“Un giorno verrà” è la seconda prova autoriale di Giulia Caminito. Una storia che dal piccolo nucleo familiare si espande a dismisura nella Serra de’ Conti di inizio Novecento, e che non risparmia nessuno, specialmente i giovani personaggi, che vivono a tu per tu con un dolore ineluttabile – L’approfondimento su un’autrice che aspira alla parola perfetta

Abbiamo già incontrato Giulia Caminito nel 2016, quando ha pubblicato La grande A (Giunti), che le ha fatto vincere il Premio Bagutta Opera Prima, il Premio Berto e il premio Brancati Giovani. L’autrice romana, classe ’88, è tornata in libreria con Un giorno verrà, edito Bompiani.

La vita dei Ceresa, famiglia di fornai nel borgo marchigiano di Serra de’ Conti all’inizio del Novecento, è fatta di privazioni e umiliazione. Lupo e Nicola sono due dei figli di Luigi Ceresa: il primo è forte e vigoroso, il secondo friabile come mollica. Due figli che sopravvivono non solo alle vicende storiche che si succedono inesorabili e impreviste – la Settimana Rossa del ’14, la Grande Guerra, l’epidemia di febbre spagnola – ma anche a una famiglia povera di sentimenti e intenzioni.

E poi c’è Zari, che è nata in Sudan, ma in paese tutti la conoscono come “la Moretta”: è diventata la badessa del convento di clausura di Serra de’ Conti. La sua storia si intreccerà con quella dei due ragazzini, che si ritroveranno a misurarsi con parole difficili e sentimenti sconosciuti, in cui la fede mostra i suoi significati più profondi modificando la loro esistenza in maniere imprevedibili. Una storia che dal piccolo nucleo familiare si espande a dismisura, e che non risparmia i giovani personaggi, che vivono a tu per tu con un dolore ineluttabile.

Non sempre è ben visibile, nella lettura di un romanzo, il lavoro che si nasconde dietro alla scelta di ogni singola parola. Non sempre, specialmente quando gli autori decidono di ambientare le loro storie in luoghi lontani nel tempo e nello spazio, c’è sufficiente tempo e spazio per ricercare una lingua adatta, ma che non risulti artificiosa o fasulla. In questo Giulia Caminito riesce fortemente, attraverso un linguaggio antico ma non desueto, creando dialoghi di una spontaneità difficilissima da rendere, e continuando a cercare l’immagine adatta a descrivere lo stato d’animo dei suoi personaggi.

Un giorno verrà evoca senza strafare alcuni dei romanzi più noti del neorealismo italiano, vuoi per le tematiche, vuoi per l’ambientazione, vuoi per i personaggi: così Lupo e Nicola ricordano il Calvino del Sentiero dei nidi di ragno, con il rapporto fraterno tra Pin e Lupo Rosso, o lo sguardo di alcuni protagonisti bambini nei racconti di Ultimo viene il corvo, mentre Serra de Conti, terre aride poco generose e abitanti inetti, evoca fortemente Fontamara di Ignazio Silone

Scrittura, riscrittura e aspirazione alla parola perfetta sono al centro della ricerca dell’autrice, che ha raccontato a ilLibraio.it che Un giorno verrà è il suo secondo tentativo “e già vorrei riscriverlo e migliorarlo, so che devo continuare a lavorare, non abbasso la guardia rispetto alle mie debolezze o incapacità, e spero di essere almeno in parte all’altezza delle storie che decido di raccontare”.

Giulia Caminito un giorno verrà

È risaputo che i bambini hanno uno sguardo molto più aperto degli adulti, specialmente quando sono infangati in un contesto che non capiscono, o meglio, concepiscono.

Lupo, dopo aver saputo che suo fratello Antonio era morto ammazzato da Sante, un altro poveraccio – e qui sta la tragedia della narrazione, in una guerra tra poveri che porta a vittorie di Pirro – che soffre la colpa senza avere il coraggio necessario a punirsi da solo, decide di farsi giustizia, ed è una giustizia che rappresenta appieno il personaggio: irruenta, impulsiva, furiosa, selvatica. Lupo prende ad accettare i meli di Sante, unico suo sostentamento, con Sante che sta a guardare (“Lupo non aveva le braccia forti di un uomo, non poteva permettersi un’accetta robusta, ma con quella che aveva, piccola e dura, sferrava botte da diavolo”). Lupo, che per la maggior parte del tempo sostiene di non credere a niente, se non alle storie degli uomini, troverà nelle idee anarchiche una confortante definizione del sé, perché è dura esistere se non si ha fede in qualcosa.

Nicola è il ragazzino mollica, bambino fragile, malaticcio, con le braccia secche e la resistenza di un fiore calpestato: ultimo tra gli ultimi, insieme al fratello Lupo resisterà alla morte dei suoi fratelli e delle sue sorelle, che cadono uno alla volta come fichi maturi. Suo è lo sguardo dell’innocenza, di chi incassa senza fiatare, di chi, inerme, deve accettare di non essere all’altezza di nulla, nemmeno del più semplice dei compiti che il padre gli comanda. Ma senza dubbio è il personaggio la cui trasformazione incanta, inaspettata, di più.

Infine c’è Zari. Innanzitutto, a differenza dei fratelli Ceresa, la badessa è realmente esistita, e a oggi è in via di canonizzazione: nata in Sudan, schiavizzata e poi portata in Italia al monastero di Serra de’ Conti, Suor Clara detta Moretta (Suor Maria Giuseppina Benvenuti nella realtà), che alle brutture della sua esistenza non ha mai saputo non mordere e scalciare, diventa in pochi anni una figura di riferimento per l’intera comunità. Suora per lavoro e salvatrice per vocazione, la paragoniamo a una Monaca di Monza solo perché, esattamente come per la Gertrude di Alessandro Manzoni, è un personaggio che meriterebbe un libro a parte.

Si diceva che la stesura di questo romanzo è stata, per l’autrice, una vera e propria palestra bibliografica, che ha richiesto documentazione e studio. In un’intervista Giulia Caminito sostiene che la ricerca bibliografica sia “qualcosa che mi entusiasma, mi affascina e mi fa sentire più libera. Credo nella redenzione del passato e del sommerso, mentre ho molta fatica a trovare legittima una mia appropriazione di storie altrui ambientate ai giorni d’oggi”. Scavare, sporcarsi le mani, tirare fuori l’oro dalla terra: così come ha fatto in La grande A, in cui racconta – anche – un pezzetto della sua storia familiare, Un giorno verrà è stata l’occasione per raccontare le terre materne – la madre è nata e cresciuta proprio a Serra de’ Conti -, indagare sul bisnonno Nicola Ugolini, anarchico anticlericale, e dare la possibilità al lettore di provare a conoscere le proprie radici.

“Rimane in me la speranza che indagare il passato della mia famiglia sia una chiave d’accesso per il passato di molte famiglie e di tutto il Paese. Sul presente io non ho presa, mi fa sentire obsoleta ancor prima di averne parlato, ho pareri inattuali, considerazioni per nulla calzanti su come va il mondo oggi e finché non troverò un modo che non mi sembrerà puerile rimarrò nel passato a vagare e raccogliere storie”.

La fotografia dell’autrice in copertina è di Luca Di Benedetto.

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