“Il mio lavoro è così austero”, ha scritto Susan Sontag nel 1973, che non voleva che la sua vita fosse definita solo dalla sua attività di critica e scrittrice. Grazie alla pubblicazione dei Diari, è possibile conoscere meglio l’autrice (1933 – 2004) e scoprire il suo lato umano, seppur serio. Dopotutto la stessa Sontag, a soli ventiquattro anni, ha annotato: “La serietà per me è una virtù” – L’approfondimento sui suoi libri e le sue opere

“Il mio lavoro è così austero”, scrive Susan Sontag nel 1973 nel suo diario, e per questo motivo non vuole che la sua vita venga definita solo dal suo mestiere.

Tuttavia, ciò che si conosce meglio di Susan Sontag è proprio il suo lavoro di critica e intellettuale, iniziato negli anni Sessanta con saggi come Contro l’interpretazione (presto verrà ripubblicato da nottetempo nella traduzione di Paolo Dilonardo), in cui critica l’operato dei colleghi, impegnati a cercare di capire le intenzioni dell’autore e il contesto sociale anziché indagare l’opera in sé e per sé. Secondo Sontag, l’unico modo per studiare un’opera d’arte è attraverso il formalismo, perché quando un critico parla di un’opera, ne altera automaticamente il valore.

Tra i saggi raccolti in Contro l’interpretazione anche Sul Camp, in cui definisce “l’essenza del camp”, “una sensibilità” – che al tempo stesso la attrae e la ripugna – per tutto ciò che è innaturale, artificioso ed esagerato, e che è spesso legata al mondo queer.

Susan Sontag

Oggi, grazie alla casa editrice nottetempo è possibile conoscere meglio Susan Sontag e scoprire il suo lato umano, seppur serio. Dopotutto lei stessa, a soli ventiquattro anni, ha annotato: “La serietà per me è una virtù”.

La casa editrice sta infatti pubblicando in Italia i diari e i taccuini della scrittrice, divisi in tre volumi e curati dal figlio di Sontag, David Rieff e tradotti da Paolo Dilonardo.

Durante la sua vita Susan Sontag (1933 – 2004) non solo ha scritto numerosi saggi, ma ha anche pubblicato alcuni romanzi come L’amante del vulcano, in uscita in Italia a gennaio 2020, sempre per nottetempo, che ha recentemente annunciato la prossima ripubblicazione di alcune delle opere più importanti, nuovamente tradotte da Dilonardo. Uscito per la prima volta nel 1992, il libro è ambientato a Napoli alla fine del Settecento e racconta il triangolo amoroso tra Emma, una donna di umili condizioni, lo scienziato Sir William Fleming e l’ammiraglio Nelson.

Susan Sontag

Ma torniamo ai Diari, strumenti fondamentali per conoscere meglio la scrittrice e saggista. Nel primo dei volumi, Rinata, Susan Sontag è giovanissima ma estremamente arguta e autocritica. A quindici anni annota “le tendenze lesbiche” e racconta le sue relazioni sia con ragazzi sia con ragazze. A seguire, La coscienza imbrigliata nel corpo, che arriva fino agli anni Ottanta, e un ultimo volume in arrivo nel 2020.

Nei diari Sontag si auto-crocifigge per tutte le sue mancanze: le menzogne, i tradimenti, le promesse non mantenute, la continua ricerca di approvazione, la paura delle critiche. Nel 1960 fa una lista delle cose che disprezza di se stessa e si domanda perché trovi così interessante “raccontare le abitudini sessuali degli altri”, dalle orge di Norman Mailer fino alle fidanzate di Dylan Thomas.

Nata a New York da un immigrato ebreo polacco, Jack Rosenblatt, che muore di tubercolosi durante un viaggio di lavoro in Cina quando Susan ha solo cinque anni, e da Mildred, una donna avvenente e alcolizzata, la scrittrice acquisisce il cognome del nuovo marito della madre, Nathan Sontag, nel 1945 e cresce in Arizona e poi in California, dove si diploma a soli quindici anni.

Susan Sontag

Nonostante all’inizio dell’Università avesse scritto che l’idea di avere una relazione con un uomo non le provocava nulla, se non “umiliazione e degradazione”, a diciassette anni si sposa con Philip Rieff, ventinovenne professore di sociologia di cui è assistente, e con lui ha il suo unico figlio, David, a soli diciannove anni.

Per otto anni Sontag resta con il marito, poi, nel 1957 scrive nel suo diario che “Philip è un totalitarista delle emozioni”, se ne va a Oxford grazie a una borsa di studio e si riavvicina a Harriet Sohmers, con cui aveva avuto una relazione dieci anni prima.

Tuttavia, non fa coming out fino agli anni Duemila, nonostante le numerose relazioni con altre donne, tra cui quella, iniziata nel 1989 e continuata fino alla scomparsa della scrittrice nel 2004, con la fotografa Annie Leibovitz.

Questo, insieme al mai manifestato interesse per la causa femminista, sono costati critiche a Sontag, in particolare da intellettuali suoi contemporanei come la poetessa e scrittrice Adrienne Rich, dichiaratamente lesbica, come ricorda Benjamin Moser nella biografia Sontag: Her Life and Work, inedita in Italia.

Nonostante non avesse dichiarato la sua omosessualità, nel 1989 la scrittrice pubblica L’Aids e le sue metafore, in cui denuncia che “l’epidemia di AIDS serve come proiezione ideale per la paranoia politica del Primo Mondo”. Come aveva già fatto nel 1978 con Malattia come metafora (anche questo titolo presto verrà ripubblicato da nottetempo nella traduzione di Paolo Dilonardo), in cui sottolinea la fallacia del definire incurabili malattie come cancro e tubercolosi, e non per gli eventi di natura che sono, Sontag scava nelle ipocrisie della società occidentale e nelle sue nevrosi.

La malattia arriva nella vita di Sontag negli anni Settanta, come racconta Sigrid Nunez in Sempre Susan: a memoir of Susan Sontag, un racconto dei suoi anni vicino alla scrittrice. Negli anni Settanta, Nunez diventa assistente di Sontag mentre quest’ultima si sta riprendendo da una doppia mastectomia. La relazione tra le due donne si consolida quando Nunez diventa la compagna di David, il figlio di Sontag, e si trasferisce a vivere con madre e figlio nel loro appartamento di New York.

E di nuovo torna sotto forma di un raro cancro del sangue che causa la morte di Sontag nel 2004. In Swimming in a Sea of Death, David Rieff racconta l’ultimo anno della madre, il tentativo di curare il cancro con un trapianto di midollo perché, ammette, “la semplice verità è che mia madre non ne aveva mai abbastanza della vita”.

Fotografia header: Getty Images

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