio rigorosi, e un lungo e faticoso apprendistato.

Tutti questi elementi emergono perfettamente da Diario di un’apprendista astronauta, il memoir divulgativo di Samantha Cristoforetti, uscito per La nave di Teseo nei mesi scorsi, in cui racconta la sua esperienza, dall’esame per diventare astronauta, alla conclusione della sua prima missione sulla ISS, la Stazione Spaziale Internazionale, terminata nel giugno del 2015.

Cristoforetti, prima donna astronauta italiana, mette a disposizione del lettore tutta la sua vicenda professionale, aprendo uno squarcio su elementi che, oltre a non essere particolarmente conosciuti, aiutano a meglio comprendere un’industria che condiziona silenziosamente le nostre vite e di cui, tuttavia, sappiamo incredibilmente poco.

Ci siamo tutti commossi ascoltando il canadese Chris Hadfield suonare Space Oddity dalla ISS, ma non abbiamo quasi idea di come abbia fatto, nella pratica, ad arrivare fin lì (e con una chitarra per di più): Cristoforetti risponde dettagliatamente a questa e altre centinaia di domande sull’addestramento degli astronauti (il libro supera le 500 pagine), ci porta a Houston e, soprattutto, nella semisconosciuta Città delle stelle, la capitale della cosmonautica alle porte di Mosca, dove si viene addestrati all’utilizzo della navicella Soyuz e del modulo russo della stazione spaziale. Nonostante Samantha Cristoforetti entri nel merito di ogni esercitazione e di ogni tecnologia, oltre a raccontare i mesi passati sulla ISS, il suo stile è divulgativo e la lettura, di conseguenza, resta agile.

ilLibraio.it l’ha incontrato in occasione del Salone del Libro di Torino.

Libro di Samantha Cristoforetti

In Diario di un’apprendista astronauta racconta un periodo della sua vita tanto lungo quanto importante: scrivere questo libro è stato in qualche modo come mettere un punto a un ciclo?
“Scrivere Diario di un’apprendista astronauta è stato per me la conclusione dell’avventura, se non l’avessi scritto credo che sarebbe rimasta in qualche modo sospesa. Questo forse perché tanta della mia esperienza del mondo è stata mediata dai libri; sono cresciuta in un paesino di montagna, quindi con una possibilità di sperimentazione molto ristretta. Però ho sempre letto tanto, sin da bambina, e questo mi ha dato la possibilità di entrare nelle vite altrui, nelle storie altrui. La storia che racconto, che può essere giudicata più o meno particolare, è comunque stata la grande esperienza della mia vita e avevo la necessità di farla diventare un libro per poterla consegnare agli altri, a chiunque la voglia leggere e viverla per interposta persona, farla sua”.

Per un astronauta quanto è importante comunicare il suo lavoro al resto del mondo?
“Ormai è una cosa che viene data quasi per scontata. C’è l’aspettativa – legittima – da parte del pubblico di sapere nel dettaglio che cosa effettivamente venga fatto in queste missioni spaziali. È giusto che sia così, perché ci sono anche di mezzo investimenti pubblici importanti: ovviamente non sono soldi ‘buttati nello spazio’, sono tutti contratti che, tra le altre cose, fanno lavorare le nostre industrie, alcune anche molto strategiche”.

Da quanto racconta nel suo libro, sembra che nel suo mondo lavorativo non si riflettano tutti quei conflitti tra Paesi e nazioni che invece sono all’ordine del giorno.
“È la differenza del mondo del lavoro rispetto a quello della politica, di chi si occupa delle relazioni fra i Paesi e di questioni di interesse nazionale. Sono cose ugualmente importanti e legittime, ma si pongono su livelli differenti. Nella nostra vita ci rimbocchiamo le maniche tutti insieme per far succedere qualcosa a cui tutti quanti teniamo. Alla fine per noi è molto facile concentrarci sul lavoro che facciamo, invece che sui conflitti tra i nostri Paesi. Non dico che siano questioni che non ci appartengono, ma sono più lontane, più astratte, rispetto alla dedizione quotidiana per la missione che abbiamo in comune”.

Nel percorso di preparazione ai viaggi spaziali ha frequentato due grandi poli: Houston e la Città delle stelle, alle porte di Mosca. E a risultare particolarmente interessante, per il lettore, è proprio la sua esperienza in Russia.
“È per questo che molti capitoli del libro sono ambientati in Russia: mentre scrivevo è emerso l’affetto speciale che nutro per la Città delle stelle. E poi anche il veicolo con cui siamo andati nello spazio, la navicella Soyuz, è russo, quindi anche le parti più accattivanti e più emotivamente coinvolgenti della mia esperienza si sono svolte alla Città delle stelle, come la costruzione della tuta, il lancio, il rientro, la quarantena… Insomma, la Città delle stelle è inevitabilmente uno dei ‘personaggi’ principali del libro, e se in qualche modo posso avvicinare i lettori e le lettrici a questo mondo particolare, e anche un po’ leggendario e mitico, dei cosmonauti,  mi fa molto piacere. Credo possa essere una bella scoperta”.

Passando all’attualità: come si concilia il progetto di Elon Musk di portare i civili nello spazio con la lunga e faticosa preparazione degli astronauti che racconta nel suo libro?
“Il progetto di Elon Musk per adesso non si è ancora concretizzato; quello che è successo in passato, che è già storia, è il fatto che abbiamo portato nello spazio alcuni cosiddetti ‘turisti spaziali’. Persone molto facoltose, che compravano ‘biglietti’ da milioni di dollari (o l’equivalente in euro e in rubli) per andare con la Soyuz nello spazio per qualche giorno. Si è sempre trattato di persone estremamente capaci e brillanti, che prima di partire hanno fatto un piccolo addestramento di sei mesi. Ovviamente l’equipaggio non era composto solo da loro, c’erano sempre degli astronauti professionisti a svolgere la maggior parte delle attività a bordo. Poi è chiaro che si possono creare dei veicoli spaziali esclusivamente per il turismo, e che quindi siano il più possibile automatici, perché lo scopo sarebbe solamente vivere un esperienza, senza compiti particolari o eccessivamente difficili da svolgere, e gli astronauti professionisti in questo caso sarebbero una sorta di equipaggio, come nelle navi”.

Però, al di là della fatica, dev’essere comunque un’esperienza emotivamente forte trovarsi nello spazio.
“È un’esperienza emotivamente forte, ma non in senso negativo o minaccioso. Nel  momento in cui ci sono delle altre persone che si occupano degli aspetti di sicurezza e di gestione della missione, tu da ‘turista spaziale’ puoi goderti semplicemente la parte di puro piacere di questa esperienza. Sarà un po’ come andare in crociera, o almeno, così lo immagino, perché questo modello non esiste ancora”.

Chi segue l’attività degli astronauti, paradossalmente, conosce di più la vita sulla ISS, grazie ai racconti su Internet e sui social, rispetto a tutta la fase preparatoria, che lei racconta molto approfonditamente nel suo libro.
“È la parte per cui ho impiegato molto più tempo sia a scrivere sia a ricostruire i ricordi, perché non avendola mai raccontata in precedenza non avevo materiale su cui basarmi. Sono davvero partita da zero, ricostruendo tutto, riguardando i programmi degli addestramenti, la documentazione, le email scritte in quel periodo. Ho proprio fatto un lavoro quasi storiografico, perché volevo rimanesse una documentazione accurata di questa esperienza, anche nel caso venisse utilizzato un domani per ricostruire elementi storici di questo determinato periodo dell’esplorazione spaziale. In particolare, volevo sia parlare di questa fase del lavoro dell’astronauta, di cui in generale si parla pochissimo, sia rendere la mia storia nella sua interezza, e da questo punto di vista è ovvio che cinque anni di vita, rispetto a sei mesi nello spazio, sono importanti e devono essere resi adeguatamente. Poi, anche se la parte maggiore del libro racconta cose del tutto inedite, ho voluto inserire anche elementi della vita sulla ISS che erano già stati raccontati in altri canali: un libro deve poter comunque vivere in maniera autonoma, non pensando che venga necessariamente letto dopo aver visto i video su YouTube”.

Nel libro lei cita Guida galattica per autostoppisti di Douglas Adams. La narrativa di fantascienza ha influito in qualche modo nella strada che ha intrapreso? E ha avuto altri riferimenti importanti in tal senso?
“Il riferimento più grande, indubbiamente, è stato Star Trek. Non è propriamente narrativa, ma una serie tv, però direi una bugia se non rivelassi che da adolescente ne ero proprio appassionata: ero una fan sfegatata, quella che si scriveva i dialoghi degli episodi e li batteva a macchina, insomma quelle cose un po’ pazze che si fanno da ragazzini quando si hanno delle grandi passioni. E poi, più in generale, leggevo tanta fantascienza, credo che sia un modo per abituarsi a questo mondo, fatto un po’ di avventura e un po’ di tecnologia, che poi effettivamente è quello degli astronauti”.

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