Capolavoro messicano di culto negli anni ’60, torna nelle librerie italiane in una nuova traduzione “Farabeuf o Cronaca di un istante”, romanzo di Salvador Elizondo – Su ilLibraio.it l’introduzione di Alessandro Raveggi

Torna in libreria con LiberAria Edizioni, nella traduzione di Giulia Zavagna, Farabeuf o Cronaca di un istante, il più celebre romanzo di Salvador Elizondo, pubblicato da Editorial Joaquín Mortiz nella serie El Volador nel 1965, anno in cui ricevette il Premio Xavier Villaurrutia.

Tradotto in francese da Gallimard Publishing, venne pubblicato per la prima volta in Italia da Feltrinelli nel 1970. In breve tempo anche questo lavoro è stato tradotto in mezza dozzina di lingue tra cui inglese, tedesco e portoghese, e da allora è stato più volte ristampato dal Fondo per la cultura economica e da numerose altre case editrici.

Capolavoro messicano di culto negli anni ’60, Farabeuf è una visione enigmatica della curiosa esistenza del chirurgo francese LH Farabeuf, dalle sue ossessioni morbosamente erotiche alla sua vita come inventore di strumenti chirurgici, fotografo dilettante e forse anche spia.

Il libro esce in anteprima per la collana Phileas Fogg di narrativa straniera, curata dallo stesso Raveggi a partire dal 2019.

Salvador Elizondo LiberAria Edizioni

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, l’introduzione di Alessandro Raveggi:

 

Oggi è un giorno speciale, un’ora speciale, un istante, e anche se sarà solo un istante,
voglio veder soddisfatto il mio desiderio.

 (Salvador Elizondo, Farabeuf)

Ricorda, lettore: mantra di questo libro sarà proprio questa richiesta più volte espressa: “Ricorda”. ¿Recuerdas? Ricordi? Stai ricordando? O meglio: devi ricordare. Ricerca un filo. Per rimanere qui. Usa questa scrittura come un nodo, un riannodare, una pratica di tortura erotica tra amanti. “Ricorda”, che è anche un appello al regard in francese, allo sguardo che riguarda: non aver paura di considerare, fissare, lettore, l’orrore di tagli, di ferite, di operazioni chirurgiche: in questo libro – tradotto nuovamente qui da Giulia Zavagna dopo quasi cinquant’anni dalla prima uscita in Italia per Feltrinelli –  la tortura pubblica di un magnicida nella Pechino di primo Novecento sarà ricettacolo davanti al quale spesso ritornare, ad occhi e bocche aperte. Sarà il gorgo-simbolo dove tu più volte ricadrai, o ti specchierai, come seguendo delle istruzioni in un cammino labirintico. Come accadeva nel nouveau roman, in libri come La gelosia di Robbe-Grillet (e la sua famosa ombra della trave!) o in quelli di Butor, del premio Nobel Claude Simon. Ma qui in Farabeuf troverai anche una scrittura sorprendente, più lussureggiante e corporea di quella offerta dalle avanguardie francesi del secondo Novecento: quella di uno dei romanzi di culto dell’America Latina degli anni Sessanta, unico nel suo genere, oggi considerato anche un “classico” nell’orizzonte del cosiddetto Boom. Un libro gotico ed erotico a un tempo, perché, come scriveva Octavio Paz, Salvador Elizondo era un maestro nel descrivere “la notte oscura dell’anima, così come quella del corpo”.

Cosa è dunque questo romanzo anti-romanzo messicano ed europeo ad un tempo, questo Farabeuf o la cronaca di un istante? Rappresenta il tentativo estremo di raccontare appunto un istante impossibile da cogliere, un guizzo all’unisono di morte e di godimento, subendo il fascino e la sfida della tecnica fotografica. È però anche il racconto sfaccettato di due (o più?) amanti che si scambiano le maschere di vittima e carnefice. Ed è, come esperienza visiva, il resoconto meticoloso di una chirurgia, che diviene un atto esoterico tra iniziati. Oppure, ancora è in fondo un omaggio al Dottor Farabeuf, suo protagonista, innovatore della chirurgia moderna, descritto però qui anche come spia in incognito in Cina o addirittura cospiratore (ed è quindi forse anche un tentativo di innamoramento spietato tra Occidente e Oriente, offerto dalla prospettiva inedita di un autore e traduttore latino-americano, appassionato di fotografia e studioso di Luchino Visconti?). Questo romanzo è tutte queste cose assieme, ma innanzitutto, è un libro che oggi, lettore, a. d. 2018, leggerai in un’epoca votata alla necessità morbosa di raccontare storie. Qui, fai attenzione, la storia però devi essere proprio Tu: nelle tue debolezze, remore, tabù, persino voyeurismi. Tu sarai protagonista e voce di un testo che si costruisce mentre si scrive e si legge, e che si espone nel suo stesso divenire di testo: che si farà proteiforme interrogatorio a più voci, o una specie di lanterna magica, un teatro di meraviglie e orrori, una confessione onirica e carnale, un libretto d’istruzioni divinatorio di segni e di corpi nell’imminenza di un coito (o di un delitto, che qui coincidono). A ricordarci (¿Recuerdas?) che sì le storie, specie se d’amore, sono importanti, vitali, uniche. Ma è il modo in cui si raccontano che veramente ci interessa, ciò che rimane, che ci avvinghia, al quale ci abbandoniamo – e questo libro ha il valore aggiunto di sottolineare il fatto che la letteratura senza questi suoi confini che si direbbero sperimentali, senza quel suo essere anche segno che si arriccia su se stesso, non può che essere una geografia parziale.

Alla fine della lettura di Farabeuf, come in un orgasmo, le ripetizioni e gli echi, i ritorni allo stesso istante, alla stessa scena o stanza o spiaggia dove si cammina, le descrizioni di uno scarabocchio fatto sul vetro appannato dall’umidità, del tintinnare delle monete dell’I Ching o dello sfregare della planchette della tavola ouija, dello sbattere di un piede su di un piedistallo, l’ammirazione e poi lo schifo per una stella marina raccolta sulla spiaggia, un atto sessuale oppure il dismembramento di un condannato a morte secondo la pratica del Leng-tch’e o tortura dei Mille Tagli, ti rimarranno in testa come un’esplosione istantanea. O meglio, tu rimarrai intrappolato in questo gioco raffinato, rapsodico, a tratti icastico e ossessivo come un film o una fotografia di Man Ray. L’esperienza che ti si richiede è un orgasmo prolungato, che ti fischierà ancora nelle orecchie dopo aver raggiunto l’acme. Il Farabeuf di Salvador Elizondo è così un libro latino ma ad un tempo universale, del tutto privo di esotismo e localismo – è magico senza realismo – che per certi versi universalizza la matrice violenta della messicanità, nel suo rimanere anche oggi ancorata alla apparente necessità di un sacrificio di sangue non più azteco, ma riproposto dalla guerra dei narcos. E nella sua logica mostruosa degli istanti di due amanti, è capace di fare luce persino sulla logica oggi scottante della Storia al riguardo della violenza di genere, dalle maquiladoras di Santa Teresa alle attrici del #metoo: “La storia è una puttana molto semplice, che non ha momenti cruciali ma è una proliferazione di istanti, di attimi fugaci che competono tra loro in mostruosità”, era la lezione di Arcimboldi in 2666.

(continua in libreria…)

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