Intervista ad Andrea Fazioli autore di L’uomo senza casa ISBN:9788860881090
La Svizzera è un luogo misterioso. Sembra tranquillo, ma sotto la superficie si agitano strani misteri, e soprattutto soldi, tanti soldi. Elia Contini, protagonista di L’uomo senza casa, nuovo romanzo del ticinese Andrea Fazioli, è un investigatore elvetico che lavora a Lugano, in mezzo agli intrighi della politica e della finanza, ma che ogni sera torna a casa in un villaggio in montagna. E un giorno Contini si trova a dover risolvere un mistero che lo tocca molto da vicino. Un noir con un’atmosfera molto ticinese, in un microcosmo multiforme e pieno di segreti che è la Svizzera italiana. Ne abbiamo parlato con l’autore.
D. Questo romanzo è un’ideale continuazione del primo?
R. C’è lo stesso protagonista, ma non è una continuazione. Nel primo romanzo il detective Elia Contini entrava in una storia non sua, era l’elemento esterno che si intrufolava in un ambiente. Nell’Uomo senza casa, invece, Contini finisce nei guai. La storia è la sua, la vita è la sua, e lui si trova davvero in pericolo: in pochi secondi deve salvare se stesso e tutto ciò che ama.
D. Elia Contini rappresenta un tipico personaggio “svizzero”?
R. “Svizzero italiano” direi. Infatti la nostra è una regione strana: a sud ci sono le banche, Lugano, il lago; a nord, le montagne, paesi che sono una manciata di case e ricordi perduti fra le valli. Contini ha un’anima “cittadina”: il suo ufficio è a Lugano, sul bordo del lago. Ma dentro di lui c’è anche un’anima “selvatica”: ogni sera torna a casa a Corvesco, un villaggio circondato dal bosco.
D. Davvero in Svizzera esistono molti segreti legati ai soldi, alle banche, all’alta finanza oppure è soltanto un’immagine che abbiamo noi di questo paese?
R. Qualche cosa di vero c’è. Poi spesso si esagera. Ma l’aspetto appassionante, per uno scrittore, è che i segreti si presentano dietro una facciata di rispettabilità, talvolta perfino di banalità. Facendo ricerche per il romanzo ho dato appena una sbirciatina dietro la porta della cassaforte… ma ho avuto l’impressione che ci sia materiale per altri futuri thriller!
D. Come si potrebbe descrivere un paese come la Svizzera italiana? Esistono legami forti con l’Italia oppure è un altro mondo?
R. Siamo sospesi. Da una parte la nostra cultura è innegabilmente italiana. Parliamo italiano, scriviamo in italiano e italiani sono i nostri modelli culturali. Però quando si oltrepassa la frontiera, a Chiasso andando a nord, si capisce subito che si sta entrando in un altro mondo. C’è qualcosa nell’aria, una quasi impercettibile variazione che ci fa dire: ora siamo in Svizzera…
D. Lei è un giornalista che lavora per la radio svizzera. Quanto il suo mestiere influenza la volontà di scrivere un libro? E poi, quali scrittori di gialli predilige?
R. Ho cominciato a lavorare come cronista per “Il Giornale del Popolo”, un quotidiano ticinese, e questo mi ha insegnato a raccontare i fatti senza troppi fronzoli. Poi, alla radio, ho continuato a maneggiare le parole, anche se in maniera diversa, e questo mi ha aiutato anche a sviluppare una certa semplicità, una maniera diretta di rivolgermi al pubblico. In realtà però il gusto di raccontare storie precede il fatto di avere un mestiere: fin da bambino amo sentire racconti e anche narrarli. Sarebbe lungo fare un elenco degli scrittori che ho amato e che amo… in questo periodo sto rileggendo numerosi feuilleton ottocenteschi (da Dickens a Collins a Gaboriau passando anche per De Marchi): amo l’impeto della loro narrazione, la folla di personaggi, il gusto quasi infantile di tenere il lettore con il fiato sospeso. D’altronde, il motto di Collins era: “mak’em laugh, mak’em cry, mak’em wait… falli ridere, falli piangere, falli aspettare”…