“A bocca chiusa non si vedono i pensieri” racconta il mondo di Ginny Moon, una ragazzina quattordicenne affetta da autismo. Ma questo non le impedirà di lottare caparbiamente per quello a cui tiene davvero – Su ilLibraio.it un estratto

A bocca chiusa non si vedono i pensieri (HarperCollins Italia, traduzione di Claudia Lionetti), romanzo d’esordio di Benjamin Ludwig, racconta la storia di Ginny Moon, una ragazzina quattordicenne con qualcosa di speciale, che la rende diversa da chi le sta intorno: Ginny percepisce il mondo e vi interagisce in un modo tutto suo, perchè è affetta da autismo.

Ludwig, che è realmente padre di una figlia autistica, racconta il mondo dalla sua prospettiva: una quotidiana ricerca di comprensione, una quotidiana lotta per trovare il proprio posto nel mondo.

Ginny Moon, la quattordicenne protagonista di A bocca chiusa non si vedono i pensieri, è per molti versi una tipica adolescente: suona il flauto nell’orchestra della scuola, gioca a basket due volte alla settimana e studia le poesie di Robert Frost per la lezione di letteratura americana. Ma ciò che per lei è irrinunciabile – come iniziare ogni giornata con nove chicchi d’uva a colazione, per esempio, oppure cantare Michael Jackson, o prendersi cura della sua bambola ed elaborare in gran segreto piani di fuga – a qualcuno potrebbe sembrare un po’… strano.

Per anni, dopo che l’hanno portata via alla madre naturale, tossica e violenta, è passata da una famiglia affidataria all’altra. Adesso però, finalmente ha trovato la sua “casa per sempre”, un posto in cui si sente al sicuro, protetta, con genitori che le vogliono bene e si prendono cura di lei. È esattamente il tipo di famiglia che tutti i ragazzini nelle sue condizioni sognano… eppure lei ha altri progetti. Perché in quella vita perfetta manca qualcosa. Qualcosa di così importante che per riaverla è disposta a rubare, a mentire, ad approfittare della disponibilità di tutti quelli che le vogliono bene. Qualcosa per cui arriverebbe persino a farsi rapire.

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Su ilLibraio.it un estratto, per gentile concessione dell’editore

Martedì 7 settembre
Ore 18:54

La bambola elettronica non la smette di piangere.
I miei Genitori Per Sempre hanno detto che dovrebbe essere come una bambina vera ma non lo è. Non riesco a farla contenta. Nemmeno se la cullo. Nemmeno se le cambio il pannolino e le do il biberon. Quando le dico su, su, da brava e lascio che mi succhi il dito non cambia espressione e grida grida grida.
La stringo ancora una volta e nel cervello mi ripeto Piano e delicata, piano e delicata. Poi provo tutte le cose che faceva Gloria quando davo di matto. Le metto una mano dietro la testa e mi muovo avanti e indietro in punta di piedi. “Va tutto bene. Va tutto bene” dico. Con il tono che va su e giù come una canzone. E poi: “Mi dispiace tanto”.
Ma non vuole saperne di smettere.
La stendo sul mio letto e quando il pianto diventa più forte cerco la mia Bambolina. Quella vera. Anche se so che non c’è. L’ho lasciata nell’appartamento di Gloria ma i bambini che strillano mi fanno diventare tanto tanto ansiosa e quindi devo mettermi a cercare. È come una regola che ho nel cervello. Cerco nei cassetti. Cerco nell’armadio. Cerco ovunque potrebbe esserci la mia Bambolina.
Persino nella valigia. La valigia è grande e nera e a forma di scatola. La tiro fuori da sotto il letto. La cerniera ci gira tutto intorno. Ma la mia Bambolina non è lì dentro.
Faccio un bel respiro. Devo farla smettere di piangere. Se la metto nella valigia e ci metto anche abbastanza coperte e peluche e la spingo di nuovo sotto il letto forse non la sentirò più. Sarà come mettere via il rumore nel mio cervello. Perché il cervello è nella testa. È un posto buio buio buio dove solo io riesco a vedere
le cose e nessun altro.
Ed è quello che faccio. Metto la bambola elettronica nella valigia e prendo le coperte. Gliele metto in faccia e poi ci metto anche un cuscino e tanti peluche. Tra pochi minuti il rumore smetterà.
Perché per piangere bisogna poter respirare.

Martedì 7 settembre
Ore 19:33

Ho finito di fare la doccia ma la bambola elettronica piange ancora. Ormai avrebbe dovuto smettere e invece no.
I miei Genitori Per Sempre sono seduti sul divano e guardano un film. La mia Mamma Per Sempre ha i piedi in un catino d’acqua. Dice che ultimamente sono gonfi. Entro in soggiorno e mi metto davanti a lei e aspetto. Perché è una donna. Mi sento molto più a mio agio con le donne che con gli uomini.
“Ciao, Ginny” dice mentre il mio Papà Per Sempre preme il tasto per mettere in pausa. “Che c’è? Hai la faccia di chi ha qualcosa da dire.”
“Ginny…” interviene il mio Papà Per Sempre. “Hai ricominciato a tormentarti le dita? Sanguinano.”
Sono due domande di fila perciò non dico nulla.
“Ginny, cosa c’è che non va?” prosegue la mia Mamma Per Sempre.
“Non voglio più la bambola elettronica” rispondo.
Si toglie i capelli dalla fronte. Mi piacciono tanto i suoi capelli. Quest’estate mi ha permesso di farle i codini. “Sei stata quaranta minuti sotto la doccia. Hai provato a farla smettere? Tieni. Usa questo, adesso prendiamo i cerotti.”
Mi allunga un tovagliolo.
“Le ho dato il biberon e l’ho cambiata tre volte. L’ho cullata ma non la smetteva e allora l’ho…” Non dico più nulla.
“Adesso fa un suono diverso» osserva il mio Papà Per Sempre. “Non pensavo che potesse gridare tanto forte.”
«La fai smettere tu per favore?» chiedo alla mia Mamma Per Sempre. E poi ripeto: “Per favore?”.
“È stupendo sentirti chiedere aiuto” risponde. “Patrice ne sarebbe orgogliosa.”
Dal corridoio arriva di nuovo il pianto e cerco un posto dove nascondermi. Perché ricordo che Gloria usciva sempre dalla sua camera quando non riuscivo a far smettere la mia Bambolina. Soprattutto se era con un amico uomo. Ogni tanto quando non smetteva di piangere e sentivo che lei arrivava prendevo la mia Bambolina e scappavo dalla finestra.
Stringo forte il tovagliolo e chiudo gli occhi. “Se la fai smettere chiederò sempre aiuto” dico e poi li riapro.
“Vado a dare un’occhiata” risponde il mio Papà Per Sempre.
Si alza. Quando mi passa vicino io indietreggio. Poi mi accorgo che non è Gloria. Mi guarda in modo strano e va in corridoio. Sento che apre la porta della mia camera. Il pianto diventa ancora più forte.
“Non so se questa cosa funziona” dice la mia Mamma Per Sempre. “Volevamo che ti rendessi conto di cosa significa avere un bambino vero in casa, ma non sta andando come avevamo programmato.”
Il pianto in camera mia diventa fortissimo. Il mio Papà Per Sempre esce. Ha una mano fra i capelli. “L’ha messa nella valigia” dice.
“Cosa?!”
“Ho seguito il suono. All’inizio non riuscivo a vederla. Ci ha infilato dentro anche una pila di coperte e di peluche, ha richiuso la cerniera e ha rimesso la valigia sotto il letto” spiega.
“Ginny, perché hai fatto una cosa del genere?” chiede la mia Mamma Per Sempre.
“Non smetteva di piangere” rispondo.
“Sì, però…”
“Senti, se non la finiamo qui, questa storia ci farà diventare tutti matti” la interrompe il mio Papà Per Sempre. “Ho provato a farla smettere, ma non ci sono riuscito neanch’io. Per me siamo arrivati al punto di non ritorno. Chiamiamo la signora Winkleman e basta.”
La signora Winkleman è l’insegnante di educazione sanitaria.
“Stamattina ha detto di aver dato a Ginny un numero per le emergenze” risponde la mia Mamma Per Sempre. “L’ha scritto su un foglietto. Guarda nel suo zaino.”
Lui torna in corridoio e poi in camera mia. Mi copro le orecchie con le mani. Riappare con il mio zaino.
La mia Mamma Per Sempre trova il foglietto e prende il cellulare. “Signora Winkleman? Sì, sono la mamma di Ginny. Mi scusi se la chiamo a quest’ora, ma temo proprio che abbiamo un problema con la bambola.”
“Non preoccuparti, Figlia Per Sempre” mi dice il mio Papà Per Sempre. “Tra pochi minuti sarà tutto finito, così potrai prepararti per andare a letto. Mi dispiace che sia stata un’esperienza pesante e snervante. Eravamo davvero convinti che…”
La mia Mamma Per Sempre mette giù il telefono. “Dice che sulla nuca c’è un buco, bisogna infilarci una graffetta e premere il tasto, così si spegne.”
Lui va nello studio e poi esce e va nella mia camera. Inizio a contare. Quando il pianto smette sono arrivata a dodici.
E adesso posso respirare di nuovo.

(continua in libreria…)

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