Ezio Azzollini, Saverio Gangemi, Maria La Tela, Elisa Menon, Maria Sofia Mormile, Michela Panichi, Diego Pellizzari, Filippo Rosso e Simone Torino: sono le autrici e gli autori delle 9 opere finaliste selezionate dalla Giuria del Premio Italo Calvino 2024, giunto 37esima edizione. Menzione speciale per Enrico Fink. Il 4 giugno a Torino la serata finale – I particolari
Il Premio Italo Calvino annuncia le opere finaliste della 37esima edizione, scelte dal Comitato di lettura del Premio tra gli 827 manoscritti partecipanti al bando e poi sottoposte al giudizio della Giuria composta, quest’anno, da Viola Ardone, Beatrice Manetti, Roberta Mazzanti, Andrea Pomella, Alessandro Zaccuri.
I nove testi inediti di autori esordienti, tra cui i giurati decreteranno il vincitore e le menzioni speciali, sono:
El Moscardón. La vita sufficiente di Martín Primaro di Ezio Azzollini, Calùra di Saverio Gangemi, Nel nome tuo di Maria La Tela, Guance bianche e rosse. Elda è salita alle malghe di Elisa Menon, La follia dei gigli di Maria Sofia Mormile, La cecilia di Michela Panichi, Diaboli virtus di Diego Pellizzari, Biografia del vuoto di Filippo Rosso, Macaco di Simone Torino.
La cerimonia di premiazione si svolgerà martedì 4 giugno, a partire dalle ore 17, al Circolo dei lettori di Torino, alla presenza dei finalisti, dei giurati e del direttivo del Premio – composto da Franca Cavagnoli, Anna Chiarloni, Mario Marchetti, Laura Mollea, Carla Sacchi Ferrero – che consegnerà una “menzione speciale del Direttivo” a Patrilineare di Enrico Fink “per l’inedito taglio con cui si inserisce nel grande alveo narrativo di recupero della memoria ebraica”.
Sarà possibile seguire la cerimonia anche in diretta streaming sul profilo Facebook e sul canale YouTube del Premio (@premio.calvino).
A partire da mercoledì 29 maggio, sui canali social e sul sito del Premio (www.premiocalvino.it) saranno disponibili, due al giorno, i video di presentazione dei testi finalisti: conterranno la voce dell’autore, la lettura di un brano e una breve analisi critica.
Le opere finaliste
La scelta finale – si legge nella presentazione – “è stata come sempre complessa e dibattuta” – spiega il presidente del Premio Mario Marchetti – “e si è cercato di dare rappresentanza a temi e stili diversi e a sfide narrative originali. Teniamo comunque presente che il Premio è un sismografo che registra, non prescrive, sceglie quindi nell’esistente che si pone e si propone. La forma narrativa è varia e non sempre riconducibile alla forma romanzo strettamente intesa, come d’altronde ormai avviene in tutta la narrativa contemporanea. Abbiamo testi ‒ Nel nome tuo di Maria La Tela ‒ che si presentano come narrazioni più tradizionali seguendo il percorso delle loro protagoniste in rapporto ad altri personaggi, e facendo evolvere il loro essere nel mondo; alcuni romanzi sono esempi tipo di intertestualità tra cinema e scrittura: è il caso di La cecilia di Michela Panichi che, pur essendo un romanzo dalla struttura classica, è caratterizzato, nei contenuti, da una forte influenza proveniente dal cinema e dalle serie tv, e di Diaboli virtus di Diego Pellizzari, nel quale una forte componente filmica (L’esorcista, Shining, Il silenzio degli innocenti) dà vita a una bella mescolanza tra horror e processo di autocoscienza. Di un inusuale meticciato narrativo si può parlare nei casi di La follia dei gigli di Maria Sofia Mormile, poderoso romanzo tra if-history e analisi della natura umana, di Guance bianche e rosse di Elisa Menon, testo tra ricerca storica e narrazione, e di El Moscardón di Ezio Azzollini, interessante osmosi tra narrativa sudamericana e italiana. In Calùra di Saverio Gangemi l’ibridazione avviene tra climate fiction e metafisica, mentre Biografia del vuoto di Filippo Rosso può essere definita come una temeraria fusione tra arte concettuale e racconto. A sé stante resta Macaco di Simone Torino, ma anche qui colpisce l’antifrastico avvicinamento tra marginalità sociale e consapevolezza lato sensu politica, come se tra i due piani ci fosse un nesso sostanziale”.
E ancora: “Venendo alle tematiche e allo sguardo sul mondo, si conferma l’estinguersi del romanzo politico/sociale, come andiamo osservando ormai da anni. L’istanza politica fa capolino nella forma di moralità individuale, di scelte di vita, di modalità di essere, in controtendenza rispetto allo stile di vita egemonico. Presente il tema del rifiuto da parte femminile dei ruoli sociali imposti accanto ai temi dell’identità di genere, dell’omosessualità sia maschile che femminile, del corpo sul quale si esercita la violenza istituzionale e patriarcale. Affiora anche un interesse per il religioso, per quello che potremmo definire lo spirituale, sia pure posto nei termini antitetici del Dio assente. D’altro canto, continua a essere produttiva la miniera narrativa del Sud con le sue ricostruzioni di genealogie famigliari, dei loro universi, delle loro tradizioni: sono le terze generazioni che hanno studiato a scriverne prima che tutto scompaia”.
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El Moscardón. La vita sufficiente di Martín Primaro di Ezio Azzollini (1983, Molfetta – Bari) “inscena un immaginario calciatore uruguayano che a trentun anni abbandona i campi da gioco senza riuscire a coronare il suo sogno: partecipare al mondiale 1990 in Italia. È un buon attaccante, ma la fortuna non lo assiste. Non è bello, non piace alle ragazze; si è innamorato una sola volta e poi è finita. Qualche gol l’ha fatto, ma può vantare una sola, epica impresa, durante una partita allo stadio del Centenario. Un romanzo ironico e struggente con un antieroe dall’inconsapevole carica etica al centro”.
Calùra di Saverio Gangemi (1987, Melicucco – Reggio Calabria) “non ha nomi di luoghi né cronologie. I segni sono pochi. Il paesaggio è una terra arida: le acque della fiumara stentano a dissetare le creature; tra i sassi sopravvivono serpenti e lucertole. Solo un albero resiste, opponendo il mistero della sua enormità al giungere inatteso e incomprensibile della calura. La natura muore prima degli uomini, e gli uomini resistono disperatamente. Questo suggestivo romanzo non è una distopia, è l’attesa di una fine cosmicamente ineluttabile. Un testo metafisico in veste di narrazione”.
Nel nome tuo di Maria La Tela (1973, Napoli) “si svolge tra anni venti e secondo dopoguerra in un paese della provincia campana. La protagonista, Teresa, è a suo modo una ribelle: infelice, si risarcisce riversando sugli altri un sottile e consapevole sadismo. Non accetta i ruoli predestinati di donna e futura madre. La vediamo agire torbidamente in famiglia, in convento e poi di nuovo in famiglia. Un avvincente feuilleton moderno dove tutto è azione e gesti significativi, con al centro un’originale figura femminile inconciliata. Con un ambiguo riscatto finale”.
Guance bianche e rosse. Elda è salita alle malghe di Elisa Menon (1981, Gorizia) “si inserisce nel drammatico episodio partigiano dell’eccidio di Porzûs. Il 7 febbraio 1945 un drappello di garibaldini raggiunse le Malghe, base di un comando della brigata autonoma Osoppo. Dopo un sommario atto di accusa al gruppo di connivenza coi fascisti, si giustiziarono il comandante, il delegato politico e Elda Turchetti, indicata da Radio Londra come spia dei nazisti. E proprio di lei, figura di donna cancellata, ci parla il serrato romanzo, ricostruendo i passi che la portarono a salire in montagna”.
La follia dei gigli di Maria Sofia Mormile (1993, Roma; vive a Parigi) “ci porta a Versailles, nella primavera del 1774. Il re Luigi XV muore di vaiolo e a succedergli, anziché Luigi XVI, come vorrebbe la Storia, è il fratello minore Charles. I mesi che seguiranno sono narrati dal punto di vista di quattro giovani principi del sangue, eroi capricciosi e moderni. A farci intuire l’inevitabile futuro schianto rivoluzionario è la minuziosa descrizione della bolla in cui vivono i protagonisti: la loro unica realtà è la corte. Un’inedita, ardimentosa variante di romanzo storico”.
La cecilia di Michela Panichi (2000, Napoli) “ci immerge nell’età ingrata. In un’estate ischitana la protagonista tredicenne entrerà in un gruppo di coetanei che la scambiano, con il suo corpo ancora acerbo, per un maschio e il suo sguardo si aprirà all’oscurità del sesso e all’ipocrisia delle convenzioni. Resterà in lei un sapore asprigno, nella consapevolezza che il suo nome, Cecilia, collima con quello di un verme anfibio del Sudamerica, insieme maschio e femmina. La natura appare più aperta del mondo umano. Un delicato approccio al tema dell’identità di genere”.
Diaboli Virtus di Diego Pellizzari (1983, Rieti; vive a Lione) “è un’acuta rivisitazione moderna del tema della possessione demoniaca, ottenuta innestando nella storia del protagonista il film horror L’esorcista. Andrea, giovane italianista a Grenoble, vive una vita che parrebbe appagante, tra le soddisfazioni lavorative all’università, la stabile relazione con Alexandre, il forte legame con l’amica psicologa Veronica. Ma una faticosa accettazione della propria omosessualità e un irrisolto rapporto con i genitori producono mostri. Una narrazione brillante e sorprendente”.
Biografia del vuoto di Filippo Rosso (1980, Roma; vive a Berlino), “ibridando narrativa e saggistica, si inoltra con sguardo cosmopolita nel processo di ideazione dell’arte concettuale. Un’artista-narratrice racconta il lavoro che dà origine a una serie di installazioni (di land e body art, soprattutto), associandolo a personaggi che, con le loro vicende, incarnano e vivificano le questioni poste dalle opere. Un testo impervio, ma catturante, che coinvolge il lettore/spettatore costringendolo a non voltare la testa di fronte alla sofferenza, alla violenza, alla perdita del sé”.
Macaco di Simone Torino (1979, Pont-Saint-Martin – Aosta) “mette in campo la vita ai margini di un personaggio che rifiuta orgogliosamente i tanti superflui comfort moderni. Una storia, quella di Macaco, operaio agricolo per scelta, fatta di gesti legati al lavoro, di quotidianità, di relazioni amicali nella defilata atmosfera della Val d’Aosta, tra il solito bar, un ristorante e la palestra. Una lingua di grande efficacia, che segmenta azioni e pensieri in veri e propri colpi di zappa, trascina immediatamente il lettore nell’universo logico e sentimentale del protagonista”.
La menzione speciale del Direttivo
Patrilineare di Enrico Fink (1969, Firenze) “con toni che oscillano tra l’intensità della memoria e la commedia sviluppa la presa di coscienza della propria ebraicità, da parte del flautista Elias. Davanti ai nostri occhi si srotolano le storie delle famiglie Fink e Bassani tra Gorizia, Ferrara e Firenze. Al termine, Elias decide di raccogliere il testimone e, attraverso un’avventurosa circoncisione e un bizzarro Bar Mitsvah in discoteca, di diventare ebreo e cantore, in una versione contemporanea di quello che era stato il bisnonno paterno ucraino”.
La storia del Premio Italo Calvino
Il Premio Italo Calvino è stato fondato a Torino nel 1985, poco dopo la morte di Italo Calvino, per iniziativa di un gruppo di estimatori e di amici dello scrittore, tra cui Norberto Bobbio, Cesare Cases, Anna Chiarloni, Natalia Ginzburg, Massimo Mila, Lalla Romano, Cesare Segre. “Calvino, com’è noto, ha svolto un intenso e significativo lavoro editoriale per l’Einaudi; l’intenzione è stata, quindi, quella di riprenderne e raccoglierne il ruolo di talent scout di nuovi autori: di qui, l’idea di rivolgersi agli scrittori esordienti e inediti, per i quali non è facile trovare un contatto con il pubblico e con le case editrici. Il Premio ha impostato la propria attività seguendo gli stessi criteri che hanno guidato Calvino: attenzione ed equilibrio, gusto della scoperta e funzione critica. Ideatrice del Premio e sua animatrice e presidente fino al 2010 è stata Delia Frigessi, studiosa della cultura italiana tra Ottocento e Novecento. Attuale presidente è Mario Marchetti”.
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I vincitori e le Giurie delle passate edizioni
Le Giurie del Premio, ogni anno diverse, sono sempre state costituite da critici letterari, storici della letteratura, scrittori e operatori culturali tra i più rappresentativi della scena culturale italiana dagli anni Settanta a oggi: Natalia Ginzburg, Cesare Segre, Ginevra Bompiani, Vincenzo Consolo, Edoardo Sanguineti, Ernesto Ferrero, Gianluigi Beccaria, Dacia Maraini, Angelo Guglielmi, Marino Sinibaldi, Michele Mari, Tiziano Scarpa, Nicola Lagioia, Carlo Lucarelli, Antonio Scurati, Valeria Parrella, Michela Murgia, Mario Desiati, Marco Missiroli, Luca Doninelli, Teresa Ciabatti, Vanni Santoni, Davide Orecchio, Giuseppe Lupo, Sandra Petrignani, Omar Di Monopoli, Gino Ruozzi, Helena Janeczek, Nadia Terranova, Alessio Torino, Valeria Della Valle, solo per citarne alcuni.
Il Premio Calvino può ormai contare un notevole numero di autori e autrici che hanno iniziato il loro percorso editoriale proprio partendo dalla partecipazione al concorso. Tra gli altri: Marcello Fois, Francesco Piccolo, Paola Mastrocola, Fulvio Ervas, Flavio Soriga, Peppe Fiore, Errico Buonanno, Paolo Di Paolo, Rossella Milone, Giusi Marchetta, Mariapia Veladiano, Simona Baldelli, Francesco Maino, Domenico Dara, Veronica Galletta.
Tra gli ultimi vincitori pubblicati: Pier Franco Brandimarte (L’Amalassunta, Giunti), Valerio Callieri (Teorema dell’incompletezza, Feltrinelli), Elisabetta Pierini (La casa capovolta, Hacca), Cesare Sinatti (La Splendente, Feltrinelli), Emanuela Canepa (L’animale femmina, Einaudi Stile Libero), Filippo Tapparelli (L’inverno di Giona, Mondadori), Gennaro Serio (Notturno di Gibilterra, L’orma), Maddalena Fingerle (Lingua madre, Italo Svevo), Francesca Valente (Altro nulla da segnalare, Einaudi), Nicolò Moscatelli (I calcagnanti, La nave di Teseo), Jacopo Iannuzzi (White People Rape Dogs, Einaudi Stile Libero).
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