Lanzarote sembra un pianeta sconosciuto, oppure una landa preistorica: e forse somiglia così fedelmente all’immagine che abbiamo di luoghi e tempi mai visti anche perché i paesaggi sterminati e brulli dell’isola sono stati il set di tanti film con ambientazioni remote e oniriche…
Su ilLibraio.it il reportage di Ilaria Gaspari, in cui trovano spazio registi come Kubrick e Almodóvar e scrittori come Houellebecq e Saramago

Non sono mai stata su Marte, ovviamente. Ma quando sono arrivata a Lanzarote era sera e nel cielo si addensava una strana luminosità elettrica contro cui si disegnavano i coni rovesciati dei vulcani, i loro profili di un bruno rossastro, e ho pensato: io sono già stata qui. L’ho pensato come lo si pensa di un luogo visto in sogno. Oppure in un film: e non ero poi lontana dalla verità.

Lanzarote sembra un pianeta sconosciuto, oppure una landa preistorica: e forse somiglia così fedelmente all’immagine che abbiamo di luoghi e tempi mai visti anche perché i paesaggi sterminati e brulli dell’isola sono stati il set di tanti film con ambientazioni remote e oniriche. Nei primi anni ’60 fu lo sfondo per qualche episodio della prima serie del Doctor Who. Nel ’65 si aggirava per l’isola Raquel Welch in un bikini preistorico, e come una venere primitiva usciva dalle acque dell’oceano in Un milione di anni fa. Nel ’68 Kubrick ci ha girato parecchie scene di 2001: Odissea nello spazio.

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L’isola è anche lo sfondo di uno stranissimo film di “fantascienza sociologica” di Ugo Tognazzi, I viaggiatori della sera (1979), una storia inquieta, distopica e crepuscolare tratta da un romanzo di Umberto Simonetta. Racconta di una società che manda i vecchi ad appassire in un villaggio che è quasi una prigione. Non è il più bel film che abbia mai visto, è troppo indeciso e diseguale nel ritmo, ma ha qualcosa di magnetico: forse lo strano, fascinoso connubio fra Tognazzi, Ornella Vanoni che interpreta sua moglie, una storia di fantascienza buzzatiana, e Lanzarote.

Nei primi anni ’70, Omar Sharif arrivò sull’isola per girare L’isola misteriosa e il capitano Nemo (regia di Juan Antonio Bardem, 1973): si innamorò di LagOmar, una bizzarra costruzione che sembra sorgere dalle pietre vulcaniche sulla cui base la disegnò l’artista Jesùs Soto da un progetto originale di César Manrique; la comprò e a quanto pare ci fece delle gran feste, prima di venderla nel 1989 a due architetti, Dominik van Boettinger e Beatriz van Hoff, i quali portarono a compimento lo sviluppo della struttura che oggi, fra l’altro, ospita un museo.

Almodòvar ha raccontato di aver immaginato proprio a Lanzarote gli amanti del suo film del 2009, Gli abbracci spezzati, dopo aver visto un uomo e una donna abbracciati sullo sfondo delle pietre laviche e dei cactus.

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Werner Herzog ci ha girato Anche i nani hanno cominciato da piccoli: e questo lo so bene, essendo stata sull’isola con un vero appassionato del film, che ricordava di aver trovato anni prima, in un altro viaggio, la finca – la villa – in cui è ambientato, ma naturalmente non la sua esatta ubicazione. Abbiamo vagato un pomeriggio intero, confrontando i profili delle montagne e dei vulcani che vedevamo vibrare nell’aria rovente di agosto – era uno dei rari giorni senza vento in quell’isola sempre ventosa – con quelli di un fotogramma del film. E quando ha funzionato, quando abbiamo potuto sovrapporre i contorni bruni e turchesi a quelli in bianco e nero, eravamo già nel cortile deserto della casa imbiancata a calce; disabitata da anni, ci avrebbero detto poi.

C’è un’aria strana, elettrica, in quest’isola di cui già in epoca romana si conosceva l’esistenza, e che si trova pressappoco nel punto in cui secondo Platone è sprofondata Atlantide. La riscoprì per caso, nel 1312, un navigatore di Varazze, Lanzarotto Malocello, che solcava i mari in cerca dell’Allegranza e della Sant’Antonio, due galee con cui erano salpati da Genova nel 1291 altri esploratori, Ugolino e Vadino Vivaldi: se ne erano perse le tracce – forse i due fratelli erano approdati sulle coste dell’Africa; forse, anche a loro pensava Dante quando raccontò il folle volo della nave di Ulisse oltre le colonne d’Ercole. Oltre le colonne d’Ercole arrivò pure Lanzarotto, e non trovò le due galee: trovò invece l’isola che non stava cercando. Era abitata da una popolazione che viveva ancora all’età della pietra, i Guanci: i nomi dei re che governarono l’isola fino alla conquista di Jean de Béthencourt, nobile normanno, a inizio ‘400, hanno suoni simili a quelli dei nomi dei suoi vulcani. Teguise era il nome dell’ultima principessa dei Guanci; ora è il nome di una cittadina di case basse, bianchissime nel sole, e con le porte di legno verde bottiglia, scheggiate dal vento dell’oceano, come tutte le case di Lanzarote: così le ha volute César Manrique, architetto nato sull’isola, con il suo piano urbanistico grazie al quale si evitò di cedere alla tentazione di costruire scriteriati alberghi enormi pure negli anni in cui le Canarie diventavano una meta di grido.

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L’isola che vediamo oggi, con case basse nei colori tradizionali, e strade su cui la sera si accendono file di piccoli lampioni dall’aria stranamente parigina, con le viti verdissime che crescono in orizzontale, in letti scavati nel nero della sabbia lavica, con i cactus che fioriscono e somigliano a sculture, con le distese di pietra ricoperta di licheni, non è quella che vide il buon Lanzarotto quando ci arrivò per caso: nel 1730 l’eruzione del grande vulcano Timanfaya, e di molti altri minori, ne sconvolse completamente la fisionomia. Oggi costeggiando il grande parco naturale dei vulcani, ma anche camminando per l’isola, si vede a tratti un paesaggio livido, scuro, che non assomiglia a nessun altro; quello modellato dalla lava di quasi tre secoli fa, lava eruttata venticinque anni prima del tremendo terremoto di Lisbona che fece ricrede Voltaire sulla teodicea di Leibniz.

Il cielo cambia di continuo, scorrono a terra le ombre delle nuvole, sospinte dai venti perenni. E sembra proprio di essere in un western metafisico, come ha scritto Houellebecq in un libro strano, e perturbante in un modo un po’ diverso dai suoi classici libri à la Houellebecq, che ha per titolo il nome l’isola, e racconta una fuga dello scrittore a Lanzarote, per il capodanno della fine del millennio.

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Non è stato certo l’unico scrittore a scegliere l’isola in un momento complicato. José Saramago è morto a Tìas, cittadina di 19.000 abitanti; si era trasferito a Lanzarote nei primi anni ’90, con la moglie Pilar, in seguito alle furiose polemiche e alla censura, da parte del governo portoghese, del suo Vangelo secondo Gesù Cristo. Lì scrisse pagine di diario quasi quotidiane, da cui sono nati i Quaderni di Lanzarote (pubblicati in italiano da Feltrinelli nel 2017, a cura di Paolo Collo): storia di un esilio volontario, riflessioni sulle minuzie quotidiane, sulla scrittura.

E credo che sia un buon posto in cui andare in esilio, un’isola scoperta per caso da un navigatore che inseguiva navi disperse, dove la natura sembra tremenda e mansueta, come un immenso drago dormiente.

L’AUTRICE – Ilaria Gaspari, classe ’86, si è diplomata in Filosofia alla Scuola Normale di Pisa e ha debuttato nel romanzo con Etica dell’Acquario (Voland).
Qui i suoi articoli per ilLibraio.it.

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