Da che esistono la città e il contesto urbano ci sono sempre stati indagatori di questi spazi. Anche in Italia sono diversi i gruppi che si dedicano all’esplorazione di luoghi abbandonati (case, hotel, parchi giochi, discoteche, siti militari, ospedali…) e il loro lavoro di documentazione ci mostra quanti siano gli edifici vuoti e dimenticati, offrendoci un modo alternativo per scoprire qual è la storia del nostro Paese. Un approfondimento (con tante immagini) sul fenomeno “Urbex” (dall’inglese “urban exploration”)

La letteratura e il cinema sono pieni di racconti di gruppi di ragazzini che, quasi come un rito di passaggio, si addentrano in case abbandonate per scoprirne il segreto o l’eventuale fantasma che le abita. Ed è con la stessa curiosità che spesso ci chiediamo come sia fatto l’interno di quell’enorme fabbrica vuota vicino a casa, o cosa ci sia dentro a quella villa arroccata davanti alla quale passiamo ogni giorno in macchina.

C’è chi in questi luoghi si addentra per davvero, attirato dal mistero delle cose perdute. Si chiama Urbex (dall’inglese urban exploration) l’attività di uomini e donne che, per passione, esplorano luoghi abbandonati e nascosti portando alla luce, spesso attraverso l’uso della fotografia, spazi dimenticati dall’occhio umano.

Negli ultimi anni è diventato un vero e proprio fenomeno: basta cercare l’hashtag #urbex su instagram per scoprire milioni di fotografie scattate in giro per l’Italia e all’estero.

urbex fabbrica abbandonata-min

foto di Matteo Montaperto – Ascosi Lasciti

Da che esistono la città e il contesto urbano ci sono sempre stati indagatori di questi spazi; come la psicogeografia, portata avanti dall’avanguardia artistica dei lettristi negli anni cinquanta. In un manifesto programmatico Guy Debord suggerisce la tecnica della deriva: “Andate in giro a piedi senza meta o orario. Scegliete man mano il percorso non in base a ciò che sapete, ma in base a ciò che vedete intorno. Dovete essere straniati e guardare ogni cosa come se fosse la prima volta”.

Ed è questo l’aspetto più coinvolgente di chi sceglie di avventurarsi in luoghi fatiscenti e dismessi: allenare l’occhio a qualcosa che è vicino a noi, ma come se lo vedessimo per la prima volta.

Nella società globalizzata viaggiare non è più un lusso, ma una tappa quasi obbligata per evadere dalla monotonia dei propri ambienti e riempirsi gli occhi di paesaggi nuovi e sconosciuti. Complici i viaggi low cost siamo ormai più o meno tutti turisti instancabili. E grazie alla tecnologia programmiamo viaggi in poco tempo, decidendo a distanza cosa visitare, dove dormire e dove alloggiare. Quello che però manca al viaggiatore moderno è il mistero.

Urbex Acqua Park abbandonato

L’Urbex risponde proprio a questo desiderio, incoraggiando le persone a creare le proprie avventure senza per forza andare lontano da casa.

L’esplorazione urbana non è però un’improvvisazione, ma dietro ci sono un’attenta preparazione e una serie di regole a cui attenersi. Preliminarmente si raccolgono informazioni sui luoghi attraverso Street View, Google Earth o Maps, ma anche facendo ricerca direttamente sul luogo, ascoltando gli anziani del posto per scoprire informazioni che non si potrebbero trovare scritte da nessuna parte.

Prima di avventurarsi bisogna inoltre procurarsi un equipaggiamento adeguato, composto da guanti, torce, mascherine e tutto ciò che serve per rendere quanto più sicura l’esplorazione in posti polverosi e pericolanti. E non meno importante è il codice di condotta a cui attenersi – in tal proposito esiste una vera e propria guida come non essere mai da soli e non prendere e non lasciare nulla negli edifici in cui si entra.

Urbex chiesa blu abbandonata

Foto di Marianna Arduini Ascosi Lasciti

“Prendi solo fotografie, lascia soltanto impronte”, è infatti il motto degli urban explorer, il cui scopo non è solo quello di soddisfare un desiderio personale, ma una vera e propria missione per salvare la memoria dei luoghi e donarla alla collettività.

In Italia sono diversi i gruppi che si dedicano all’Urbex, come Ascosi Lasciti, la più grande community italiana di esploratori urbani, il cui lavoro di documentazione nel nostro Paese mostra quanti siano i posti dimenticati. Ed è proprio nella catalogazione di questi luoghi che scopriamo il sommerso della nostra società: gli enormi paesaggi industriali abbandonati che si trovano nel nord Italia; i manicomi chiusi dopo la legge Basaglia; le chiese dimenticate che per mancanza di adesione e vocazione, negli ultimi dieci anni, sono edifici sempre meno rari da trovare; interi borghi e villaggi fantasma, a testimonianza che la vita si sposta, da tempo, sempre più nelle grandi città; le discoteche, i parchi divertimento e gli hotel decaduti per mala gestione; i siti militari costruiti durante la guerra fredda e ora fatiscenti; ma anche i diversi ospedali vuoti su tutta la penisola, enormi e dismessi, che in un momento di emergenza come questo, ci ricordano le fragilità del nostro sistema sanitario.

Quello che emerge, insomma, è un passato che vive in mezzo a noi e recuperarlo, attraverso un’archeologia urbana, diventa un modo alternativo ai libri per scoprire qual è la storia a cui apparteniamo.

Fuori dall’Italia alcune persone si sono arrischiate in altri luoghi che hanno segnato la storia dell’ultimo secolo, come l’urbex giapponese Keow Wee Loong che, a quattro anni di distanza dal disastro di Fukushima, è andato a fotografare quello che rimane nelle zone vicino all’impianto, documentandone le atmosfere post-apocalittiche.

Così come molti sono gli esploratori che negli ultimi anni si sono introdotti a Chernobyl alla scoperta della città fantasma di Pripyat. In questi stesi luoghi si muovono anche gli stalker, nome mutuato dall’omonimo film di Tarkovskij del 1979, ovvero gruppi organizzati di persone che, motivati dall’amore per la storia, conservano gli oggetti e i libri dimenticati sul luogo dalle persone vissute prima dell’esplosione del famoso rettore numero quattro nel 1986.

Come nota Gilles Clément, nel famoso saggio Manifesto del terzo paesaggio (Quodlibet, a cura di Filippo De Pieri), in tutti gli spazi privati dell’attività umana, e quindi improduttivi, fa sempre capolino la natura che, riappropriandosi di questi luoghi, favorisce la conservazione della biodiversità. Ed è proprio questo che, a trent’anni di distanza dalla peggior catastrofe nucleare europea, sta succedendo nella zona di esclusione che perimetra il luogo dell’incidente di Chernobyl: la presenza umana ha lasciato il posto alla proliferazione di una natura più rigogliosa che mai.

Maschere abbandonate a Chernobyl

foto di Francesco Coppari, Ascosi lasciti

Il fascino delle rovine popola anche la letteratura, come nel romanzo di Carmen Pellegrino Cade la terra (Giunti), in cui l’autrice interroga le pietre del paesino di Alento, abbandonato dagli abitanti a causa di una frana. Qui Estella, ultima rimasta, cerca disperatamente di mantenere viva la storia delle persone che lo hanno abitato, recuperando brandelli di memoria dagli spacchi dei muri e dai nascondigli delle case lacerate.

L’esplorazione urbana è un’attività seducente da un punto di vista estetico ma, allo stesso tempo, significa, per chi lo pratica seriamente, anche impegno sociale in grado di fornire uno sguardo diverso sulla storia del nostro territorio; per esempio ci permette di toccare con mano episodi chiave dell’evoluzione comunitaria, come la crescita industriale e il suo conseguente declino o l’espansione del tessuto urbano nell’era del benessere economico.

Ci consente anche di riportare alla luce edifici di enorme valore artistico, letteralmente abbandonati a subire l’azione del tempo. E più in profondità ci dà l’opportunità di riflettere sulla precarietà delle opere che l’essere umano può costruire in una società tutta tesa a cambiare direzione velocemente, arricchendo i centri urbani di nuovi edifici e architetture, mentre continuiamo a convivere con il nostro suo passato recente.

Fotografia header: foto di Ascosi lasciti

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