Torna in libreria con “Le tre sorelle di Auschwitz” Heather Morris, autrice del romanzo bestseller “Il tatuatore di Auschwitz”. La storia vera di tre sorelle slovacche che, combattendo per la propria vita, sono riuscite a non piegarsi alle brutalità delle SS e a fuggire dai campi di concentramento. Ma la loro vita è ancora in pericolo… – Su ilLibraio.it un estratto

Dopo il bestseller Il tatuatore di Auschwitz, e Una ragazza ad Auschwitz, entrambi editi Garzanti con traduzione di Stefano Beretta, torna in libreria Heather Morris (in copertina, nella foto di Tina Smigielski) con Le tre sorelle di Auschwitz (Newton Compton Editori, traduzione di Giulio Lupieri e Paola Vitale), opera con cui chiude un’ideale “trilogia della memoria“.

L’autrice nata in Nuova Zelanda e attualmente residente in Australia, racconta, basandosi su una storia vera, la storia di tre sorelle slovacche che per sfuggire al comando nazista sono costrette a combattere per la propria vita

Le tre sorelle di Auschwitz Heather Morris

Livia, Magda e Cibi sono sopravvissute miracolosamente ai terribili anni trascorsi ad Auschwitz-Birkenau. Nonostante la fame, il freddo e gli orrori del campo di concentramento, le tre sorelle si sono protette a vicenda, condividendo il poco che avevano a disposizione senza lasciarsi piegare dalla brutalità delle SS. Ma la loro vita è ancora in pericolo…

Mentre gli Alleati avanzano in Germania, ad attenderle c’è un’altra terribile prova: la marcia della morte. Per cancellare ogni indizio di ciò che è avvenuto nei Lager, i prigionieri sono costretti a camminare per giorni, sotto la costante minaccia di essere giustiziati. Il destino delle tre sorelle sembra segnato, ma un inaspettato colpo di fortuna fornisce loro l’occasione per ribaltare il corso degli eventi…

Per gentile concessione dell’editore, su ilLibraio.it pubblichiamo un estratto del libro:

Vranov nad Topl’ou, marzo 1942

«Livi, smettila di guardare fuori dalla finestra», la supplica Chaya. «Magda tornerà a casa quando starà abbastanza bene da lasciare l’ospedale». Chaya non è sicura di aver fatto la cosa giusta mandando via Magda. Come sempre, vorrebbe che Menachem fosse ancora con loro. Si rende conto che non è razionale, ma è convinta che la guerra, i tedeschi, la capitolazione del suo Paese ai nazisti… nulla di tutto ciò sarebbe accaduto se lui fosse stato ancora vivo.

«Avevi detto che non era molto malata, perché è ancora in ospedale? Sono passati tanti giorni ormai», piagnucola Livi. Non è la prima volta che le fa questa domanda.

«Lo sai bene il perché, Livi. Il dottor Kisely ha pensato che qualche giorno di riposo, lontana dalle tensioni familiari, l’avrebbe aiutata a rimettersi più rapidamente in forze», risponde Chaya concedendosi un sorrisetto.

«Ma io con lei sto bene!», obietta Livi, mettendo il broncio. Si allontana dalla finestra, richiudendo la tenda su un mondo che sta diventando ogni giorno più confuso e minaccioso. La madre è riluttante a farla uscire di casa, anche soltanto per fare la spesa o andare a trovare le amiche, perché dice che le guardie della Hlinka hanno occhi ovunque e le giovani ragazze ebree come lei sono le prede più ambite.

«Qui dentro mi sento come una prigioniera! Quando torna Cibi?». Livi invidia la libertà di Cibi e la sua prospettiva di imbarcarsi per la terra promessa.

«Ritornerà tra due giorni. Cerca soltanto di restare lontana da quella finestra».

Un sonoro colpo alla porta fa sobbalzare Yitzchak, che era intento a incidere una stella di Davide su un pezzo di legno in cucina.

Si incammina verso la porta, ma Chaya lo precede. «No, papà, ci penso io», dice.

Quando apre, si trova davanti due giovani guardie della Hlinka nelle loro minacciose divise nere. Un brivido le corre lungo la schiena. Non saranno certo la polizia di Stato e i soldati di Adolf Hitler a proteggere lei e gli ebrei della Slovacchia.

«Salve, Visik, come va? E tua madre, come sta Irene?». Chaya non vuole lasciar trapelare la propria paura. Sa perché quegli uomini sono lì.

«Sta bene, grazie…».

L’altra guardia fa un passo avanti. È più alto, e visibilmente più arrabbiato del giovane compagno. «Non siamo qui per scambiarci convenevoli. Lei è la signora Meller?»

«Lo sai bene chi sono». Chaya sente il cuore salirle in gola. «Cosa posso fare per voi, ragazzi?»

«Non ci chiami ragazzi!», ringhia la guardia più anziana. «Siamo patriottiche guardie della Hlinka in missione ufficiale».

Chaya conosce quella gentaglia. Non c’è nulla di patriottico in loro. Addestrati dalle SS, hanno tradito i propri connazionali. «Mi dispiace, non volevo mancarvi di rispetto. Come posso aiutarvi?», chiede Chaya sforzandosi di rimanere calma e augurandosi che non si accorgano di come le tremino le mani.

«Ha delle figlie?», le chiede il più giovane.

«Lo sai bene che ne ho tre».

«E dove sono?»

«Vuoi dire in questo momento?»

«Signora Meller, per favore ci dica se vivono qui con lei».

«Soltanto Livi, la più giovane».

«E le altre dove sono?». La seconda guardia fa un altro passo avanti.

«Magda è in ospedale. È molto malata, non so quando potrà tornare a casa, e Cibi… Be’, Visik, sai bene cosa sta facendo Cibi e perché non è qui».

«Per favore, signora Meller, la smetta di chiamarmi per nome, lei non mi conosce», le intima Visik, imbarazzato dal suo tono confidenziale di fronte al collega.

«Livi dovrà presentarsi alla sinagoga venerdì alle cinque del pomeriggio», dice la seconda guardia, allungando il collo per sbirciare alle spalle di Chaya. «Andrà a lavorare per i tedeschi e potrà portare con sé una borsa. Deve venire da sola, nessuno potrà accompagnarla. Capito?».

Chaya lo fissa terrorizzata. «Non potete prendere Livi… ha soltanto quindici anni», lo implora. «È ancora una bambina».

I due uomini indietreggiano, non sapendo cosa aspettarsi da Chaya. La seconda guardia posa la mano sulla pistola che porta alla cintura.

Yitzchak avanza verso di loro e allontana Chaya.

«Il nome di sua figlia è nella lista delle ragazze che saranno trasferite in Germania. Se non si presenterà, non farà altro che aggravare la sua posizione», sibila Visik, spingendo in fuori il petto e sollevando il mento per riacquistare la propria autorità prima di incamminarsi lungo il sentiero con una risata trionfante.

Chaya guarda Livi, rannicchiata tra le braccia del nonno, il cui volto irrigidito tradisce la rabbia e il senso di colpa che prova per non essere stato in grado di proteggere la nipotina più giovane.

«Va tutto bene, nonno. Mamma, andrò a lavorare per i tedeschi. Sono sicura che non durerà a lungo. In fondo è soltanto un lavoro, e ormai sono abbastanza grande».

All’improvviso la stanza diventa buia. Il sole, che prima la inondava di luce dalla finestra, è oscurato da minacciosi nuvoloni scuri, e nel cielo rimbombano i primi tuoni. Un istante dopo la pioggia inizia a picchiettare sul tetto.

Chaya lancia un’occhiata a Livi, la sua piccola guerriera, i cui occhi azzurri e i riccioli ribelli rivelano una fiera determinazione. Livi sostiene lo sguardo della madre, che è la prima a distogliere gli occhi per stringersi il vestito al petto, il gesto che fa sempre quando si sente crollare, e il riconoscimento della propria impotenza le spezza il cuore.

Nessuno dice nulla. Chaya si incammina verso la sua stanza e accarezza il braccio a Livi tenendo lo sguardo basso. Livi e Yitzchak sentono la porta della camera che si chiude alle spalle di Chaya.

«Vado da lei?», chiede Livi.

«No, uscirà quando se la sentirà».

(continua in libreria…)

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