“Ray è una versione di me. Spesso mi chiedono come una giovane donna possa scrivere con la voce di un uomo anziano, ma rispondo sempre che non siamo definiti dalla nostra età o dal nostro genere: gli esseri umani sono molto più complessi di così”. Parola di Sara Baume, che si sofferma sul protagonista del suo romanzo, “Fiore frutto foglia fango”. La scrittrice irlandese a ilLibraio.it svela anche le somiglianze con il protagonista, si sofferma sul rapporto speciale con il suo cane e con il suo paese d’origine. E cita gli autori che ama leggere, perché la lettura è “un conforto”

Sara Baume esordisce con un romanzo che in realtà è un monologo: quello di un uomo che si rivolge al suo cane. Il protagonista di Fiore frutto foglia fango (NN, traduzione di Ada Arduini) è Ray, un personaggio solitario, che ormai si avvicina alla senilità; vive da solo nella casa del padre, scomparso da qualche anno. Un giorno vede un annuncio del canile: un cane nero, senza un occhio, cerca casa. E così Ray decide di adottarlo e chiamarlo Unocchio.

Di Unocchio non sappiamo quasi nulla: forse ha perso la vista a causa di un combattimento con un tasso. Il cane, arrivato a casa di Ray, è spaventato, ma non ci mette molto ad ambientarsi. La sua inadeguatezza sta nel rapporto con i suoi simili: quando incontra un cane non può fare a meno di morderlo. Anche Ray ha problemi con i suoi simili, gli umani, tanto che limita al massimo il contatto con la società e negli anni si è creato un mondo privato, fatto di libri e di contatto con la natura che lo circonda: conosce il nome di fiori, piante, animali.

Dopo qualche mese di convivenza, Ray e Unocchio si trovano ad affrontare un’avventura inaspettata, ma causata proprio dal comportamento del cane, che porta l’uomo a testare i limiti che si era imposto.

Nel romanzo, oltre al rapporto speciale tra un umano e il suo cane, troviamo il racconto di due anime così simili che si incontrano. E la natura che si fa sovrana del loro mondo.

Sara Baume, i protagonisti del suo libro sono un uomo e il suo cane: perché ha scritto un romanzo sulla relazione tra un animale domestico e il suo proprietario umano?
“Quando ho iniziato a prendere appunti per il romanzo, trascorrevo molto tempo da sola con il mio cane, parlando molto più con lui che con gli umani. All’inizio ho faticato a trovare una voce per il libro. Avevo iniziato scrivendo dal punto di vista di un cane, ma mi sono resa conto che non sarebbe stata sostenibile per l’intera lunghezza della narrazione. Ho studiato parecchio e ho scritto un saggio sui libri scritti dal punto di vista di un cane, cercando in qualche modo di giustificarli”.

Come ha cambiato idea?
“Quasi ogni giorno, seduta alla scrivania, vedevo un anziano camminare sulla spiaggia con il suo piccolo cane nero e ho deciso di fare un tentativo e usare il suo punto di vista. Cercavo un narratore che condividesse la mia sensazione di isolamento e solitudine, ma ne rappresentasse una versione estrema. Qualcuno la cui vita potesse essere trasformata in meglio da un terrier delinquente. Ed è così che è nato il personaggio di Ray”.

Si tratta di una relazione fatta di pochissime parole. Nella nostra società, stiamo dando troppa importanza alla comunicazione verbale?
“Non è completamente corretto, visto che il romanzo è un monologo di duecento pagine che Ray fa a Unocchio. Ma è anche vero che non c’è praticamente nessun dialogo tra umani. E sono completamente d’accordo sul fatto che oggi stiamo dimenticando l’importanza della comunicazione non verbale: viviamo in tempi così insofferenti! Come scrittrice, sono molto più interessata alle descrizioni che ai dialoghi: scrivo raccontando immagini ed è l’unico modo che conosco”.

Ray è incapace di comportarsi in situazioni sociali, proprio come il suo cane “aggressivo”. Come si fa a scrivere di un personaggio emarginato senza cadere negli stereotipi del caso?
“Ray è una versione di me. Spesso mi chiedono come una giovane donna possa scrivere con la voce di un uomo anziano, ma rispondo sempre che non siamo definiti dalla nostra età o dal nostro genere: gli esseri umani sono molto più complessi di così. Molte delle abitudini e delle insicurezze di Ray sono anche mie, così come numerosi interessi e peculiarità. Credo che considerarlo una versione di me stessa mi abbia aiutata a non cadere negli stereotipi”.

La connessione con la natura e la sua parte più selvaggia è cruciale: il luogo in cui vive l’ha in qualche modo influenzata?
“Sono cresciuta nella campagna irlandese, poi a diciotto anni mi sono trasferita a Dublino, dove ho vissuto per sette anni. Quando sono tornata in campagna, nel 2011, mi sono trasferita vicino al porto di Cork, ho adottato un cane con un solo occhio e insieme abbiamo iniziato a esplorare i dintorni. Ho trascorso molto tempo a parlare con lui e a prendere appunti sulla natura, il paesaggio e la solitudine. Mi ha intristita scoprire quanti nomi di alberi, insetti e fiori – che mia madre mi aveva insegnato da piccola – avessi dimenticato. Così ho deciso di impararli di nuovo: questo è diventato un processo importante per la scrittura del romanzo. Il mondo di Ray è molto ristretto e per questo ne conosce ogni aspetto con minuzia. Camminare con Unocchio, poi, lo costringe a rallentare e a osservarlo ancora più da vicino”.

Ray trova conforto nei libri. Che cos’è per lei la letteratura?
“Conforto, alcune volte, altre studio. Lavorare con le mani è tanto importante quanto i libri. Da quando scrivo fiction scolpisco anche piccoli oggetti. Per me costruire è un modo di pensare e ricercare libero dalle costrizioni del linguaggio… in qualche modo il lavoro manuale dona libertà alla mente”.

Chi sono gli autori contemporanei che apprezza maggiormente?
“Al momento direi Valeria Luiselli, Rachel Cusk, Lina Merune, Nicola Barker, Kjersti Skomsvold, Han Kang, Gerbrand Baaker, Delphine De Vigan, Peter Stamm e Samantha Scweblin…”

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