Marco Franzoso torna in libreria con “La lezione”, un romanzo che racconta la discesa agli inferi di una giovane donna – Su ilLibraio.it un estratto

Marco Franzoso, autore di Il bambino indaco (Einaudi, portato al cinema da Saverio Costanzo), torna in libreria con La lezione (Mondadori), un thriller che svela la follia che si cela dietro la vita di tutti i giorni. Un romanzo che punta a rappresentare il male nella nostra società, la discesa verso gli inferi di una giovane donna.

A volte, infatti, senza accorgersene, il costo delle piccole e continue sopraffazioni subite giorno dopo giorno è spesso una rabbia nascosta dietro l’apparenza di una vita normale, azioni ordinarie, un lavoro e una vita di coppia come tante.

La protagonista del romanzo è Elisabetta, giovane avvocato in un piccolo studio associato. Nel lavoro non decolla, e nella vita privata deve fare i conti con un rapporto con il fidanzato che è una palude di alti e bassi, con le amicizie che si sono allentate e con il padre, vedovo, anziano e fragile. Come se non bastasse un uomo la segue: si tratta di Angelo Walder, un suo vecchio assistito condannato per violenza e abuso che una volta scontata la sua pena è tornato a cercarla.

Una sera, tornando dal lavoro, si ritrova l’uomo in casa: improvvisamente la rabbia la sopraffà, scoprendo una lucidità e una forza inaspettata dentro di se: Elisabetta lo tramortisce, lo immobilizza e lo lega, imprigionandolo in casa. Tutti i soprusi, le ingiustizie, i compromessi a cui si è prestata si sfogano contro quell’uomo che voleva farle del male.

Da quel momento si occuperà di lui, seviziandolo ma anche nutrendolo, accompagnandolo in bagno, ascoltandone i discorsi all’apparenza folli ma in realtà capaci di cogliere la crudezza della realtà.

Quello di Franzoso è dunque il racconto di una donna comune, che capisce che per salvarsi non le resta altro da fare che ribellarsi e prendere in mano la propria vita, senza più chiedere aiuto a nessuno.

 

La lezione di Marco Franzoso

Per gentile concessione della casa editrice, su ilLibraio.it un estratto:

L’avevo incontrato la prima volta nel mio ufficio. Il ficus, la vista dalla finestra, la scrivania con l’angolo sbeccato. Anche allora era primavera. Non mi era mai successo di ricevere un cliente di cui non sapessi nulla. Non mi era stato presentato da nessuno e non avevo avuto rapporti precedenti con lui. Niente.

La telefonata pochi giorni prima era stata veloce. Aveva detto di chiamarsi Angelo Walder e mi aveva chiesto se fossi l’avvocato Elisabetta Sferzi.

Una voce gentile, educata. Ma anche ferma. Dava l’idea di un uomo concreto, efficiente, con poco tempo da perdere.

«Sono io, in cosa posso esserle utile?»

«Piacere, avvocato.»

Niente convenevoli. Urgeva fissare un incontro per guardarsi in faccia e discutere.

«Dunque, quando?»

L’avevo fatto attendere. Alcuni secondi. Una prassi consolidata.

Sfogliare l’agenda fingendo chissà quali impegni.

Volevo che sentisse il rumore della carta. Quella recita di solito funzionava.

«Mhmm… domani mezz’ora me la potrei ritagliare, per lei.»

«Bene.»

«Cinque e mezzo?»

«Cinque e mezzo.»

Aveva riagganciato.

Il giorno seguente era arrivato con un po’ di anticipo, e io ero andata ad accoglierlo nel salottino comune esattamente alle cinque e mezzo.

Una figura imponente che riempiva la stanza. Sovrappeso.La fronte ampia, gli occhi azzurri, piccoli e penetranti, i capelli grigi pettinati all’indietro con la brillantina. Il naso minuto, aquilino.

Indossava una polo blu Robe di Kappa, jeans Lee e ai piedi un paio di Diadora bianche. Borsello in pelle Adidas. L’abbigliamento di un ragazzo sul corpo di un cinquantenne. Mi aveva stretto la mano con troppa forza, come fanno certi uomini per dimostrare carattere e metterti subito al tuo posto.

Mi aveva fissata coi suoi occhi freddi cercando di accennare un sorriso amichevole che strideva col suo volto duro.

Avevo sorriso anch’io, ma mi era uscita un’espressione spigolosa, per niente spontanea.

«Mi fa molto piacere, avvocato, incontrarla» aveva iniziato.

“Efficienza” mi ero detta. “Devi solo dimostrare efficienza.”

«Anche a me. La prego, mi segua.»

L’avevo fatto accomodare nella mia stanza. Nei pochi metri che separavano la porta dal tavolo ho sentito la sua presenza contro di me. Tempo prima in un documentario sull’evoluzione dei mammiferi avevo sentito che noi percepiamo anche ciò che avviene alle nostre spalle come se avessimo un occhio conficcato nella nuca. Avevo provato esattamente quella sensazione.

E mi ero sentita studiata, toccata, come se lui avesse avuto bisogno di capire chi fossi, ma anche di entrarmi dentro.

Una volta seduto, si era trasformato in una statua di pietra. Un istante.

«Bene, mi parli di lei, avvocato» aveva esordito.

Mi aveva spiazzata. In genere succede il contrario. Sono io che devo conoscere il cliente.

Avevo risposto con un sorriso. Avevo pensato che scherzasse, nessuno mi aveva mai fatto una battuta come quella. Però. Simpatico.

Per metterlo a suo agio gli avevo chiesto se voleva un caffè.

«Preferisco procedere. Oggi abbiamo tutti la tendenza a distrarci» aveva detto. «Io invece nei momenti importanti ho bisogno di stare esattamente nel luogo in cui mi trovo.

E di sentire davanti a me la persona con cui sono. Mi parli di lei, avvocato, non tema.»

Non avevo saputo che dire. Probabilmente ero arrossita.

«In fondo devo decidere se affidarle la mia vita» ha continuato.

«Non è una scelta da poco.»

Non stava scherzando.

Avevo provato una sensazione sgradevole. Uno sconosciuto davanti a me voleva che gli raccontassi chi ero, ed era così sfrontato da non chiedermi se mi andasse bene. Poi, però, mi era venuto in soccorso. Forse aveva capito di aver esagerato, oppure gli avevo fatto pena. Alle volte capita. Si era sistemato sulla sedia.

«La capisco, è difficile liberarsi dagli atteggiamenti difensivi che la società per millenni ha inculcato nelle nostre povere anime. Viviamo in uno stato di perenne tensione e mettiamo le mani avanti perché siamo spaventati anche da noi stessi.»

«Certo» avevo azzardato.

Generico ma incoraggiante. Non era servito. Anzi. Si era stizzito.

«Non mi interrompa, per piacere» mi aveva bloccata. «Le stavo dicendo che dovrò raccontarle ogni più intimo dettaglio della mia vita ed essere preciso nello scavarmi dentro, anche cercando di riportare in superficie ciò che mi ha condotto alla condizione degenere in cui mi hanno gettato.»

Aveva abbassato la voce.

«Ma affinché io sia estratto vivo da questa putrida discarica ho bisogno che lei mi ascolti. Non ricerco semplicemente un avvocato, quelli che ho interpellato prima di lei si sono vanta ti di essere i migliori. Ma il vostro problema è che non sapete nascondere la sete di denaro. Questo lo condivide, avvocato?»

Mi aveva fissata.

Non avevo saputo reggere il suo sguardo.

(continua in libreria…)

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