“Afterparties” è l’opera d’esordio di Anthony Veasna So, uscita postuma, dopo la prematura scomparsa dell’autore (a 28 anni), e diventata un caso editoriale negli Stati Uniti. Nove racconti con cui l’autore scandaglia delusioni, paure, desideri e nevrosi degli americani di origine cambogiana di seconda generazione…

Edito da Racconti edizioni, Afterparties (traduzione di Emanuele Giammarco) è il libro d’esordio, pubblicato postumo, di Anthony Veasna So, americano di origini cambogiane, morto nel dicembre 2020 all’età di 28 anni per un’overdose accidentale, quando mancavano pochi mesi alla prima edizione americana.

A stimolare il successo e il clamore intorno a questa raccolta di racconti, prima e più del destino dell’autore, è il vigore di una scrittura letteraria e iperrealista al tempo stesso, magmatica nella forma, spesso violenta e plastica nelle immagini evocate, che non può che ricordare un capolavoro della short-story americana contemporanea come Trilobiti di Breece D’J Pancake (minimum fax, traduzione di Cristiana Mennella).

Afterparties Anthony Veasna So

L’umanità messa in scena da So trascina dentro la psicologia di americani di seconda generazione che affrontano il trauma ereditato dai genitori, emigrati dalla Cambogia dopo l’instaurazione del regime comunista.

L’ambientazione è quella della Central Valley californiana, la “valle di polvere e polline e smog californiano”, che offre ai padri immigrati scarse possibilità per un tenore di vita dignitoso: riparare auto, vendere ciambelle, aspirare ai sussidi dello stato, oppure provare a concretizzare le grandi ambizioni del sogno americano.

La penombra delle grandi strade, l’odore di pesce proveniente dalle finestre, le difficoltà dell’integrazione e il concerto di suggestioni crude e realistiche contribuiscono a creare un perturbante effetto di stridore fra il presente americano e il patrimonio storico dei personaggi.

La dimensione autobiografica permea dunque ambienti e figure, ed è lo stesso retroterra culturale dell’autore, esplorato all’interno di intrecci e situazioni aderenti alla contemporaneità americana, a figurare come filo rosso dei nove racconti.

In particolare, il portato del senso di appartenenza etnico e culturale, o meglio, della ricerca, del tentativo asintotico di comprensione di tale appartenenza alla cultura khmer, informa l’intera poetica di So. Il lettore viene messo davanti a questa disforia culturale fin dal racconto di apertura, Le tre donne del Chuck’s Donuts, in cui due giovani sorelle cercano di elaborare reminiscenze del padre che le ha abbandonate osservando un uomo coi tipici tratti cambogiani, dato che “la khmer-ità poteva manifestarsi in ogni cosa, dal colore delle cuticole al modo strano in cui ti formicolava il sedere quando stavi seduto troppo a lungo”.

Quella khmer viene dipinta come una cultura psicologicamente invasiva, che impregna la vita e la percezione della realtà circostante dei personaggi divenendo una presenza ectoplasmatica, un basso continuo, rassicurante ma allo stesso tempo asfissiante e difficile da definire: il bisogno di approvazione da parte dei padri e il senso di ostinata fedeltà e insieme di insofferenza verso la dimensione familiare, il desiderio di un’ascesa sociale ed economica come riscatto della propria estraneità etnica, il bisogno di espiare il dilaniante senso di colpa dei sopravvissuti alla tragedia del genocidio sono tutti elementi che si mescolano in un calderone di contraddizioni di chi non si sente né americano né cambogiano, di un’umanità che si auto-censura nelle proprie aspirazioni e insegue una medietà a cui è, o almeno si sente, condannata.

Ci si trova davanti a una continua ricerca di faticosi equilibri fra elementi della vita quotidiana e le forze, centrifughe rispetto ai primi, della storia familiare e collettiva di ogni cambogiano.

Da un lato le origini dei giovani protagonisti, diatopiche e diacroniche, legate al dramma del genocidio cambogiano e quindi intrise di sangue e dolore, in parte sconosciute eppure così ossessivamente presenti e determinanti; dall’altro il tentativo disperato di costruzione e scoperta di una propria individualità autonoma all’interno di un presente e di un contesto sociale del tutto differente.

Questa congerie di stimoli porta i vari personaggi a un’implosione improvvisa o a una rassegnazione frustrata (o a entrambe) verso il proprio destino: c’è chi, come Superking Son (protagonista del racconto Segna ancora Superking Son), si trincera nel ricordo di quando era considerato una giovane promessa del badminton per sfuggire alle responsabilità di una vita adulta, viziata dalle difficoltà economiche e dal senso di frustrazione; e chi invece, come i due protagonisti del testo che dà il titolo alla raccolta, è ossessionato dal senso di rivalsa sociale ed economica all’interno dello stesso contesto familiare ed è disposto a fare di tutto per prendersi una bizzarra rivincita personale.

Afterparties non si limita tuttavia a mettere in scena un impietoso e a tratti satirico spaccato di vita dei cambogiani americani, ma scava fin dentro quest’umanità mediante alcuni temi ricorrenti: i costumi e le credenze buddhiste, in particolar modo la reincarnazione, la scoperta della sessualità, il tema dell’omosessualità (anch’esso autobiografico e che ha reso So celebre all’interno della comunità LGBTQ+ statunitense), il senso di disorientamento rispetto al posto da occupare nel mondo e il legame oppressivo con i familiari.

Tali temi fungono da equazioni e ingredienti primari dei racconti e si intersecano di volta in volta fra loro, declinandosi in varie forme e risultati: come avviene, ad esempio, ne I monaci, in cui il protagonista cerca di dare una fittizia continuità alla vita del padre facendosi anche lui monaco buddhista, pur senza alcuna vocazione; o, ancora, nel caso di Somaly Serely, Serely Somaly, in cui un’infermiera rimane invischiata nel passato della propria famiglia a causa di un destino beffardo e del senso di colpa che prova per essere la reincarnazione di una prozia.

Da una materia in apparenza di taglio meramente realistico e drammatico, l’autore riesce a creare un caleidoscopio di vicende e ritratti ora tragici ora comici, in cui, proprio per questo meltingpot ironico e spregiudicato di stile, temi e argomenti, la realtà della comunità cambogiana statunitense emerge in tutte le sue sfaccettature con una spiazzante efficacia psicologica e narrativa.

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