“Versi a Dio – Antologia della poesia religiosa”, curata da Davide Brullo, Nicola Crocetti e da padre Antonio Spadaro (che ne firma anche l’introduzione, anticipata da una “Lettera ai poeti” di Papa Francesco), racconta delle nostre paure e delle nostre speranze, di quello di cui disperiamo e di quello a cui aspiriamo. Ne abbiamo parlato con Spadaro, che svela: “Ho sempre trovato la poesia come un luogo in cui potevo fare un’esperienza più intensa della vita”. Per il gesuita, sotto-segretario del Dicastero per la cultura e l’educazione, “tutte le tradizioni religiose hanno espresso la fede, l’attenzione a un Dio attraverso la poesia. La Bibbia stessa è una biblioteca che contiene tanti libri poetici, innanzitutto i salmi; quindi, è naturale nella condizione umana esprimere il proprio senso religioso attraverso la poesia”. Ed è anche vero che “c’è una affinità profonda tra il sentimento religioso e l’ispirazione poetica…” – L’intervista

È stato un caso. Abbiamo registrato questa intervista con padre Antonio Spadaro nelle ore in cui gli Stati Uniti apprendevano la vittoria presidenziale di Donald Trump. In un’atmosfera incerta per il futuro del mondo, parlare di poesia è sembrato un toccasana. Il pretesto della conversazione è la pubblicazione di Versi a Dio. Antologia della poesia religiosa, curata da Davide Brullo, Nicola Crocetti e dallo stesso Spadaro (che ne firma anche l’introduzione, anticipata da una Lettera ai poeti di Papa Francesco).

Questa antologia, infatti, si muove decisamente oltre la mera occorrenza editoriale e racconta delle nostre paure e delle nostre speranze. Di quello di cui disperiamo e di quello a cui aspiriamo.

versi a dio antologia della poesia religiosa

Padre Spadaro, durante l’insediamento di Joe Biden nel 2021 ci aveva colpito molto Amanda Gorman recitare una lunga poesia. Le sue parole avevano a che fare con la spiritualità: parlavano di noi, di avere il coraggio, di essere luce. Ecco, luce. Sicuramente deriva da un lessico proprio della tradizione spirituale, più che di quella politica. Allora, forse la prima domanda che vorrei farle è questa. In che modo la poesia ci dà una prospettiva sul nostro vivere quotidiano, comune, addirittura sul nostro vivere politico?
“La poesia ha una grande capacità di parlare alle persone, perché usa le parole che spesso noi usiamo ordinariamente. L’esempio della luce, come abbiamo detto, è un esempio classico. Noi usiamo normalmente la parola ‘luce’ perché accendiamo la luce in casa, ma anche metaforicamente, perché con la luce vediamo il mondo e noi stessi più interiormente. Ci rendiamo conto che questo valore reale – perché le parole nominano la realtà – è in grado di diventare simbolico, cioè di dire una condizione dello spirito, di dire la nostra vita, di aprirci a un futuro, di farci intendere la realtà che viviamo. Ecco la grande risorsa della poesia: riuscire in maniera sintetica, spesso usando le parole di ogni giorno, ad aprirci mondi nuovi, a darci speranza. In fondo, tutte le parole che narrano, che raccontano storie, sono parole che aprono mondi. Noi non possiamo leggere una poesia o leggere un racconto con l’idea che tutto quello che stiamo leggendo sia falso, che quella storia che mi viene raccontata non sia vera, perché altrimenti sarebbe impossibile entrarci dentro. Bisogna avere fiducia, bisogna vedere quello che la poesia sta mostrando, bisogna entrare nelle storie che ci vengono raccontate come se fossero vere, e a quel punto potremo aprirci a delle possibilità di esistenza che altrimenti non avremmo, perché nessuno ce le farebbe vedere. La poesia ci fa vedere”.

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Lei ha utilizzato il verbo “fidarsi”, il cui controaltare è “avere paura”. Spesso ci scontriamo con la paura che genera la poesia: molti non si sentono in grado di capirla, hanno paura di non riuscire a comprenderla, hanno paura di non avere gli strumenti. Questa cosa mi faceva riflettere su un possibile parallelo: non avere gli strumenti, avere paura di approcciarsi alla fede, quasi come se fosse un po’ lo stesso processo di timore. Che ne pensa?
“È vero che ogni poeta sceglie il suo lettore; quindi, esiste un tipo di poesia che richiede non solo attenzione, ma anche uno strumentario molto sofisticato per poter essere compresa. Ed è vero che, avvicinandoci alla poesia, siamo come intimoriti. Per esempio, mi colpisce molto la differenza di recezione della Divina Commedia in Italia e nei paesi anglofoni. Dante nei paesi anglofoni è un poeta popolare. Forse la paura si traduce da una parte in senso di rispetto, che allontana un po’ il lettore, e dall’altra parte in una barriera che va assolutamente superata. È anche vero che la poesia, avendo a che fare con i significati della vita, può inquietarci. Leggere una poesia, quindi leggere un testo con grande densità di significato, può scuoterci, può cambiarci, può spaventarci. In questo senso ci comunica un senso di inquietudine che, però, può essere salvifico, può aiutarci a uscire da una situazione di crisi. E questo non ha a che fare con la spiritualità, la fede appunto? Questo ha molto a che fare con la fede, direi in tutte le tradizioni religiose. Versi a Dio vuole essere una sorta di testimonianza vivente di questo fatto. Tutte le tradizioni religiose hanno espresso la fede, l’attenzione a un Dio attraverso la poesia. La Bibbia stessa è una biblioteca che contiene tanti libri poetici, innanzitutto i salmi; quindi, è naturale, nella condizione umana, esprimere il proprio senso religioso attraverso la poesia. È anche vero che c’è un’affinità profonda tra il sentimento religioso e l’ispirazione poetica. Ci sono alcuni gesti profondi che sono comuni tra la poesia e la preghiera. Per esempio, il senso del raccoglimento: davanti a un libro di poesia già l’articolazione della pagina, quindi la stessa struttura della poesia, che lascia molto spazio al bianco piuttosto che al testo scritto, invita al raccoglimento, alla semplificazione. Questo è un gesto di ordine spirituale, c’è chi ha detto che è la mistica a rendere meno oscuro il mistero della poesia: il testo religioso che si esprime poeticamente ci aiuta a comprendere il senso dell’ispirazione poetica in generale”.

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Questa dimensione del bianco la vorrei riprendere tra un attimo, prima vorrei ancora soffermarmi sul tema della paura. Adesso le farei una domanda più diretta, personale: come superare allora la paura? E in che modo lei da lettore ha incontrato quei testi e quei poeti che le hanno permesso di superarla?
“La mia esperienza personale non ha mai incontrato questo sentimento davanti alla parola poetica, ho sempre trovato la poesia come un luogo in cui potevo fare un’esperienza più intensa della vita. La poesia che per esempio amo molto è una poesia piana, in cui vengono usate le parole comuni, un esempio è la poesia di Raymond Carver, poeta e scrittore americano a cui ho dedicato molte riflessioni, che usa il linguaggio ordinario di tutti i giorni. Leggendolo, riesco a leggere la mia esperienza personale in maniera più intensa, più forte. Capisco che ciò può provocare uno scuotimento, ovvero posso interrogare la mia vita sul fatto che sia possibile vivere esperienze vere oppure false, perdere il proprio tempo. Che sia possibile che la vita scorra senza senso. Tutte queste sono domande molto forti”.

Quella dimensione del bianco, che è il raccoglimento, è stato interpretato anche come il respiro della pagina. Mi tornava in mente un passaggio del discorso di accettazione del Nobel di Giorgos Seferis, tradotto da Nicola Crocetti: “La poesia affonda le sue radici nel respiro umano e cosa sarebbe di noi se il nostro respiro dovesse venire meno, la poesia è un atto di fiducia e chissà che il nostro disagio non dipenda dalla mancanza di fiducia”. Questo tema del respiro mi riportava alla dimensione spirituale dell’anima, ma anche a quel tipo di preghiera legata al respiro, all’esicasmo, a tutta quella cultura che lega la Parola al respiro. Visto che poi lei, nell’introduzione al libro, si sofferma sul rapporto tra poesia e preghiera, in che modo il respiro lega la poesia e la preghiera?
“Il legame tra il respiro e lo spirito è un legame profondo, che è dato dalla parola stessa; quindi, la dimensione spirituale è sempre stata legata al respiro, al respiro fisico, quello dei nostri polmoni, che ci permettono di prendere il respiro, di prendere fiato, di avere un tempo non segnato dalla frenesia e questo oggi sta diventando sempre più difficile nelle nostre vite così affannate. Per questo abbiamo ulteriormente bisogno della poesia. Lo spazio bianco diventa uno spazio di respiro, lo spazio bianco della pagina ci dice che non tutto deve essere riempito da qualcosa, ma abbiamo bisogno di uno spazio di dissonanza. È molto significativa una differenza posta da Karl Rahner, un teologo tedesco, che ha scritto dei saggi sulla poesia. Ha parlato della differenza tra le parole farfalla, le farfalle infilzate, quelle che troviamo per intenderci nei musei o nelle bacheche, e le parole conchiglia. La parola infilzata è una parola morta, fissa su un vocabolario, che non riesce a scappare perché è morta; quindi, rimane lì, classificata e catalogata. La parola conchiglia, invece, è quella che, se ascoltata, un po’ come si fa con le conchiglie quando le si mettono all’orecchio, trattiene in sé il rumore del mare. Quindi la parola poetica è una parola conchiglia, la parola che, ascoltata dentro questo mare di bianco, permette di respirare, rivela il tesoro che contiene, il rumore profondo del mare. In questo senso certamente la parola poetica ha un valore mistico perché è in grado, se non altro, di introdurci all’esperienza religiosa, di creare lo spazio necessario per l’esperienza religiosa”.

Versi a Dio comincia con una lettera ai poeti di Papa Francesco. Un passaggio mi ha incuriosito, e desideravo che lo commentasse. Il Papa dice che “i poeti sono responsabili dell’immaginazione spirituale”. Mi sembra molto vicino a quello che stava dicendo sulle parole conchiglia: cos’è, però, l’immaginazione spirituale? In che modo è possibile educarla, coltivarla, crescerla?
“Viviamo un mondo fratturato, dove l’ordine mondiale stesso è sconvolto, per cui non ci sono più le parole per dirlo e per raccontarlo con chiarezza. Stiamo balbettando cose che non riusciamo neanche a dire e probabilmente non riusciamo più a immaginare il mondo. Faccio un esempio per quanto riguarda proprio la geopolitica: una cosa è vedere il mondo come se fosse una scacchiera, come siamo abituati a vederlo normalmente, con dei quadratini che vanno occupati dalle pedine; un’altra cosa è vederlo come un tessuto, cioè di fili intrecciati dove non ci sono confini, dove tutto è unito e interagisce. Già queste due figure, della scacchiera e del tessuto, ci fanno capire che l’immaginazione – come noi immaginiamo la realtà – determina il nostro comportamento. La potenza dell’arte, e quindi della poesia, è quella di avere un rapporto diretto con il nostro modo di immaginare la realtà. A volte, la parola di un poeta o il quadro di un artista può farci vedere le cose in maniera completamente diversa e fornirci una capacità di immaginazione. Vedere le cose in alternativa rispetto ai cliché ordinari. Il Papa dice questo: voi poeti avete una responsabilità morale molto forte, perché avete la capacità di cambiare la nostra visione della realtà e noi abbiamo bisogno di questo, in un momento così difficile abbiamo esattamente bisogno di questo, non solo di statistiche, di analisi, di un linguaggio se vogliamo calcolante e tecnico, ma di un linguaggio che cambi la nostra visione e ci faccia vedere il mondo in maniera diversa”.

Torniamo alla sua introduzione. A un certo punto lei scrive che una poesia diventa di fatto una poesia religiosa nel momento in cui, in quel dialogo, in quel binomio tra poeta e lettore, si insinua un terzo punto. E questo terzo punto è Dio. Nel momento in cui l’io diventa tu, quando si palesa un’invocazione. È estremamente affascinante perché forse, di questi tempi, siamo schiacciati dal nostro io e abbiamo davvero paura – ritorniamo sul tema! – di rivolgerci al tu.
“Sì, esiste effettivamente una soglia che distingue poesia e preghiera. La poesia-preghiera è qualcosa di specifico, si rivolge a Dio e quindi ha un tu, e questo potrebbe essere anche uno sconosciuto, ma ci deve essere. La preghiera si deve rivolgere a qualcuno, a un tu, che sia noto o ignoto. Allora, qual è il momento in cui la poesia diventa preghiera? Nel momento in cui c’è un’invocazione; che si creda o meno, devo postulare alla presenza di un tu, altrimenti non posso capire quanto chiedo. Lacan diceva che si ha poesia ogni volta che uno scritto ci introduce in un mondo diverso dal nostro, dandoci la presenza di un altro. La poesia ci introduce in una nuova dimensione dell’esperienza. Trovo questo molto bello: essere introdotti in un mondo che è diverso dal proprio; la preghiera radicalizza questa esperienza, ovvero venire introdotti in realtà a un tu, a un io che è diverso dall’io, da me stesso, e che apre il mio orizzonte. Allora tutto diventa assolutamente imprevedibile. Questa è la forza della poesia-preghiera, la poesia che deve tendere necessariamente a un altro”.

La forza del libro che avete composto sta proprio in quello che diceva prima, che non è chiaro chi sia questo tu. Avete antologizzato il primo stasimo dell’Agamennone di Eschilo, “Zeus, chissà chi sia”: è una forma di universalità e questa vostra antologia si costruisce su un’idea universale, ecumenica. È curioso che il cristianesimo non sia all’inizio del libro, anzi che sia abbastanza decentrato. È bello che ci sia tutto, dai testi africani a quelli egiziani, allo gnosticismo. Perché la materia di Dio è parimenti importante in tutte le culture. E soprattutto l’idea di Dio in sé vince sull’idea del Dio particolare della religione particolare.
“Il senso di questo libro è l’impianto religioso, è un documento in fondo: vuole documentare la radicalità della poesia religiosa che attraversa le condizioni, il tempo, le differenti fedi e religioni. Eppure, tocca anche chi non ha una fede esplicita o, diciamo, catalogabile in qualche modo. Per questo mi piacciono molto i versi di uno straordinario premio Nobel, che scrive una poesia in cui dice: Uno sconosciuto è il mio amico, / uno che io non conosco. / Uno sconosciuto lontano lontano. / Per lui il mio cuore è pieno di nostalgia. / Perché egli non è presso di me. / Perché egli forse non esiste affatto? / Chi sei tu che colmi il mio cuore della tua assenza? / Che colmi tutta la terra della tua assenza? Abbiamo sentito con Nicola Crocetti e Davide Brullo la necessità di documentare questa poesia che si interroga su questo tu che può rimanere sconosciuto, come nel caso di questa poesia straordinaria di Pär Lagerkvist”.

Un altro dettaglio affascinante è definire chi sono i poeti di questa antologia, perché a volte i nomi sono sorprendenti. Ad esempio, c’è Franz Kafka. Possiamo dire non sono dei poeti strettamente canonici.
“La loro presenza in questa antologia è frutto di incontri. È difficile essere sistematici per un’antologia di questo genere, perciò è un documento testimoniale, che è filtrato dall’esperienza di noi tre. La poesia si incontra, gli autori si incontrano. Se un’antologia ha senso è perché ha un punto di vista forte che è poi l’esperienza personale. Diciamo in generale che una poesia ci piace, è bella, perché dice qualcosa. Il nostro compito è costringerci in qualche modo a uscire dalle nostre abitudini, quindi dalla pratica abituale dei poeti che conosciamo, per aprirci a mondi completamente diversi. Quindi leggere, leggere e trovare anche in modo imprevisto, se vogliamo, delle perle, delle forze che ci hanno attratto nel testo e che abbiamo voluto poi rendere in poesia. Quindi non significa che gli autori scelti abbiano passato un procedimento omogeneo di selezione, né che noi tre siamo esperti in tutti gli autori che abbiamo citato, però leggendo, leggendo centinaia di testi, altre antologie, abbiamo trovato queste testimonianze che abbiamo voluto pubblicare”.

Devo ringraziarla, e ringraziarvi, perché qui a casa abbiamo l’abitudine, prima del pasto, di dire una preghiera. E stiamo usando il libro per cambiarle di giorno in giorno. Oggi abbiamo letto una preghiera induista. È stato bello. Volevo farle un’ultima domanda, proprio sulla dimensione testimoniale, riprendendo un altro spunto del Papa nella sua lettera. Dice che la letteratura è la spina che aiuta il cammino di fede: in che modo lei vive quotidianamente questa spina? Che relazione ha con questa spina?
“È interessante, perché il Papa in realtà non dice testualmente che la parola letteraria è una spina che fa progredire nel cammino di fede. Dice che ‘ti mette in cammino’. È interessante, perché nella sua straordinaria lettera sulla letteratura, che il Papa ha pubblicato all’inizio di agosto, diceva che a volte leggere una poesia può ispirare di più, in un momento di stanchezza, di una preghiera. Il Papa riconosce nella poesia questa funzione di pungolo per cui, evidentemente, ti aiuta a entrare in un cammino di fede, perché ti mette in ascolto, ti esercita la capacità di ascolto. Ha un valore più ampio, tocca la vita; la parola di una poesia ti tocca, ti punge perché ti spinge, non ti lascia lì dove sei, ti muove, ti agita, a volte in modo leggero, a volte in maniera pesante, però quello che lui dice è che la poesia addirittura ‘ti butta da un’altra parte’. Sto ancora riflettendo sul significato di questa espressione, e la trovo straordinaria: la poesia ti butta da un’altra parte e allora questo pungolo non è solo uno ‘spostati un po”, ma è come se fosse una catapulta che a un certo punto ti spinge dove neanche tu vorresti andare. È un invito, secondo me, questa lettera del Papa ai poeti a lasciarsi coinvolgere in questo gioco di spostamento, in questa spinta che la poesia è in grado di darci e che probabilmente altre esperienze ormai non sono più in grado di offrirci, perché sono troppo usurate. In fondo, è il desiderio di scoprire l’esperienza che facciamo tutti i giorni”.

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