“I romanzi raccontano con parole l’invisibile, tutto ciò che non viene esposto perché è talmente vero e denso di paure, di fragilità, che non può essere pubblicato sui social. Tutta la perfezione, la bellezza, la felicità dei social mi è sempre sembrata solo la punta di un iceberg. Da amante della letteratura, mi sono sempre chiesta che cosa si nasconda tra una foto che pubblichiamo e l’altra…”. In occasione dell’uscita del suo nuovo romanzo, “Un’amicizia”, ilLibraio.it ha intervistato Silvia Avallone, che ha parlato delle tematiche che le sono più care, come la riflessione sull’adolescenza e la giovinezza, di come ancora oggi le donne non siano completamente emancipate e della complessa dialettica tra parole e immagini, in particolar modo online. Spazio anche all’impatto del lockdown e ai premi letterari…

“In Italia, tra il ’94 e il 2005, nessuno usciva di casa con l’obiettivo di immortalarsi né desiderava essere colto in flagrante mentre stava vivendo”.

Un’amicizia (Rizzoli, 2020), il nuovo romanzo di Silvia Avallone, è una matrioska di significati, in cui la scrittrice, già vincitrice del premio Campiello 2010 con il suo esordio, Acciaio, fa i conti con le tematiche care alla sua produzione, rileggendole attraverso gli occhi dell’io narrante, Elisa, una donna di trentaquattro anni che ripercorre il periodo che le ha cambiato la vita e la sua amicizia, appassionata e disfunzionale, con Beatrice, ragazza affamata di riscatto che la abbandonerà per diventare una stella dei social (o, meno prosaicamente, un’influencer).

Tra le pagine di Un’amicizia incontriamo l’adolescenza in provincia, un’adolescenza perduta che costringe le due protagoniste a fare i conti con l’ingombrante eredità famigliare; c’è, come da titolo, l’amicizia, ed è un’amicizia assoluta, totalizzante e contraddittoria come solo a sedici anni può essere; e ci sono tutti i luoghi che hanno formato l’autrice, dalla riviera Toscana, a Biella, a Bologna.

Con una storia a cavallo tra le epoche e i millenni, tra l’adolescenza disconnessa e il potere di Instagram, Avallone tesse una riflessione sul rapporto tra l’immagine e il reale, tra la fissità di ciò che è riproducibile e la caotica imperfezione della vita.

Silvia Avallone, Un'amicizia, Rizzoli

Silvia Avallone, partiamo da due termini: contraddizione e riscatto. Sia la relazione tra le due protagoniste, Elisa e Beatrice, sia i loro sentimenti individuali sono ricchi di contraddizioni ed entrambe hanno un grande desiderio di riscatto.
“La contraddizione è sempre stata all’origine delle mie storie, che partono da due poli che si scontrano per, allo stesso tempo, incontrarsi. In questo romanzo i due poli sono ‘parola’ e ‘immagine’, la scrittura segreta di un libro e il racconto pubblico su web, esibito: due linguaggi e due modi di raccontare e intendere se stessi. Anche quello del riscatto è un tema ricorrente: il desiderio e il coraggio di provare a diventare se stessi al di là di cosa i genitori desiderano e di come la società ci guarda”.

In Un’amicizia torna un’altra riflessione che le è cara, quella sulla genitorialità, con due figure materne molto diverse: Ginevra, la madre di Beatrice, e Annabella, la madre di Elisa.
“Il discorso sulla genitorialità delle madri – perché c’è differenza con la genitorialità dei padri – fa parte di una riflessione più ampia sul femminile, sulle donne, sulla nostra condizione. Con Ginevra e Annabella racconto due figure che, pur trovandosi agli antipodi, sono state obbligate da una cultura radicata a rinunciare a se stesse e alla realizzazione dei propri desideri per i figli. Questa consapevolezza mi crea sempre molto dolore, perché sono convinta che le donne debbano essere finalmente libere di mantenere la propria complessità: la maternità è un aspetto del femminile che deve armonizzarsi con le passioni, con i mestieri, con i sogni. In particolar modo, attraverso Annabella, ho raccontato il dolore per un talento che non è fiorito e di come questo dolore si sia riversato sui figli: Elisa, infatti, subirà il dolore della madre e ne pagherà le conseguenze. Credo che l’idea di genitorialità debba essere rivista”.

In che modo?
All’interno della famiglia nessuno dovrebbe sacrificare il proprio demone, il proprio talento, la propria persona; anzi, la famiglia dovrebbe essere una squadra che lavora affinché tutti possano esprimersi”.

Elisa, infatti, nella costruzione della propria persona ripropone degli schemi della sua infanzia.
“Elisa fa i conti con un’educazione che abbiamo ricevuto tutte: quella che ci ha insegnato a stare al nostro posto, restando così tagliate fuori dalla storia, marginali. Alle donne, ancora oggi, viene richiesto di essere innocue, ininfluenti, di essere soltanto corpi da esibire, oppure persone che stanno in casa e si occupano della famiglia. È un’educazione che deriva dal mondo e dalla società in cui siamo immerse e che va messa in discussione. Elisa fa un’enorme fatica a realizzare il suo desiderio, ossia scrivere un libro. È un desiderio rischioso, faticoso, e l’azzardo viene sempre visto dalla società con diffidenza e con pregiudizio. Se non ci assumiamo, madri e figlie, il rischio di seguire la nostra strada individuale, rischiamo di morire l’una sull’altra, di soffocarci a vicenda anziché aiutarci a prendere la nostra strada”.

Silvia Avallone - foto di Bertini

Silvia Avallone – foto di Jean-Luc Bertini

Nei suoi romanzi riveste sempre un ruolo centrale la provincia e la giovinezza in provincia. Come mai?
“Guardare il centro del mondo da fuori rafforza il desiderio di andarsene per provare una vita diversa da quella che il destino ti ha dato, facendoti nascere in un luogo che non è centrale. Però, allo stesso tempo, quel luogo non centrale racchiude tutto, è davvero l’isola di Arturo: non vedi l’ora di scappare perché la vita è sul continente, ma quella resterà l’isola incantata che ti ha dato l’alfabeto e i primi insegnamenti. In questo romanzo mi sono regalata di nuovo quell’andare in motorino, quel frequentare l’unica scuola della città, quello stare sospesi in un luogo materno, che resta comunque la tua radice, anche se da lì te ne devi andare. È come avere sempre un orizzonte, perché sei sempre al di qua di un desiderio. Ho giocato molto con i personaggi e con parti della mia biografia, forse più di quanto non abbia fatto in passato. Per me scrivere significa sempre regalarmi qualcosa che non ho vissuto, però questa volta, soprattutto nel rapporto con Bologna, c’è qualcosa di mio. I luoghi per me sono come dei genitori”.

A che punto della sua produzione si trova questo romanzo?
Un’amicizia è stato il modo di chiudere una stagione e aprirne un’altra: in scrittura l’unico modo per aprire una nuova stagione è fare i conti con quella precedente. In questo romanzo, dunque, c’è una città di mare, c’è Biella, a cui sono legatissima perché è il luogo dove sono nata e cresciuta, e poi c’è Bologna. Si parla di un’adolescenza perduta: anche gli altri tre romanzi raccontavano la giovinezza, ma qui dico addio a quello slancio, perché è tutto raccontato dal punto di vista di una persona adulta, che deve fare i conti con il suo passato. Sentivo l’esigenza, dopo dieci anni, di chiudere una stagione e di liberarmi di tanti temi che mi hanno spaventata, come l’arrivo dei social, di quel modo di raccontarsi che, per me che ho sempre parlato tramite l’invisibilità delle parole, è stato spiazzante. In questi vent’anni c’è stata una rivoluzione incredibile che ha toccato tutti noi e anche questo era un aspetto con cui volevo fare i conti”.

Quello della riproducibilità delle immagini, sempre uguali a se stesse, infatti, è un tema centrale del libro.
“I romanzi raccontano con parole l’invisibile, tutto ciò che non viene esposto perché è talmente vero e denso di paure, di fragilità, che non può essere pubblicato sui social. Tutta la perfezione, la bellezza, la felicità dei social mi è sempre sembrata solo la punta di un iceberg. Da amante della letteratura, mi sono sempre chiesta che cosa si nasconda tra una foto che pubblichiamo e l’altra. E mi ci metto dentro io stessa, perché praticamente tutti abbiamo un profilo social e lo usiamo nello stesso modo. Ma quanta verità contiene? Mi sembra molto più interessante e commovente tutto ciò che, invece, abbiamo difficoltà a pubblicare, che ci mette in crisi. E penso che i social sarebbero un luogo più produttivo se smettessimo di competere sulla felicità e iniziassimo a usarli come strumento per rendere onore alla realtà. L’uso dei social dovrebbe fondarsi sulle parole, sulla capacità di raccontare la complessità. Con il personaggio di Elisa, però, racconto come anche la letteratura abbia una buona dose di menzogna e sortilegio”.

Menzogna e sortilegio: questo romanzo sarà molto importante per Elisa. Come mai? Cosa rappresenta per lei Elsa Morante?
“Per me Elsa Morante è come un luogo, ne ha la stessa rilevanza e la stessa centralità, è la mia Maestra. Il gioco segreto, per citare Cesare Garboli [autore di Il gioco segreto. Nove immagini di Elsa Morante, Adelphi 1995 NdR], con Elsa Morante è presente in ogni mio romanzo. Con Un’amicizia, però, mi sono chiesta: perché tenerlo segreto, questo dialogo che ho con i romanzi di Elsa Morante?”.

E cosa si è risposta?
“Allora ho voluto giocare allo scoperto, anche per restituire tutto l’amore che nutro per questa autrice e per questo libro in particolare, che è il mio preferito anche se, purtroppo, non è conosciuto quanto La storia o L’isola di Arturo. È un romanzo che spiega delle cose fondamentali sul raccontare se stessi e gli altri e su quanta menzogna e quanto sortilegio ci siano nell’atto stesso del raccontare. Parlare di Menzogna e sortilegio mi ha permesso anche di raccontare come l’impatto di un libro possa essere salvifico, soprattutto nell’adolescenza e in una realtà marginale”.

Il suo esordio, Acciaio, è stato il romanzo dei grandi premi. Con questo nuovo libro vuole tornare nell’agone?
“In questo momento sono presa dalla nascita del libro, non riesco a immaginare il percorso che avrà, perché è il percorso del libro, non il mio. Oggi penso molto a cosa possa significare leggere questa storia durante un lockdown, in un momento così complicato. Il mio desiderio è che possa tenere compagnia, che possa essere utile al lettore in un periodo che mi sembra un gigantesco e doloroso spartiacque tra le epoche. Tutti i miei pensieri vanno ai lettori, alle lettrici, ai librai, alle libraie, che stanno attraversando con me un momento così difficile”.

Parla di spartiacque, anche in Un’amicizia racconta il passaggio tra due epoche.
“Il nuovo mondo che dovremo abitare ci fa molta paura, perché ci è completamente ignoto, e mi piacerebbe che assistessimo a una riscoperta del linguaggio per raccontare la realtà e per raccontare noi stessi. Stavamo finendo in un vortice di superficialità e povertà linguistica, e durante il primo lockdown ci sono mancate le parole: abbiamo visto come, di tutta l’apparenza, non ce ne facessimo più nulla, perché avevamo bisogno di sostanza, di raccontare quello che stava succedendo e di usare delle parole nuove per immaginare quello che sarebbe successo dopo. Se ci liberassimo di questa apparenza, sarebbe veramente un momento di crescita per tutti noi, e anche di felicità, perché ci aiuterebbe a capire come affrontare la realtà”.

Fotografia header: Jean-Luc Bertini

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