Ildefonso Falcones è tornato. A dieci anni dall’uscita de “La cattedrale del mare”, bestseller non solo in Italia, arriva in libreria l’atteso seguito, “Gli eredi della terra” – Su ilLibraio.it un capitolo

A dieci anni di distanza da La cattedrale del mare, bestseller anche in Italia, torna Ildefonso Falcones, con il seguito, Gli eredi della terra, sempre pubblicato da Longanesi.

Il nuovo romanzo di Falcones racconta la storia di un uomo che non si arrende davanti ai colpi del destino, sullo sfondo della Barcellona del XV secolo e della sua straordinaria cattedrale: Santa María del Mar.

Siamo nel 1387. Arnau Estanyol, dopo le mille traversie che hanno segnato la sua vita e la costruzione della grandiosa Cattedrale del Mare, è ormai uno dei più stimati notabili di Barcellona. Giunto in città ancora in fasce e stretto tra le braccia del padre, un misero bracciante, nessuno sa meglio di lui quanto Barcellona possa essere dura e ingiusta con gli umili. Tanto che oggi è amministratore del Piatto dei Poveri, un’istituzione benefica della Cattedrale del Mare che offre sostegno ai più bisognosi mediante le rendite di vigneti, palazzi, botteghe e tributi, ma anche grazie alle elemosine che lo stesso Arnau si incarica di raccogliere per le strade. Sembra però che la città pretenda da lui il sacrificio estremo. Ed è proprio dalla chiesa tanto cara ad Arnau a giungere il segnale d’allarme. Le campane di Santa Maria del Mar risuonano in tutto il quartiere della Ribera; rintocchi a lutto, che annunciano la morte di re Pietro… Ad ascoltare quei suoni con particolare attenzione c’è un ragazzino di soli dodici anni. Si chiama Hugo Llor, è figlio di un uomo che ha perso la vita in mare, e ha trovato lavoro nei cantieri navali grazie al generoso interessamento di Arnau. Ma i suoi sogni di diventare un maestro d’ascia e costruire le splendide navi che per ora guarda soltanto dalla spiaggia si infrangono contro una realtà spietata. Al seguito dell’erede di Pietro, Giovanni, tornano in città i Puig, storici nemici di Arnau: finalmente hanno l’occasione di mettere in atto una vendetta che covano da anni, tanto sanguinosa quanto ignobile… Da quel momento, la vita di Hugo oscillerà tra la lealtà a Bernat, l’unico figlio di Arnau, e la necessità di sopravvivere.

Su ilLibraio.it, per gentile concessione dell’editore, un capitolo:

Nei giorni seguenti Hugo lavorò agli ordini di Mahir. « Sai qualcosa sulle viti? » gli chiese questi. « E sugli alberi,
sull’orto, sulla terra? Perche´ ti hanno mandato da me, allora? » Hugo scrollò le spalle. Di sicuro avrebbe preferito stare con Jacob, il battitore d’asta, Mahir però gli aveva detto che al momento non aveva bisogno di lui.

« Il punto è se ne avrò io », si chiese alla fine Mahir. Era l’inizio di luglio. Si diressero a un’estremità della vigna, dove le piante avevano solo un anno.

« Il sole e il caldo di questo periodo sono molto dannosi per le viti giovani », gli spiegò Mahir prima di insegnargli a smuovere la terra ai piedi della pianta e a ricompattarla per bene, affinche´ il sole non filtrasse seccando le radici.

Lavorarono al sole fino allo sfinimento, per diversi giorni. Hugo crollava stremato dopo aver consumato il pasto quotidiano che Mahir gli offriva non appena rientrava al palmento.

« Chi sorvegliava tutti questi attrezzi prima che io venissi a dormire qui? » gli chiese.

ildefonso falcones

« Abbiamo guardiani che sorvegliano gli orti e i vigneti. » Dopo le vigne nuove passarono alle vecchie e diserbarono tutto il terreno, Mahir con una piccola zappa e Hugo a mano. L’ebreo sembrava non patire il caldo, la fatica e neanche la stanchezza, secco com’era, mentre Hugo non riusciva quasi a reggersi in piedi dal male tremendo alla schiena che gli venne a forza di lavorare chino.
Mahir non faceva caso alle sue lamentele. « Sei giovane », argomentava.
« Passerà. »
Hugo non si lamentò delle ferite che si era procurato, pensando che non ne valesse la pena, invece Mahir ne tenne conto: alcune piaghe che gli vide sulle mani mentre pranzavano all’ombra di un fico nei pressi del palmento avevano davvero un brutto aspetto.
« Siamo molto avanti… Nonostante la tua inesperienza. » Hugo alzò uno sguardo torvo dal formaggio che stava tagliando. Mahir sorrise. « Devo ammettere che hai lavorato sodo. Dopo mangiato andremo a trovare mio padre perche´ veda le tue mani. »
Sau´l non era in casa, ma c’erano Astruga e Dolca, che vivevano con lui da quando la prima era rimasta vedova. Mentre la serva cercava la moglie, Mahir accompagno` Hugo in una stanza dove c’erano una sedia, un tavolo e una branda; il resto della stanza era pieno di strumenti medici che il ragazzo non aveva mai visto, poi moltissimi libri e un’infinità di contenitori e flaconi. Hugo si stava sforzando di abituarsi agli odori indefinibili che si mescolavano, predominando gli uni sugli altri, e alla nausea che gli procuravano, quando entrarono Dolc¸a e l’altra apprendista levatrice, Regina. Hugo arrossì (…). Poi apparve Astruga.
« Vi lascio qui », disse Mahir a mo’ di commiato. Poi si rivolse a Hugo. « Ho la sensazione che per alcuni giorni non potrai lavorare… nelle vigne », gli disse prima di dargli una pacca sulla spalla. « Mia sorella ti curerà bene. »
Per qualche strana ragione, Hugo si sentì abbandonato, come se Mahir lo avesse lasciato in balia di persone prepotenti. « Eri tu il protetto di Arnau? » esordì Astruga, prendendogli le mani per esaminarle. Hugo stava per rispondere, ma la donna lo anticipò. « Era un brav’uomo. Ne´ tu ne´ io saremmo vivi se non ci fosse stato Arnau Estanyol », aggiunse, rivolgendosi poi alla figlia. « Portatelo al pozzo e lavategliele bene, in modo da
togliere tutta la terra che c’è nelle ferite. »
Varcarono una porta che dalla stanza conduceva nell’orto, e il profumo dei fiori, la frescura serale e la luce che giocava con mille colori finalmente placarono il suo spirito. Hugo mise le mani sulla bocca del pozzo e le ragazze gliele fregarono delicatamente con l’acqua del secchio.

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« È vero », disse Dolca.
« Cosa? » chiesero quasi all’unisono gli altri due.
« Che non potrai lavorare per qualche giorno. »
Hugo trovò il coraggio di guardarla. Sembrava provocarlo.
« Regina, va’ a chiedere a mia madre se vuole altro dal pozzo», disse lei, senza distogliere gli occhi da Hugo, le mani posate sui palmi di lui. « Ti prego », aggiunse, prevedendo le proteste dell’amica.
Restarono soli. Hugo voleva… be’, gli sarebbe piaciuto sapere perche´ gli avesse rivelato di quella fessura nel muro. Arrossì al ricordo della ragazza con le gambe aperte… E subito dopo ricordò la vergogna, quando Dolc¸a era uscita. Immaginò il giovane e piccolo seno di Dolc¸a che saliva e scendeva come…
« Eh! » gridò lei, e si scostò con violenza.
« Scusami, non volevo… » cercò di scusarsi.
« Scusami, non volevo… » ripete´ Dolc¸a beffarda. « Vizioso! E poi, hai forse dimenticato che sono ebrea? »
Hugo non sapeva cosa dire. Era vero: lui era cristiano e lei ebrea. Qualsiasi pensiero di tale natura era proibito. « Non abbiamo fatto… niente », balbettò. « Nessun sacerdote ne terrebbe conto », affermò senza troppa convinzione, lo sguardo fisso sulle proprie mani ferite.
« Ai tuoi sacerdoti poco importa che un cristiano giaccia con un’ebrea, perche´ la considerano una delle tante forme del potere che hanno su di noi. È l’opposto a preoccuparli, semmai: le vostre leggi infatti sono rigide nello stabilire che nel caso si sorprenda un ebreo a giacere con una cristiana, entrambi saranno mandati immediatamente al rogo », sentenzio` Dolc¸a. Hugo sospiro`.
«È la reazione della mia comunita`, quella che mi preoccupa. Credi forse che a loro piaccia che una donna ebrea stia con un cristiano? Se è una bambina, la sfigurano tagliandole il naso perche´ smetta di piacere al cristiano che la corteggiava. »
« Scusami », ripete´ lui, nervoso, senza sapere dove voltarsi.
« Negli occhi », precisò lei, intuendo il suo disagio. « Guardami negli occhi. »
Così fece Hugo, e trovò dolcezza in quegli occhi belli e marroni in cui colse anche un lampo di gelo.

(continua in libreria…)

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