“Posso analizzare come, ma non perché ho scritto quello che ho scritto, o perché sia stata così subdolamente deviata dal percorso iniziale”, scrive Patti Smith nel suo nuovo libro, “Devotion”, in cui indaga il processo creativo dietro alle sue opere. E in cui cerca risposta a una domanda cruciale: “Perché ci si sente in dovere di scrivere?”

“Posso analizzare come, ma non perché ho scritto quello che ho scritto, o perché sia stata così subdolamente deviata dal percorso iniziale”, scrive Patti Smith nel libro Devotion. Perché scrivo, tradotto da Tiziana Lo Porto e pubblicato da Bompiani, casa editrice che aveva già portato nelle librerie italiane l’ultimo memoir della poetessa punk, M Train.

patti smith

Devotion è un librino tripartito che ruota attorno all’ispirazione, “la variabile imprevista, la musa che assale all’ora ignota”. La prima sezione, intitolata Come funziona la mente, ricostruisce il momento in cui Patti Smith, durante un viaggio in treno in Francia, scrive un racconto in cui riunisce le suggestioni raccolte nei giorni e nelle settimane precedenti. Il film In the Crosswind di Martti Helde sugli estoni deportati in Siberia nel 1941, Incidente notturno del Premio Nobel Patrick Modiano, il viaggio a Parigi, il ricordo di Simone Weil sono solo alcuni degli elementi che l’autrice assorbe nei giorni che precedono la scrittura del racconto. E che la ispirano quando, sul treno, continua “a scrivere freneticamente, come risuscitata da un mare di ricordi”.

Una tendenza, quella della poetessa, scrittrice e cantautrice di mettere a nudo i propri riferimenti culturali e le fonti di ispirazione che i lettori avevano già scoperto – e apprezzato – nei suoi due precedenti memoir, Just Kids (Feltrinelli), in cui racconta i suoi primi anni a New York e l’amicizia con Robert Mapplethorpe e i beatnik, e M Train in cui invece ripercorre, come in un flusso di coscienza, viaggi, memorie e suggestioni raccolte negli anni, tra cui l’amore per le serie tv poliziesche e la fascinazione per Haruki Murakami.

Dalla scrittura frenetica sul treno nasce Devozione, il racconto vero e proprio, riportato nella seconda parte del libro. C’è “una piccola Simone Weil”, Eugenia, che vive nel bosco e ama pattinare. Alexander la guarda volteggiare sullo stagno ghiacciato di nascosto e se ne innamora. I due vivono una storia surreale, tra Parigi e la Russia, che nasce dalla devozione dell’uno verso l’altra.

Chi segue Patti Smith, però, sa che solitamente la sua routine è ben diversa: come ha raccontato in un post sul suo account Instagram per scrivere l’autrice ha bisogno di sedere alla sua scrivania attorno alla quale ha sparso l’aroma del tè oolong. In M Train, invece, ha raccontato lo shock di veder chiudere il Caffè’ Ino, luogo in cui era solita “accamparsi” per scrivere, sorseggiando una tazza di caffè nero.

La narrazione della quotidianità da “antidiva” è parte sia dei suoi memoir, in cui racconta di pasti frugali a base di minestrone, spaghetti e toast, sia del neonato account Instagram, dove quasi ogni giorno posta foto che raccontano una vita fatta di piccole incombenze, come il bucato e il gatto da sfamare, ma anche di momenti dedicati alla scrittura e al ricordo dei suoi modelli. Non è raro, infatti, che Patti Smith – che ha da poco ammesso proprio sul social network di faticare a scattarsi dei selfie – celebri grandi della letteratura e delle arti ormai scomparsi. E le didascalie, che non contengono mai nemmeno un hashtag, sono delle vere e proprie poesie, con tanto di a capo.

Perché ci si sente in dovere di scrivere?“, domanda Patti Smith al lettore alla fine del libro. Un dubbio che sembra assalire l’autrice per tutta la stesura dello stesso. Siamo nella sezione Un sogno non è un sogno: Patti ha visitato la casa di uno dei suoi miti, Camus. Passeggiando per la campagna francese, con un mozzicone di matita in tasca, medita sul suo desiderio: “Scrivere qualcosa di bello, che sia migliore di me, e che giustifichi le mie tribolazioni e indiscrezioni”. Ed errando per le campagne, trova una risposta alla domanda che apre la terza sezione del libro: “Perché non possiamo soltanto vivere”.

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