Dopo l’intervento di Maurizio Donati, editor di Chiarelettere, dal titolo “Che fine ha fatto la saggistica di attualità?”, IlLibraio.it ospita la riflessione del responsabile della Non Fiction Rizzoli Ottavio Di Brizzi, che in tempi di crisi delle vendite e “varizzazione” della saggistica prova a immaginare il futuro “ibrido” del settore…


“La grande abbuffata della saggistica di attualità è finita e anche gli editori più blasonati hanno tirato il freno a mano…”.
Nelle scorse settimane, su IlLibraio.it, in un intervento dal titolo “Che fine ha fatto la saggistica di attualità?”, Maurizio Donati, editor di Chiarelettere, ha proposto una serie di riflessioni (dall’interno) sulle cause della crisi dei libri-inchiesta dopo il “boom” degli anni scorsi.

Ora su IlLibraio.it il dibattito prosegue con l’intervento del responsabile della saggistica Rizzoli Ottavio Di Brizzi, che prima si concentra sul contesto di mercato e sulla situazione per la sua casa editrice, e poi allarga il discorso al momento che vive il settore della saggistica in generale, e infine si sofferma sulle prospettive future.

di Ottavio Di Brizzi

Veniamo da due anni abbastanza positivi per la saggistica Rizzoli, in controtendenza rispetto a un mercato difficilissimo (cresciamo in quota quando tutti gli indicatori sono negativi), con un fatturato che rappresenta oltre un quarto di quello della casa editrice. Quattro titoli tra i primi dieci più venduti nel 2014, successi come quelli di Alan Friedman (Ammazziamo il Gattopardo), di Beppe Severgnini (La vita è un viaggio), di Lilli Gruber (Tempesta), di Giampaolo Pansa (costante il gradimento della sua Controstoria d’Italia, uscito da pochi giorni La destra siamo noi) hanno reso meno critica una situazione che non dispensa molti sorrisi.

La destra siamo noi

Non c’è neanche troppo da sperare che la situazione cambi a breve: operiamo in uno scenario di mercato che restringe il perimetro (-2,3% a valore sul totale – e l’anno prima era stato -4,3-, più deciso il calo in copie), con il settore della saggistica che riduce leggermente l’offerta complessiva in funzione di una domanda sensibilmente indebolita. La recessione, la tensione sui consumi privati, le scelte che le famiglie sono state costrette a fare nell’ultimo periodo non potevano non avere un impatto sull’industria della lettura; la competizione orizzontale sempre più feroce con altri beni di consumo culturale (soprattutto in un mercato unico digitale, il tempo è la vera risorsa scarsa nell’economia dell’attenzione) non aiuta, sebbene anche i comparti musica, home video, giochi non se la passino meglio. Tra i fattori non irrilevanti per la visibilità della proposta di saggistica sia di qualità che popolare va tenuto conto della quota decrescente del comparto libri nella grande distribuzione, ma soprattutto dell’alta concentrazione in catene con le librerie indipendenti sempre più in sofferenza. È abbastanza ragionevole pensare che uno scenario di questo tipo comporti una più decisa riduzione del rischio da parte delle grandi case editrici, con una maggiore selezione della proposta, una focalizzazione su firme di successo, autori riconoscibili o con accesso ai salotti tv. Il fenomeno non riguarda solo i produttori di contenuti, ma anche il pubblico dei lettori, che seleziona di più, tende a privilegiare “marchi” (leggasi anche autori) riconoscibili, autorevoli, popolari.

La divaricazione tra Fiction e Non Fiction si è allargata: solo due anni fa i titoli di saggistica erano il 27,5% del totale (quasi 18.500 novità), nel 2014 rappresentano il 24%, circa 15.000. Le classifiche dell’ultimo anno sono eloquenti: il titolo più venduto di saggistica (considererei Braccialetti rossi caso a parte), Ammazziamo il Gattopardo di Alan Friedman, è trentaduesimo nella generale. Nei primi 40 titoli più venduti solo 4 sono di saggistica propriamente detta. Bisogna considerare che, a parte la specialistica e la manualistica, una fetta importante della Non Fiction è infatti di Varia, ovvero titoli di personaggi di importazione televisiva, protagonisti dello sport o del costume. A differenza della narrativa, però, la saggistica è meno polarizzata, anche perché non è facile produrre bestseller da centinaia di migliaia di copie, come avviene per romanzi di successo e fenomeni di moda cinematografica o letteraria.

Rizzoli interpreta da molti anni una tradizione di divulgazione alta, caratterizzata da una saggistica di qualità, popolare nel senso migliore del termine, presente nel dibattito politico e nell’agenda giornalistica. Nel piano editoriale cerchiamo di dosare un buon numero di grandi firme (oltre ai già citati, solo negli ultimi mesi sono stati bestseller Mieli, Mentana, Ferrara, Socci, Andreoli, De Masi e altri), con una proposta articolata nelle quattro o cinque aree tematiche in cui ci muoviamo.

Una certa rilevanza ha il current affair e l’analisi politica: non solo il fenomeno Friedman, ma anche il recente Maurizio Molinari su Isis (Il califfato del terrore) o l’ultimo Naomi Klein sulla (in)sostenibilità del sistema (Una rivoluzione ci salverà), mentre tra pochi giorni arriveranno in libreria il nuovo libro di Raffaele Cantone sulla corruzione in Italia (con Gianluca Di Feo, Il male italiano) o un’analisi di Marco Damilano sulla politica italiana degli ultimi decenni (La repubblica del selfie).

Una rivoluzione ci salverà

Sebbene il saggio politico abbia un bacino di lettori sempre più magro e selettivo, accanto ad autori riconosciuti abbiamo cercato anche di garantire una buona presenza di titoli di matrice giornalistica, con firme “giovani” (penso a Claudio Cerasa, a Stefano Feltri, Andrea Scanzi)

Un tasto dolente è quello della saggistica straniera, in sofferenza in questa fase di mercato, essendo sempre più difficile proporre saggi di scenario, di geopolitica, o quella tipologia di libri di respiro e con idee forti che gli anglosassoni classificano come big think. Rimane l’ambizione di presidiare quell’area con un numero ridotto ma significativo di proposte: tra gli esempi possibili a breve pubblicheremo l’ultimo, durissimo libro di Ayaan Hirsi Ali sul mondo dell’Islam radicale (Eretica) o un saggio agile e provocatorio del ministro greco Varoufakis, in forma di lettera sull’economia a sua figlia.

Sebbene ridotto rispetto al passato il numero dei titoli di storia è in leggera crescita nell’ultimo biennio, con risultati notevoli nei casi di Mieli (I conti con la storia), Luciano Canfora, Antony Beevor o Timothy Snyder (dopo Terre di sangue, pubblicheremo in autunno il nuovo lavoro). Così come è atteso il nuovo libro di Aldo Cazzullo (Possa il mio sangue servire), il primo con noi, in cui attraverso vicende familiari e storie poco note racconterà le varie forme di Resistenza che hanno fatto dell’Italia un Paese libero. La storia registra risultati notevoli anche nell’accezione più popolare e divulgativa di Alberto Angela (I tre giorni di Pompei tra i più venduti dell’anno).

I tre giorni di Pompei

Continuiamo a proporre con un certo esito di mercato anche testi di divulgazione scientifica (Odifreddi, Boncinelli, in uscita un libro di Giacomo Rizzolatti in dialogo con Antonio Gnoli), filosofia (Severino) e psicologia (Andreoli). Tra i pochi settori in crescita in saggistica negli ultimi anni quello della religione e della spiritualità: titoli di successo quelli di Papa Francesco, di Hans Kung, la biografia di Savorana su Don Giussani o la serie di bestseller di Antonio Socci.

Quanto alla crisi della saggistica d’attualità ho letto l’intervento di Maurizio Donati (editor di Chiarelettere, ndr) e condivido le sue considerazioni. Un filone di matrice giornalistica, di denuncia e d’intervento, anche molto legato a una particolare stagione politica del paese, è in una fase di stanca. Credo sia dovuto anche una certa saturazione di mercato: dopo anni di collane e decine di proposte della stessa natura si registra una certo logorio per la formula.  Comunque sia la saggistica di matrice accademica o di alta divulgazione soffre più di quella giornalistica, del current affair e del pamphlet. Negli ultimi quattro-cinque anni si è ridotta forse di quasi un terzo la domanda, dunque anche l’offerta. Continuiamo a pensare che una quota del piano editoriale debba svolgere una funzione di progettazione sul medio periodo, sperimentare su nuovi autori o proporre titoli ad assorbimento lento, ma con possibile vita da catalogo. Abbiamo ad esempio varato una collana a cura di Paolo Mieli, i Sestanti (aperta da Il manoscritto di Greenblatt, ultimo titolo sul Grand Tour in Italia, di Cesare De Seta) per titoli dal conto economico non facile, spesso in traduzione, ma con autori e proposte importanti in termini qualitativi, che potranno magari avere una seconda stagione in edizione economica.

Negli ultimi anni abbiamo proposto un numero più alto di storie vere, di memoir o autobiografie, da Ermanno Olmi (L’apocalisse è un lieto fine) a Gigi Proietti (Tutto sommato), o testimonianze, come il  racconto della vita di Liliana Segre, in dialogo con Enrico Mentana (La memoria rende liberi) o la vicenda di Sammy Basso, il ragazzo malato di progerie in lotta con il tempo, in uscita a breve. Questo fenomeno merita forse un inciso (in forma di conclusione).

Qualche tempo fa si parlava di “varizzazione” della saggistica. In effetti molte proposte di successo si muovono ormai su una frontiera ibrida, difficile da classificare con le etichette di un tempo (taggare, si direbbe oggi). Molte scritture di confine, un giornalismo dal registro narrativo, una saggistica ad alto tasso di leggibilità. Molte competenze passano ormai attraverso la testimonianza, alla ricerca dell’evento e dell’esperienza (non lontano deve situarsi il paese dei festival pieni e delle librerie vuote). Difficile dire se ci sia contiguità tra le performances narcisistiche dei social (o le forme diariali dei blog) con questo genere ibrido. Probabilmente il genere (auto)biografico arriva quando le comunità si indeboliscono e sentono di aver perso una sorta di lingua comune, un storia collettiva che faccia da collante, un tessuto connettivo. Talvolta la vicenda del successo (o del fallimento) individuale mette in causa la questione della perdita dei vincoli comunitari: l’autobiografia arriva quando la comunità fallisce, e si scrive per ricomporla. A differenza di quello anglosassone il nostro mercato non è particolarmente accogliente per la memorialistica, ma in effetti da alcuni anni si assiste a un doppio movimento: una certa forma di realismo interessa la produzione di fiction -dai romanzi di mafia e di camorra in giù-, mentre la saggistica è sempre più orientata verso un registro narrativo (lo stesso giornalismo d’inchiesta è in molti casi di successo profondamente venato di finzione).

Mentre in narrativa dopo la moda dell’autofiction sembra si passi a una sorta di exofiction, l’effetto di realtà in saggistica moltiplica le confessioni, i memoriali, il diario aperto che non occulta il punto di vista o l’implicazione emotiva. L’ancoraggio ai fatti della vita rafforza la magia del piacere dell’inganno; nel romanzesco le cose raccontate sono vere proprio perché non appaiono verosimili. Probabilmente è il regime di attualità permanente e di permeabilità tra vero e falso del contesto mediatico in cui siamo immersi a facilitare e accreditare la tentazione dell’autenticità: il racconto della vita vera diventa un modo per pensare storicamente. E la saggistica tra forme mutevoli, registri ibridi e scritture di frontiera può interpretare anche questa stagione. Si spera.

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