“Stay true. Tracce di un’amicizia” di Hua Hsu, libro che si è aggiudicato il Premio Pulitzer 2023 per il miglior memoir, è una storia che si instaura su due binari: uno dal gusto dolceamaro dell’adolescenza, legato alla ricerca identitaria e alla formazione di una propria individualità; il secondo, invece, si colloca tra l’insipida apatia e l’indigesto bruciore di stomaco dovuto da una perdita tanto inaspettata quanto immotivata…

“La tua consapevolezza è come una città, rovisti e vai in cerca di ricordi di giorni migliori da custodire. O forse la memoria è più un fuoco che una città. È incontrollabile, mutevole e distruttiva”.

Stay true. Tracce di un’amicizia di Hua Hsu, libro che si è aggiudicato il Premio Pulitzer 2023 per il miglior memoir o autobiografia, esce ora in Italia per NR edizioni, con la traduzione di Sara Marzullo.

“Un racconto di formazione elegante e toccante che considera le amicizie giovanili intense ma anche la violenza casuale che può alterare improvvisamente e permanentemente la presunta logica delle nostre narrazioni personali”, si legge nelle motivazioni dell’onorificenza.

Stay true di Hua Hsu

Quella firmata da Hua Hsu è una storia che si instaura quindi su due binari: uno dal gusto dolceamaro dell’adolescenza, legato alla ricerca identitaria, alla formazione di una propria individualità tra hit di successo su MTV e collezioni di vinili usati; il secondo, invece, si colloca tra l’insipida apatia e l’indigesto bruciore di stomaco dovuto da una perdita tanto inaspettata quanto immotivata.

Entrambe queste linee narrative hanno come fulcro Ken, un ragazzo troppo elegante e cool per il narratore Hua, che guarda di cattivo occhio l’immancabile combo giacca-camicia del popolare amico. Sì, perché di amicizia a tutti gli effetti si tratta nonostante i gusti musicali a dir poco cigolanti di Ken, troppo mainstream per il sofisticato “palato” del protagonista.

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Lui si reputa infatti diverso, cresciuto tra le “stonate alternative” dei Nirvana (prima che diventassero – a detta sua – pop, “di tutti”), i successi di Michael Jackson messi in loop dai propri genitori (tanto da pensare che fosse un lontano amico di famiglia) e, soprattutto, la collezione dei dischi di papà, che a posteriori ha il gusto di una reliquia di un tempo passato.

Una sacralità della musica che Hua manifesta anche nella creazione della sua personalissima fanzine: un modo per mettere a fuoco il mondo, per trovare la propria tribù tra amicizie che completano e altre che complicano. Narrazioni controtendenza che fluiscono inevitabilmente dall’ambito musicale a quello politico, piantando i primi semi della ribellione, in costante fuga da una noia onnipresente, figlia dell’America di quegli anni.

In questo contesto si muove la coppia mal assortita Hua-Ken che, isolatasi dal chiasso della confraternita, tra una sigaretta e l’altra intervalla discorsi identitari (entrambi asioamericani, cresciuti imbevuti nella promessa del “sogno americano“), acuti dibattiti musicali e scoordinate dissertazioni su un futuro tanto vicino quanto all’apparenza ineffabile.

Il tutto, fino al tragico giorno in cui Ken dopo una festa viene trovato senza vita, brutalmente ucciso e abbandonato ai lati di una strada di periferia. Un’efferatezza smisurata che – all’apparenza senza motivazione alcuna – viene subito ricondotta a un tentativo di rapina. Da qui per Hua ha inizio un incubo senza fine, un abisso sul quale ricostruire faticosamente un ponte grazie a foto sbiadite e canzoni che emanano tangibili vibrazioni malinconiche.

E un modo su tutti per ricostruire questo ricordo doloroso è proprio la scrittura: “Gli scrissi una lettera in cui descrivevo con minuzia tutto ciò che mi sarebbe mancato – la sua pelle morbida e la sua flatulenza, le nostre abitudini e le nostre battute. Elencai quello che aveva scordato di me, perché si dimenticava sempre qualcosa: una benda attaccata al deodorante della mia auto, la maglia da pallavolo portafortuna ancora nel mio cesto della biancheria a Cupertino”.

D’altronde, come specificato da Hua durante le sue peregrinazioni in cerca di senso, “l’amicizia si basa sul desiderio di conoscere più che di essere capiti“.

E da qui iniziano quindi a divampare i ricordi, che si tramutano presto in frammenti di vita riportati nero su bianco. Dai passaggi rubati su una vecchia Volvo ai lunghi e – a posteriori – significativi silenzi. Fino ad alcune conclusioni affrettate che, seppur “scorrette” formalmente, arrivano a toccare la vera essenza delle contingenze della vita: “A volte le cose sono solo una merda“.

Hua Hsu realizza una narrazione fluviale, intervallata solo da struggenti slideshow di foto in bianco e nero, antiquati ma significativi scambi di messaggi via fax con il padre per aggiornarsi sulle nuove tendenze musicali e toccanti pagine di diario. Delle pagine che, passando al setaccio i microscopici momenti di un passato ormai perduto, aiutano a resistere a un futuro in continuo divenire.

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Fotografia header: Hua Hsu, credit: courtesy Hua Hsu

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