“La definirei un’esperienza antropologica, più che editoriale, fatta di tanti incontri. Un microcosmo dello spirito e di gioia del fare. D’altronde l’oggetto finale è un foglio di carta, ma quello che ci sta dietro è molto forte. È uno scambio e una creazione condivisi…”. ilLibraio.it ha incontrato Alberto Casiraghy, che ha fatto della propria abitazione nella lecchese Osnago una delle realtà editoriali più originali e apprezzate in Italia e non solo: Pulcinoelefante. L’editore pubblica le proprie opere (piccole plaquettes formate da un breve testo accompagnato da incisioni o disegni) usando la stampa a mano con caratteri mobili (e una carta pregiata). Tra i tanti autori nel catalogo, grandi poeti come Allen Ginsberg e Alda Merini… – L’intervista

Un po’ casa uscita da un racconto dei fratelli Grimm, un po’ factory alla Andy Warhol, ma soprattutto un «microcosmo dello spirito», “casa” prima ancora che editrice. È questa la sede delle Edizioni Pulcinoelefante, fondata nel 1982 nella lecchese Osnago da Alberto Casiraghy, classe 1952, che ha fatto della propria abitazione una delle realtà editoriali più originali e apprezzate in Italia e oltre confine. E non è un caso che poche settimane fa il pluripremiato regista Silvio Soldini vi abbia fatto capolino per girare un documentario proprio su Casiraghy e la sua avventura.

Pulcinoelefante1Alberto Casiraghy

Più di 9500 titoli con nomi che vanno da Allen Ginsberg a Bruno Munari, da Alda Merini a Maurizio Cattelan, da Sebastiano Vassalli a Fernanda Pivano. Tutti accumunati dalla passione per gli aforismi.

“Scrivo aforismi perché / amo gli abissi di poche parole” così si definisce Casiraghy, ex liutaio, amante del violino, dei disegni e della poesia che per anni ha lavorato in tipografia e poi ha deciso di dare vita, basandosi per il nome e il logo su un schizzo di quando era bambino, alla Pulcinoelefante.

Pulcinoelefante

Un luogo di scambio e incontro prima ancora che di produzione letteraria. Perché la sua casa ogni giorno ospita almeno due persone che vi si recano per creare qualche nuovo libretto. «Chi non conosce la tipografia a volte inventa qualcosa di più originale di chi la conosce e questa è una buona cosa» ci dice l’artista-editore quando lo andiamo a trovare. E mentre lo intervistiamo lui segue Claudio e Simone di un’associazione culturale di Rovello Porro che come premio al proprio concorso nazionale di aforismi ha proprio una stampa con la Pulcinoelefante.

Pulcinoelefante2

Mentre al pianterreno della casa a fare da padrona è la poderosa macchina per la stampa, le pareti traboccano di foto, quadri, post-it e appunti dei personaggi più disparati: Alda Merini trova spazio accanto alla cantante Bjork e a Raffaello, Carmelo Bene troneggia in una foto insieme ad alcuni versi di Novalis, “Nulla è per lo spirito più raggiungibile dell’infinito”: «parole che gli si addicono molto» commenta Casiraghy.

Al primo piano invece, dopo una collezione di maschere africane, raggiungiamo l’archivio di oltre novemila pezzi: fogli stampati su carta pregiata e a caratteri mobili corredati da illustrazioni, immagini e poche ma dense parole. E non c’è da preoccuparsi: l’archivio è custodito nella camera da letto da Igor, un sornione gatto color antracite che sembra ormai non fare più caso ai visitatori.

L’idea di dare vita a tutto questo da dove è nata?
“È nata dall’amore per la poesia. Allora ho cominciato a stampare le mie poesie, poi quelle di amiche e amici. Il salto di qualità, anche in termini di numeri e di notorietà, è stato l’incontro con Alda Merini”.

Come è avvenuto questo incontro?
“È stato abbastanza casuale perché ho visto un suo aforisma, mi piaceva e le ho chiesto se potevo stamparlo. Lei ha accettato e siamo diventati molto amici in breve tempo. Poi attraverso di lei ho conosciuto Vanni Scheiwiller, vero maestro dei maestri. E proprio lui in seguito ha pubblicato il catalogo dei miei libri: un editore che pubblica il catalogo di un altro editore. In più mi ha dedicato una bellissima prefazione. Sono degli splendidi ricordi. Da qui è scaturita un’avventura infinita: 9500 libri non sono pochi”.


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Di certo non lo sono. E corrispondono all’incontro con altrettanti autori.
“Tra questi libri ce ne sono alcuni di personalità che non si assocerebbero all’arte dell’aforisma. Ad esempio due titoli sono di Maurizio Cattelan: chi penserebbe che è venuto e ha dormito qui da me quando era ragazzo? Oppure Bruno Munari o un amico carissimo, che ci ha lasciato da poco, Sebastiano Vassalli. Con lui abbiamo realizzato diversi titoli. Lui veniva qui e, come i ragazzi che ci sono oggi, creavamo questi piccoli volumi. Uno degli ultimi è stato ‘Si va per quella e questo / si va per chissà che / si va senza perché / si va’. O ancora Vivian Lamarque, Fernanda Pivano. Ci sono anche tre titoli di Allen Ginsberg dettati direttamente da lui”.


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Il padre nobile del movimento beat?
“Sì, l’ho incontrato tramite un amico. Gli ho regalato alcuni miei libretti e ho visto che gli piacevano. Allora mi ha dettato una cosa e l’abbiamo stampata, accompagnandola con una sua foto inedita scattata da un suo amico fotografo”.

L’abbinamento tra aforisma e illustrazione come avviene?
“Si decide al momento. Non c’è un limite. Non è detto che si opti solo per il grande artista. Magari si ha un amico o un parente che ha fatto una bella foto o un acquarello evocativo e l’abbinamento è fatto. Altrimenti sarebbe un po’ patetico e autoreferenziale”.

Questo luogo è diventato qualcosa di più di una casa editrice…
“La definirei un’esperienza antropologica, più che editoriale, fatta di tanti incontri. Un microcosmo dello spirito e di gioia del fare. D’altronde l’oggetto finale è un foglio di carta, ma quello che ci sta dietro è molto forte. È uno scambio e una creazione condivisi”.


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Ed è sancito dai caratteri mobili che si toccano con mano.
“Eh sì. È un’esperienza che arricchisce molto, sia me che le persone che vengono qui e non solo.Vado spesso nel carcere di San Vittore e stampo con i detenuti le loro poesie. Sono stato in America e ho esposto di recente a Berlino in una location davvero unica. A volte penso: stampo sul tavolo della cucina e poi mi chiamano a Berlino. È incredibile. Però vado solo dove c’è gente simpatica”.

L’unica conditio sine qua non?
“Sembra una battuta, ma in realtà serve un bel calore. Essendo questi libri degli oggetti piccoli, di poesia, espressione della gioia del fare e del condividere, se c’è una bella atmosfera si riescono a gustare di più”.

E qual è l’aforisma a cui è più legato?
“Ce ne sono tanti, è difficile sceglierne uno. Quelli di Alda Merini mi piacciono tantissimo. E pensare che lei gli aforismi ha iniziato a scriverli con me”.

È stato lei a spronarla?
“Beh, prima scriveva solo poesie. E siccome la composizione è un po’ lunga da fare, io le dissi: “Alda, mi detti qualcosa di più breve”. All’inizio non sembrava convinta e poi invece ha scritto aforismi meravigliosi, dei capolavori. È come se ne avesse avuto bisogno. Di questi libretti di carta ne facevo uno a settimana per lei. Poi ha riscontrato che piacevano anche agli altri e allora li dava al farmacista al posto dei soldi per le medicine o al panettiere in cambio del pane”.

Quali sono i suoi preferiti di Alda Merini?
“Ce ne sono molti, ad esempio: “A volte Dio uccide gli amanti perché non vuole essere superato in amore”; “Sono piena di bugie ma Dio mi costringe a dire la verità”. O ancora: “Ci sono notti che non accadono mai”, quelle notti che sembra non finiscano, che pensi all’universo e l’universo abita in te. Oppure: “Non sempre si riesce ad essere eterni”. E quanto è vero: l’eternità non è per tutti”.

In tal caso è l’uso della parola che condensa verità, queste sì, eterne. Altri autori?
“Adoro Oscar Wilde e in particolare: ‘Chi dice la verità prima o poi viene scoperto’. La trovo fantastica”.

Ci sono degli aforismi che le chiedono di stampare più di frequente?
“Sì, ad esempio per i momenti difficili mi è capitato di stampare spesso Sant’Agostino: “I morti non sono morti. Sono solo invisibili”. E l’ho stampato solo impresso, senza inchiostro, per rendere concretamente, anche attraverso il foglio di carta, il concetto dell’invisibile”.

E non è mancato persino un aforisma su Expo.
Do eatyour self! con self scritto al contrario e l’immagine di una forchetta. È opera di un amico”.


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Riguardo alla carta utilizzata, si affida anche lei a quella tedesca come il suo collega Vincenzo Campo, fondatore delle Edizioni Henry Beyle (qui potete leggere l’intervista per ilLibraio.it)?
“Non esclusivamente. Uso una delle più belle carte in commercio. Siccome l’oggetto è piccolo, il libricino è fatto di pochi fogli per cui cerco di sostenerlo con una bella carta. Il carattere che abbiamo composto va bloccato molto bene sennò si sposta. Il carattere mobile deve diventare immobile. Nascono così le cose”.

E grazie a questa macchina tipografica…
“Già, ha circa 65 anni. È stata un’impresa portarla in casa. Ho dovuto abbattere le porte perché non ci entrava. Mia madre era disperata. Non è solo grossa, è che non si può smontare, è un blocco volutamente unico”.

Rispetto ai caratteri mobili, leggevo in un’intervista che lei non vuole che venga interpretata come una scelta “passatista”. Alla fine per organizzare questa intervista ci siamo sentiti tramite Facebook.
“Infatti. Io apprezzo le nuove tecnologie. Se pensiamo agli sms, il mondo degli aforismi è perfetto per gli sms. Ho fatto dei libri con 70 aforismi inviati la sera prima di dormire, me li sono segnati e li ho mandati a un editore e abbiamo stampato un libro. Il cellulare è un mezzo meraviglioso”.

Dal punto di vista economico, come si fa a definire un prezzo per questi libri?
“Non c’è un prezzo. Io non mi faccio pagare per farli. Si fa un po’ per uno per le copie. È una scelta di poesia. Non ho nessuno da mantenere, la casa è mia per cui non ho necessità particolari. Se lei viene un giorno succede letteralmente di tutto e tutto è bello. Qualcuno viene, ci si conosce, si fa una bella chiacchierata e nascono idee e libri. È come una alchimia”.

Ancora una volta, qualcosa che va oltre la pura esperienza editoriale.
“È un po’ quello che accadeva con la Factory di Andy Wharol sebbene su scala più piccola e senza il lato economico. Qui il prezzo è un gioco. Se arriva una ragazzina le chiedo due euro e magari solo la carta è costata di più. Magari a un’altra persona chiedo di più, ma dipende. Va ricordato che nel mio caso non c’è distribuzione. Si realizzano 30 copie, 15 a me e 15 alla persona che vuole il libro. Una la tengo in archivio, una la do a un amico. Sono talmente poche che non puoi distribuirle. Ma la gioia del fare non ha prezzo”.

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