“Un’ora di fervore” di Muriel Barbery è un romanzo malinconico e aristocratico che cerca un accesso all’oscurità dell’anima attraverso il percorso dell’esistenza votata all’arte. L’autrice del bestseller “L’eleganza del riccio” regala silenzio estatico e purezza, con una scrittura delicata e solenne

“Haru Ueno era infatti di quelli che cercano la forma”.

La vita di Haru Ueno è un viaggio estetico e spirituale alla ricerca dell’armonia. Mercante d’arte, affascinato dalla contemplazione del materiale grezzo come accesso all’essenza, Haru conduce un’esistenza elegante, di assoluta grazia.

La sua casa, immersa nell’incanto della natura, costruita attorno a un albero d’acero, è la rappresentazione simbolica di una fusione con lo spirito delle cose, uno specchio dell’inafferrabile che restituisce la luce e la visione delle montagne di Kyoto.

Un’ora di fervore di Muriel Barbery (e/o, traduzione dal francese di Alberto Bracci Testasecca) è fatta di luoghi rari, trasparenze e fiori, cristalli e cerchi perfetti, templi e corsi d’acqua, paesaggi in miniatura: è impregnata dell’anima del Giappone, disseminata di simboli, verso un significato recondito, la riscoperta di un’estasi scomparsa.

Un'ora di fervore di Muriel Barbery

La rotta spirituale e contemplativa di Haru cattura la bellezza delle cose, ma anche la preziosità delle relazioni: circondato da amici, intellettuali, artisti e mercanti, servitori dello spirito, conduce una vita ricca di incontri. Accanto all’arte, l’amicizia è infatti uno dei fili con i quali tesse la tela della sua vita, orientata alla disposizione precisa e alla pura forma.

Affascinato dall’alterità e dall’occidente, Haru è sedotto dallo charme delle donne francesi. Sarà dopo una relazione con l’enigmatica Maud che Haru verrà a conoscere l’esistenza di una figlia, Rosa, lontana e inaccessibile: Maud non permette infatti che Haru la veda o la contatti.

Rosa rimarrà così un’entità separata, in Francia, conosciuta dal padre solo in fotografia. Haru capisce di poterla amare in silenzio, come un’incarnazione, una metamorfosi, come la sua redenzione, la porta verso l’invisibile. Con lei, con l’idea di lei, Haru instaurerà per tutta la vita un dialogo silenzioso, un ponte tra Francia e Giappone, tra pezzi di sé, e ne farà il terzo filo della esistenza.

“A partire da quella sera si sarebbe trovato tra due mondi, tra i morti e i vivi, tra il buio e la luce delle case, tra il passato e il futuro, e da lì avrebbe parlato alla figlia. Pensò che i morti avevano il potere di dare gioia o disperazione e che doveva far sentire a Rosa la voce dei suoi antenati montanari, poi un altro pensiero si sovrappose a quello e, stupito ed emozionato, si disse: Sento questa voce grazie a lei.”

Vita e morte, nascite e lutti, amicizia e solitudine, contemplazione e metamorfosi: Un’ora di fervore è un romanzo malinconico e aristocratico che cerca un accesso all’oscurità dell’anima attraverso il percorso dell’esistenza votata all’arte.

Ritroviamo quel dialogo armonico tra culture francese e giapponese, che l’autrice aveva costruito ne L’eleganza del riccio e che in questo contesto diventa una metafora di un percorso verso le proprie origini, un percorso immancabilmente circolare, perché solo nella perfezione dell’ensō trova la sua risposta.

Guardando le montagne, nella frescura delle sue passeggiate di Shinnyo-dō, Haru percepisce il richiamo di un punto cieco dentro se stesso, che è la chiave del proprio essere, mentre il corso d’acqua lo invita a lavorare sulla materia, per permettere al mondo di manifestare le sue forme, e le sue verità.

Contemplativo, in costante meditazione, Haru avanza in un territorio rarefatto, privo di fronzoli, elegantemente vuoto, pura forma, ma pieno di richiami lontani, e costruisce un mondo attorno a se che tiene in equilibrio le sue anime, i fili della sua vita, lontano dalla figlia straniera, alla ricerca delle radici nuove della propria cultura. La sua è una strada che non procede retta, ma piena di curve, alla maniera degli ensō e delle calligrafie, nei vicoli ciechi dell’essere padre e uomo, per tenere collegate le proprie anime disunite, l’amore per la terra, per le origini, ma anche per le donne straniere, l’amore per la forma, l’osservazione della diversità, dell’altrove.

“Il sole filtrava tra le fronde e gli mostrava le sponde opposte della sua vita. Su una c’erano le donne, il sakè, le cene d’affari e le feste. Sull’altra c’erano le opere d’arte, Keisuke e Tomoo. Al centro, in una zona di mistero percorsa da acqua corrente, galleggiava Rosa, enigmatica e aerea”.

Muriel Barbery regala silenzio estatico e purezza, con una scrittura delicata e solenne, immagini limpide e accurate che guidano alla ricerca dell’incomprensibile, nella bellezza del Giappone, nella magia di una natura che abitua a trasformare il disastro in bellezza, a “camminare sul tetto dell’inferno guardando i fiori”, a nuotare in correnti perpetue. Gli spiriti del Giappone sono inseguiti attraverso la via del tè, e quella delle donne tutrici, tra paraventi con peonie, alberi di acero e ciliegi, dame e volpi, mentre il vento fa volteggiare fiocchi di neve e le montagne sembrano addormentate.

In un misto di fervore e leggerezza, con un tocco semplice e poetico, come quello degli haïku, il nuovo lavoro giapponese di Muriel Barbery, dopo Una rosa sola, è una guida alla scoperta dell’altrove che è in noi stessi, una bussola per l’invisibile, per la perfezione di un’ora degna di essere vissuta, per la trasformazione costante che sola può restituirci la nostra verità: non possiamo strapparci le radici per sfuggire alla nostra ombra.

“In quel paesaggio senza orizzonte Haru rientrò in se stesso, vi scoprì un territorio immenso e pensò: Quindi l’altrove è qui”.

Scopri le nostre Newsletter

Iscrizione alla Newsletter
Il mondo della lettura a portata di mail

Notizie, approfondimenti e curiosità su libri, autori ed editori, selezionate dalla redazione de ilLibraio.it

scegli la tua newsletter Scegli la tua newsletter gratuita

Libri consigliati