“L’estate in cui mia madre ebbe gli occhi verdi” di Tatiana Țîbuleac è la storia di un rapporto rotto, quello tra Aleksy e sua madre, che per imposizione dovrà essere smembrato e ricostruito in qualche forma posticcia. Il ragazzo e la donna sono accomunati da un’emotività instabile. E le fondamenta della loro relazione sono scandite da un destino già scritto…

Il patto è semplice: Aleksy passa un’intera estate con sua madre in un villaggio della Francia e in cambio ottiene tutto ciò che desidera, compresa la tanto agognata automobile. La ricompensa è molto ghiotta, ma il sacrificio per Aleksy è enorme, perché lui detesta la madre, assente per buona parte della sua vita, la famiglia sbriciolata e povera, l’incapacità della donna di apparire come una persona normale e di agire come tale, il periodo in cui lo ha lasciato da solo dopo la morte di sua sorella Mika, che ha prodotto un risentimento tale da essere imperdonabile.

L’estate in cui mia madre ebbe gli occhi verdi di Tatiana Țîbuleac (Keller editore, traduzione italiana di Ileana M. Pop) è la storia di un rapporto rotto – quello tra Aleksy e sua madre – che per imposizione dovrà essere smembrato e ricostruito in qualche forma posticcia.

Un’impresa impossibile, anche solo da tentare, che l’autrice ci presenta con tutte le caratteristiche di un fallimento annunciato: sappiamo che il rancore di Aleksy nei confronti della donna è irrecuperabile, è profondo e abietto; il rapporto non esiste, non ha speranza perfino, ma ci facciamo trascinare progressivamente nel racconto delle sue pieghe.

Tatiana Tibuleac L'estate in cui mia madre ebbe gli occhi verdi

Scrive Țîbuleac: “Certe sere, quando tornavamo a casa dopo la scuola – io senza dire una parola durante tutto il cammino, e lei sparando stronzate a non finire – non la sopportavo proprio. Mi veniva da infilarla nella lavatrice e schiacciare il programma di lavaggio a novanta gradi. Chiuderla nel congelatore e tirarla fuori in brandelli. Esporla a radiazioni. In quei momenti, in cui avevo ancora in testa le facce dei miei compagni deformate dalle risate e Jude, tutta languida, che si gustava le loro battute luride, volevo che mia madre fosse morta”.

Aleksy rinuncia a passare tre mesi con i suoi amici per seguire sua madre in un posto sconosciuto, solo per, finalmente, potersi separare da lei, ottenere ogni cosa materiale che sarebbe riuscito a ottenere e dunque un lasciapassare agli occhi di tutti: ogni desiderio del ragazzo ruota infatti attorno a liberarsi della donna perché a lei attribuisce gran parte delle sue mancanze o dei suoi fallimenti.

Aleksy e sua madre si mettono in viaggio come un binomio artefatto, sulla base di una contropartita e alla donna non sembra importare più di tanto: capiamo sin da subito che il fine di quella richiesta è molto più importante del metodo con cui ci sta arrivando. Non è importante recuperare l’amore incondizionato, l’affetto profondo del figlio, bensì trascorrere quei giorni, quel tempo circoscritto che non potrà mai più ripetersi, dire e fare delle cose, in modo che ce ne fosse traccia da qualche parte.

Accettando la proposta controvoglia ma rendendosi conto di quanto l’opportunità dell’indipendenza sia fondamentale, fin dalla partenza Aleksy non pensa ad altro se non alle conseguenze di quell’estate che i due passeranno insieme, di come la sua vita migliorerà, di quanto il desiderio di affrancarsi sia una liberazione talmente grande da riuscire a fargli superare le condizioni accettate, il rancore dei giorni. La casa in cui abitano per quel periodo è inospitale, circondata da campi di girasole e il villaggio vicino offre poco: un mercato in cui fare la spesa e qualcuno con cui chiacchierare. Aleksy trascorre le giornate dondolandosi su un’amaca e provando a far passare il tempo.

Gli elementi attorno ai due – la casa, i campi, il villaggio – sembrano fatti apposta per non dare una via d’uscita a nessuno e dunque per costringerli a fare i conti. Servono al racconto per definire una sorta di ineluttabilità: persino il mondo fuori da queste due persone riceve gli influssi nefasti della relazione. Progressivamente, man mano che i giorni passano, Aleksy inizia a notare delle trasformazioni e diventa spettatore di mutamenti che accadono suo malgrado: non sono solo i luoghi a cornice, ma anche sua madre cambia e ai suoi occhi lo fa in meglio. Accanto alle trasformazioni fisiche della madre, dovuti a un motivo ben preciso, e all’appassire del corpo, segue parallelamente una vigorìa della mente: Aleksy scopre una donna intelligente, capace – forse prima semplicemente non era riuscita ad esserlo – e strutturata; trova la capacità di raccontare storie, di comportarsi come si dovrebbe. Il risultato è un rapporto madre – figlio tra i più classici, fatto di dolcezza, quasi di naturale amore.

Scrive l’autrice: “Quello sguardo – che avevo aspettato ed elemosinato durante tutta l’infanzia e per il quale mi sarei separato di buon grado da tutti i miei risparmi di bambino parsimonioso – lo ricevevo ora gratis. Mia madre, sorridente e benevola, me lo offriva finalmente su un vassoio, come nei grandi magazzini dove belle commesse offrono prodotti scaduti agli ingenui“.

L’estate in cui mia madre ebbe gli occhi verdi è un romanzo raccontato costantemente dal punto di vista di Aleksy che compie di nuovo il viaggio di quella stagione liminare perché la vita adulta glielo impone: da grande, è diventato un artista, ha avuto lutti e difficoltà, e sta attraversando un blocco creativo che si vede costretto a sbrogliare. Di nuovo, la costrizione è un motore dell’azione narrativa del ragazzo e ancora è ciò che lo smuove profondamente, lo fa scivolare nell’inaspettato e in una sorta di rivelazione. Non è un percorso lineare quello di Aleksy, né tantomeno un percorso di redenzione, e anzi: è un girovagare nelle pieghe del rapporto più complicato e ossessivo che sperimenta.

Si può infatti seguire la storia come divisa in due parti (anche se il libro non lo è esplicitamente) e l’una è il riflesso dell’altra. La seconda inizia nel punto emotivo in cui finisce la prima. A partire dalla rivelazione della madre come nuovo essere, nel bel mezzo dell’estate in Francia, Aleksy allarga il punto vi sta della storia e lo fa includendo per la prima volta nella relazione madre-figlio gli altri personaggi della sua vita: il padre che li aveva abbandonati, Moira, la ragazza da poco conosciuta, e in modo sempre più presente il suo assistente Sacha.

L’estate finisce per essere un pretesto, non solo per tentare la riappacificazione, ma anche per darsi un luogo da cui ripartire con la vita, a cui tornare se ce ne fosse stato bisogno, di cui ricordarsi nei momenti bui. L’estate spacca in due la vita di Aleksy e tanto tiene insieme quanto divide il romanzo, facendo in modo che lungo quel tempo si possano seguire – e comprendere – tutte le sue ferite.

La voce di Aleksy ha una sintassi sincopata, che passa da momenti di lucidità e costruzione emotiva a momenti di ineluttabilità, in cui la sua mente, non del tutto stabile, decostruisce ogni cosa che gli sta attorno. Il ragazzo e la donna sono accomunati da una emotività instabile e questo è un legame che capiamo essere anche alla base del loro rapporto, come se non avremmo potuto leggere un’altra storia, non sarebbe mai potuta andare diversamente perché le fondamenta della relazione sono scandite da un destino già scritto. Questo modo di portare la relazione a compimento è anche il modo del racconto: Aleksy è quello che sceglie il punto di vista, lo sviluppa, lo tronca, lo confonde e il motivo per cui da adulto scrive questa storia è per mettere ordine: non esiste un ordine prestabilito però e questo si ripercuote anche sullo stile della narrazione che è fatta di andirivieni e esplosioni, gioia effimera e dettagli profondi e in cui i dialoghi, i pensieri quasi si confondono, per darci la sensazione che l’intenzione di Aleksy non può essere raccontata per filo e per segno.

“Io, senza dubbio, stavo dalla parte delle cose, e non delle persone di quel mercatino. Anche io, come loro, ero sempre stato di troppo, mai necessario, il triste risultato di una trattativa momentanea e la brutta copia ingiallita di quel che, un giorno, sarebbe stato il Figlio. Quello normale, capace, degno, bianco e rubicondo come un uovo di Pasqua. […] Né amato, né desiderato né da buttare: una specie di lampada a forma di tulipano in una casa di ciechi”.

Il compito della scrittura del libro, che serve ad Aleksy per riprendere il flusso della sua vita, come il compito del viaggio, che invece gli serve per esaudire i suoi desideri materiali, in realtà si rivelano come atti con uno scopo vano, e i fatti che portano il ragazzo a conoscere sua madre, un posto da dipingere, una donna da sposare, sembrano non trovare mai una compiutezza possibile: anche se le cose accadono è come se non riescano a rivelare lo scopo. L’estate in cui mia madre ebbe gli occhi verdi è sì il titolo di questo libro ma anche l’unico colore, come l’origine di una verità, da cui Aleksy partirà alla bisogna e per sempre.

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Fotografia header: Tatiana Țîbuleac, nella foto di Natalia Rusu

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