Dalla letteratura al cinema, dalle serie tv al teatro: alcune tra le più interessanti narrazioni degli ultimi anni – sollecitate dalle grandi rivoluzioni tecnologiche in atto e dal loro impatto sempre più evidente sulle nostre vite – sembrano esplorare il labile confine tra scienza e mistero, fisica e metafisica, alla ricerca di un senso che pare ecceda sempre ogni possibilità di calcolo. E che solo l’arte, forse, ha il potere di illuminare per altre vie. In particolare i romanzi, quando scelgono di spalancarsi su terreni di conoscenza inesplorati, possono farsi addirittura profetici… Ne parla su ilLibraio.it la scrittrice Giuliana Altamura, che torna in libreria con “L’occhio del pettirosso”, un romanzo che ha per protagonista un fisico ricercatore al CERN

Il dialogo tra scienza e arte è oggi più necessario che mai per poter comprendere e rappresentare la complessità del mondo in cui viviamo. Discipline come la fisica quantistica o la biologia computazionale hanno aperto le porte a un nuovo modo di pensare alla realtà ponendo interrogativi sempre più potenti, primo fra tutti: qual è il limite della nostra conoscenza? Fino a che punto ci è dato sapere?

“Mi è chiaro che nulla possiamo conoscere”, esclama il Faust di Goethe in apertura al primo atto, “Ecco perché mi sono dato alla magia!”.

atlante occidentale daniele del giudice

Alcune tra le più interessanti narrazioni degli ultimi decenni – sollecitate dalle grandi rivoluzioni tecnologiche in atto e dal loro impatto sempre più evidente sulle nostre vite – sembrano esplorare proprio questo labile confine tra scienza e mistero, fisica e metafisica, alla ricerca di un senso che pare ecceda sempre ogni possibilità di calcolo e che solo l’arte, forse, ha il potere di illuminare per altre vie.

Daniele Del Giudice – da grande precursore quale è stato – ha raccontato nel suo Atlante Occidentale l’incontro tra un fisico, Pietro Brahe, e un famoso scrittore, Ira Epstein, ponendo a confronto due diverse modalità di ricerca, quella scientifica e quella artistica. E proprio lì dove – tra i magneti e i circuiti del CERN – la materia sembrerebbe essere meno elusiva, la si scopre altrettanto inafferrabile di un’immagine o di una parola. Epstein vorrebbe apprendere da Brahe come “vedere oltre la forma” degli oggetti per poterne scrivere, e lo segue in quegli stessi laboratori in cui stanno nascendo strumenti capaci di accedere alla “profondità di una materia nella quale le dimensioni non erano più quattro, ma dieci, o undici, e quelle sconosciute e invisibili erano così corte su sé stesse, così curve, così veloci e irrappresentabili, così instabili, che sentì spaccarsi la parola spazio“.

Epstein – come Del Giudice, d’altra parte – ha ben compreso la portata grandiosa e devastante che l’impatto della quantistica può avere sul pensiero e sull’immaginario, prevedendo che quei “nuovi oggetti” della scienza avrebbero portato con sé nuovi “comportamenti e percezioni e modi di essere e sentimenti”. La letteratura, quando sceglie di spalancarsi su terreni di conoscenza inesplorati, può farsi addirittura profetica.

Canone del desiderio di Richard Powers

Nel caso del Canone del desiderio di Richard Powers – autore che ama confrontarsi con discipline come scienza, musica ed ecologia – è lo stesso sistema narrativo a essere costruito sulla base di connessioni e analogie tra codici differenti: da quello musicale a quello genetico, dai linguaggi di programmazione alla crittografia, fino al codice della lingua stessa. Negli anni Cinquanta il biologo Stuart Ressler indaga sul DNA umano alla ricerca di quel “semplice assioma generativo da cui deriva tutto”: il suo è un desiderio altrettanto faustiano di conoscenza assoluta, che possa permettergli di maneggiare il mistero della vita stessa. Ma anche in questo caso, la scienza mostrerà i suoi limiti (“la cosa più vicina che avrebbe mai raggiunto è la similitudine, la letteratura in traduzione, la cosa con un altro nome”), e sia Ressler sia i due personaggi che a distanza di venticinque anni si troveranno a indagare su di lui non potranno che abbandonarsi all’imprevedibilità dell’esistenza, con i suoi errori e le sue variazioni, in balìa del canone altrettanto inafferrabile dell’amore e del desiderio.

Zero K di Don DeLillo

L’afflato metafisico nel confronto letterario con le possibilità della scienza raggiunge il suo apice in Zero K di Don DeLillo, in cui la fede nella biomedicina e nella tecnologia diventa una vera e propria religione. Nel deserto del Kazakistan – in uno scenario quasi biblico, segreto e inaccessibile – si erge come un tempio la futuristica sede di Convergence, un’azienda ipertecnologica che consente tramite criogenesi di conservare intatti corpi e coscienze di chi decide di farsi congelare per poi essere risvegliato in un futuro imprecisato, quando la medicina sarà ormai in grado di curare ogni malattia. Tra i principali finanziatori del progetto figura il milionario Ross Lockhart, che parla esplicitamente di una tecnologia basata sulla fede: “Un altro dio. Non tanto diverso, alla fine, da alcune nostre divinità del passato. Solo che… questo è vero, mantiene le promesse”.

Allargare i confini di ciò che significa “essere umano”, ecco qual è l’obiettivo a cui lavorano assieme scienziati, mistici, sociologi, filosofi, artisti d’avanguardia e persino filologi, intenti a elaborare una nuova lingua “che ci permetterà di esprimere cose che ora non siamo in grado di esprimere, di vedere cose che ora non siamo in grado di vedere”. Eppure né Ross né il figlio Jeff riusciranno fino in fondo ad abbandonarsi a questa nuova fede, perché numeri e dati – per quanto possano acquisire un carattere di trascendenza in un mondo che è già alla fine del mondo – non riusciranno mai a contenere l’immensità della morte, con la sua brutale mancanza di senso.

Con questi interrogativi ultimi sollevati dalla scienza non si è confrontata solo la letteratura, ma continuano a farlo il teatro, le arti visive (si pensi al programma residenziale “Collide” lanciato dallo stesso CERN, vinto nell’ultima edizione dall’interessantissimo collettivo statunitense Black Quantum Futurism), il cinema e le serie tv, da Sense8 a Westworld.

Devs, scritta e diretta da Alex Garland

Vale la pena citare la miniserie Devs, scritta e diretta da Alex Garland e ancora inedita in Italia, in cui è lo stesso titolo a risultare indicativo: “Devs” sta ufficialmente per “Developments”, un’unità segreta che lavora allo sviluppo di un computer quantistico in un laboratorio schermato in piombo e oro tra i boschi della Silicon Valley, ma può essere letto anche “Deus”, alla latina. Il computer-dio ha la capacità di analizzare le variabili di ogni cosa esistente fino al livello subatomico, e di costruire simulazioni di ogni passato e futuro possibile, ponendo domande importanti sul nostro libero arbitrio e sulla realtà del nostro universo.

“Così al telaio sibilante del tempo / lavoro al Divino la veste vivente”: con questi termini si presenta a Faust lo Spirito della Terra, definizione che sarebbe potuta valere anche per il sistema Devs. E quando Faust gli risponde di riconoscersi simile a lui, lo Spirito lo rimbrotta: “Allo spirito somigli che tu stesso concepisci: non a me!”.

Forse il limite di ciò che c’è dato conoscere è proprio in questo, nel modo umano, troppo umano in cui noi conosciamo.

giuliana altamura l'occhio del pettirosso

L’AUTRICE – Giuliana Altamura è nata a Bari nel 1984. Ha vissuto tra Milano e Parigi, e attualmente vive in Svizzera. Ha esordito per Marsilio nel 2014 con il romanzo Corpi di Gloria (Premio Rapallo Carige Opera Prima). Nel 2015 un suo racconto è stato pubblicato nell’antologia Quello che hai amato, a cura di Violetta Bellocchio (Utet). Sempre con Marsilio nel 2017 ha pubblicato L’orizzonte della scomparsa.

Il suo nuovo romanzo, L’occhio del pettirosso, è in libreria per Mondadori: ossessionato dall’idea di raggiungere una visione quantica, Errico Baroni, fisico ricercatore al CERN, nonostante la lunga lista d’attesa riesce a farsi ricevere da Egon Meister nel suo elegante studio di Ginevra. Meister sembrerebbe essere in grado di vedere il presente, il passato e il futuro di chi gli si siede di fronte, di accedere a una visione d’insieme della realtà, oltre i confini del tempo. Da quando è alle prese con la progettazione di un computer quantistico, Errico sente solo i limiti dei suoi studi, non gli basta capire, vuole poter vedere come Meister. L’incontro con quell’uomo, che lo congeda con una frase criptica, lo sconvolge al punto tale da fargli decidere di lasciare il lavoro per qualche giorno e concedersi una vacanza in montagna con la moglie Greta nella baita di famiglia, dove aleggiano i fantasmi di un passato irrisolto. Fino a qualche tempo prima, la relazione tra lui e la moglie lo faceva sentire vivo, ma ora anche con lei qualcosa ha smesso di funzionare. Tra quelle mura Greta si sente in gabbia, non riesce a scrivere i suoi versi, si fa sempre più inquieta, mentre Errico trascorre molto tempo nel bosco. Ed è proprio in quei sentieri sperduti che verrà a conoscenza di un mistero destinato a capovolgere ogni sua convinzione.

Tra fisica quantistica, alchimia e bitcoin, in una tesa atmosfera gotica, che si fa sempre più onirica e lynchiana, Altamura racconta con voce intimista l’inquietudine e la complessità del mondo contemporaneo.

Qui i suoi articoli per ilLibraio.it.

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Fotografia header: Giuliana Altamura, foto di Valentina Sommariva

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